La regina scalza – Ildefonso Falcones

SINTESI DEL LIBRO:
Quando stava per mettere piede sul molo di Cadice, Caridad ebbe
un attimo di esitazione. Si trovava in fondo alla passerella della
feluca su cui erano sbarcati dalla Reina, il galeone che aveva
scortato i sei mercantili e il loro prezioso carico dall’altra parte
dell’oceano. La donna alzò gli occhi al sole invernale che illuminava
il porto affollato e chiassoso: uno dei vascelli che aveva navigato con
loro dall’Avana stava per essere scaricato. I raggi penetrarono nel
suo liso cappello di paglia, abbagliandola. Tanto baccano la prese
alla sprovvista e lei si ritrasse spaventata, come se quelle urla
fossero rivolte a lei.
«Ehi, tu! Non stare lì impalata, Morena», urlò il marinaio dietro di
lei mentre le passava davanti senza troppi riguardi.
Caridad incespicò e fu sul punto di cadere in acqua. Quando un
altro degli uomini alle sue spalle fece per superarla, la donna saltò
goffamente sul molo, si fece da parte e rimase immobile mentre altri
membri dell’equipaggio continuavano a sbarcare tra risate, battute e
scommesse di ogni tipo sulla femmina grazie alla quale avrebbero
subito dimenticato la lunga traversata oceanica.
«Goditi la tua libertà, negra!» gridò uno di loro passandole
accanto, mentre le rifilava una sonora pacca sul sedere, che suscitò
le risate di alcuni suoi compagni.
Caridad non si mosse neppure; aveva lo sguardo fisso sulla coda
di capelli lunga e sporca che dondolava sulla schiena del marinaio e,
strisciando sulla camicia lacera dell’uomo al ritmo del suo passo
instabile, si allontanava in direzione di puerta de Mar.
Libera?, le venne da chiedersi. Ma quale libertà? Guardò le mura
oltre il molo, la porta che dava accesso alla città: gran parte degli
oltre cinquecento uomini che formavano la ciurma della Reina si
stavano accalcando all’ingresso, dove un plotone di gabellieri,
ufficiali, soldati e ispettori li perquisiva in cerca di mercanzie proibite
e li interrogava sulla rotta delle navi, nell’eventualità che qualcuna si
fosse staccata dal resto della spedizione per darsi al contrabbando e
beffare l’erario. Gli uomini attendevano impazienti che venissero
espletate le consuete formalità; i più lontani dai gabellieri, facendosi
scudo della folla, urlavano di farli passare, ma gli ispettori non
cedevano. La Reina, maestosamente ormeggiata nel canale del
Trocadero, aveva trasportato nella sua stiva più di due milioni di
pesos e quasi altrettanti in marchi d’argento, ennesimo tesoro delle
Indie, oltre a Caridad e a don José, il suo padrone.
Maledetto don José! Caridad se n’era presa cura durante la
traversata. Dicevano che avesse la «peste delle navi». «Morirà»,
avevano dichiarato con convinzione. E infatti il male se l’era portato
via dopo una lenta agonia, mentre il suo corpo si consumava poco a
poco tra orrendi gonfiori, sfoghi cutanei ed emorragie. Per un mese
padrone e schiava erano rimasti chiusi a poppa, in una piccola
cabina dall’aria viziata con una sola amaca che don José, dopo aver
pagato una bella somma, era riuscito a farsi costruire dal
comandante con delle assi, sottraendo spazio a quella di uso
comune destinata agli ufficiali. «Elegguá, fa’ che la sua anima non
riposi mai in pace, che vaghi per il mondo», gli aveva augurato
Caridad percependo in quello spazio esiguo la potente presenza
dell’Essere Supremo, il Dio che regge il destino degli uomini. E come
se l’avesse sentita, il padrone le aveva chiesto pietà con i suoi
impressionanti occhi itterici, allungando una mano in cerca del calore
della vita che, lo sentiva, lo stava abbandonando. Sola con lui nella
cabina, Caridad gli aveva negato quella consolazione. Lei non aveva
forse teso la mano mentre la separavano dal suo piccolo Marcelo? E
cos’aveva fatto il padrone? Aveva ordinato di portar via il bambino.
«E falla tacere!» aveva aggiunto nello spiazzo davanti alla casa
grande, dove gli schiavi si erano riuniti per sapere chi sarebbe stato
il loro nuovo padrone e quale destino li aspettasse. «Non
sopporto...»
Don José si era zittito di colpo, vedendo le facce stupite degli
schiavi. Con una reazione istintiva, Caridad aveva spintonato il
sorvegliante e, liberatasi dalla sua stretta, stava per correre dal suo
bambino, quando si era resa conto dell’imprudenza commessa, e si
era fermata. Per qualche istante si erano sentiti solo gli strilli acuti e
disperati di Marcelo.
«Volete che la frusti, don José?» aveva chiesto il sorvegliante
mentre riacciuffava Caridad per un braccio.
«No», aveva concluso l’altro dopo averci riflettuto. «Non voglio
portarla in Spagna tutta rovinata.»
A un cenno deciso del sorvegliante, Cecilio, un nero enorme,
aveva trascinato il bambino verso la capanna. Caridad era caduta in
ginocchio e il suo pianto si era intrecciato a quello di suo figlio. Era
stata l’ultima volta che l’aveva visto. Non le avevano nemmeno
permesso di dirgli addio...
«Caridad, cosa fai lì impalata, ragazza?»
Sentendo il proprio nome, Caridad tornò con i piedi per terra e in
quel baccano riconobbe la voce di don Damián, il vecchio
cappellano della Reina, anche lui appena sbarcato. Lasciò subito
cadere il suo fagotto, si scoprì il capo e abbassò gli occhi sulle mani,
che si misero a stropicciare il consunto cappello di paglia.
«Non puoi restare sul pontile», continuò il sacerdote avvicinandosi
e prendendola per un braccio. Un contatto fugace, che il religioso
stesso, impacciato, interruppe. «Su», la esortò con un certo
nervosismo, «vieni con me.»
Raggiunsero insieme puerta de Mar, don Damián con un piccolo
baule, Caridad con il suo fagotto e il cappello in mano, gli occhi fissi
a terra.
«Fate largo a un uomo di Dio», ordinò il sacerdote ai marinai che
si ammassavano davanti alla porta.
Poco a poco la calca si aprì per lasciarlo passare. Nera come
l’ebano, Caridad lo seguiva trascinando i piedi scalzi, a capo chino.
La semplice camicia lunga e grigiastra, di grossa tela grezza, che le
faceva da vestito non riusciva a nascondere una donna forte e ben
fatta, alta quanto alcuni dei marinai che posarono lo sguardo sui suoi
ricci folti e neri, mentre altri si perdevano tra i suoi seni grandi e sodi,
o sui fianchi voluttuosi. Il cappellano continuò a camminare,
limitandosi a sollevare una mano quando sentì fischi, commenti
salaci e persino qualche proposta sconcia.
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