La ragazza italiana- Lucinda Riley

SINTESI DEL LIBRO:
Mio carissimo Nico,
è strano starsene qui a raccontare
una storia di estrema complessità,
sapendo che potresti non leggerla
mai. Non so se ripercorrere gli
eventi degli ultimi anni possa essere
una forma di catarsi per me o per te,
mio caro, ma sento di doverlo fare.
Perciò me ne sto qui, seduta nel
camerino, a chiedermi da dove
cominciare. Gran parte di quello
che scriverò è accaduto molto prima
che tu nascessi – una
concatenazione di eventi iniziata
quando ero più giovane di te adesso.
Perciò forse dovrei cominciare da lì.
Da Napoli, la città in cui sono
nata…
Ricordo che la mamma
appendeva il bucato ad asciugare a
un filo teso da casa nostra all’altro
lato della strada. Percorrendo i
vicoli stretti di Piedigrotta sembrava
che tutti gli abitanti fossero in uno
stato di festa perenne, con quei
vestiti dai colori sgargianti che
pendevano sopra le nostre teste. E il
rumore – c’era sempre rumore – che
riconduco a quegli anni; perfino di
notte non c’era mai silenzio. Canti,
risate, pianti di bambini… Gli
italiani, come sai, sono un popolo
espansivo, emotivo, e le famiglie di
Piedigrotta condividevano tutte le
gioie e le tristezze, ogni giorno,
sedute sulla soglia di casa, dove
diventavano scure come mirtilli
sotto il sole cocente. Il caldo era
insopportabile, specialmente in
piena estate, quando i marciapiedi ti
scioglievano le suole delle scarpe e
le zanzare aggredivano ogni
porzione di pelle scoperta. Riesco
ancora a sentire la miriade di odori
che entrava dalla finestra aperta
della mia stanza: la puzza di fogna,
a volte così insopportabile da farti
contorcere lo stomaco, ma più
spesso l’allettante odore della pizza
appena sfornata, proveniente dalla
cucina di papà.
Quando ero piccola eravamo
poveri, ma per la mia prima
comunione gli affari di papà e
mamma avevano cominciato ad
andare bene grazie al “Marco”, il
loro piccolo bar. Lavoravano giorno
e notte per servire tranci di pizza
piccante preparata con la ricetta
segreta di mio padre, che negli anni
era diventata famosa a Piedigrotta.
Nei mesi estivi il bar era ancora più
affollato grazie ai turisti, e dentro,
con tutti quei tavoli di legno, era
quasi impossibile muoversi.
La nostra famiglia viveva in un
piccolo appartamento sopra il bar.
Avevamo il nostro bagno, le scarpe
ai piedi e c’era sempre cibo in
tavola. Papà era orgoglioso di
essersi fatto da solo e di riuscire a
provvedere alla sua famiglia.
Anch’io ero felice, e i miei sogni non
andavano oltre il tramonto. Vivevo
alla giornata.
Poi, in una calda serata di agosto
all’età di undici anni, accadde
qualcosa che mi cambiò la vita. Ti
sembrerà impossibile che una
ragazzina non ancora adolescente
possa innamorarsi, ma ricordo come
fosse ieri il momento in cui posai
per la prima volta gli occhi su di
lui…
1
Napoli, agosto 1966
Rosanna Antonia Menici si
appoggiò al lavandino e si sollevò
sulla punta dei piedi per guardarsi
allo specchio. Dovette spostarsi un
po’ verso sinistra perché nel vetro
c’era una crepa che distorceva il
riflesso. E, nonostante ciò, riusciva a
vedere soltanto una parte dell’occhio
e della guancia destri. Perfino in
punta di piedi era troppo bassa per
arrivare al mento.
«Rosanna! Vuoi uscire da lì o
no?»
Sospirando, la ragazzina girò la
chiave nella toppa. La maniglia
ruotò immediatamente e Carlotta si
precipitò nel bagno senza riguardi.
«Perché ti chiudi dentro, stupida?
Che cos’hai da nascondere?»
Carlotta aprì i rubinetti della vasca e
con gesti esperti raccolse i lunghi
capelli scuri e ricci in cima alla
testa.
Rosanna si strinse nelle spalle,
imbarazzata, e desiderò che Dio
l’avesse fatta bella come la sorella
maggiore. La mamma le aveva detto
che Dio faceva a tutti quanti un dono
diverso e quello di Carlotta era la
bellezza. Osservò umilmente la
sorella togliersi l’accappatoio,
rivelando un corpo perfetto e una
pelle come velluto, i seni alti e pieni,
le gambe lunghe e affusolate.
Chiunque entrasse nel loro bar
elogiava sempre la bellissima figlia
dei proprietari: «Un giorno sarà un
ottimo partito per qualche ricco
signore» dicevano.
Il bagno stava iniziando a
riempirsi di vapore. Carlotta chiuse i
rubinetti e si infilò nella vasca.
Rosanna si sedette sul bordo.
«Stasera viene Giulio?» le chiese.
«Sì. Viene.»
«Pensi che lo sposerai?»
Carlotta cominciò a insaponarsi.
«No, Rosanna, non lo sposerò.»
«Ma credevo ti piacesse…»
«Mi piace, ma non… oh, sei
troppo piccola per capire.»
«A papà piace.»
«Sì, lo so che a papà piace. È di
famiglia ricca.» Carlotta inarcò un
sopracciglio e inspirò con fare
teatrale. «Ma mi annoia. Papà mi
accompagnerebbe all’altare anche
domani, se potesse, ma prima voglio
divertirmi un po’.»
«Io credevo che sposarsi fosse
divertente» insistette Rosanna.
«Puoi metterti un bel vestito da
sposa e ricevere un sacco di regali e
avere una casa tua e…»
«E una nidiata di bambini
frignanti e i fianchi larghi come una
strada» concluse Carlotta
continuando a insaponarsi con
lentezza. I suoi occhi scuri la
fissarono. «Che cosa stai
guardando? Vattene, Rosanna,
dammi dieci minuti di pace. Alla
mamma serve una mano di sotto. E
chiudi la porta quando esci!»
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