Il gioco di Fisher – Splinter Cell – Tom Clancy

SINTESI DEL LIBRO:
A cento chilometri da Washington D.C. e a diecimila metri di
altitudine, l’MC-130H Combat Talon aveva iniziato la seconda ora di
volo in circolo nel buio del cielo notturno. Progettato per introdurre
agenti speciali in aree calde, il Talon può volare con pioggia, neve,
raffiche di vento, oscurità totale e in presenza di radar.
L’uomo fasciato nella tuta in Nomex, seduto nella pancia dell’aereo,
si era già lanciato dal suo portellone in diverse occasioni, aveva
addirittura pilotato il Talon decine di volte, ed era sempre andato
tutto liscio: era sempre arrivato a destinazione sano e salvo.
«Arrivare» significava paracadutarsi in una regione piena di gente
pronta a ucciderti. Ma faceva parte del lavoro.
Quella sera, Sam Fisher si preoccupava soprattutto di non morire di
noia.
Si rannicchiò sulla panca, cercando una posizione per non
addormentare gambe e natiche. Si domandò se i progettisti del Talon
non avessero fatto a gara per disegnare i posti più scomodi possibili.
Se era così, ci erano riusciti alla grande.
Il fascino delle operazioni speciali, pensò Sam stendendo una
gamba per massaggiarsi il polpaccio.
Durante le pause tra le varie missioni, per mantenersi in
allenamento, Sam si era offerto volontario per testare uno dei nuovi
giocattoli della DARPA (Defense Advanced Research Projects
Agency), in questo caso un paracadute
invisibile ai radar a lungo raggio di tipo HAHO (High-Altitude, High
Opening), chiamato in codice: Goshawk. La DARPA non solo era il
centro di sviluppo ultra-segreto del Pentagono, ma forniva a Third
Echelon gran parte delle attrezzature e delle armi che Fisher
utilizzava durante le missioni, quelle che gli davano la garanzia di
sopravvivere. Appurare il funzionamento e l’affidabilità del Goshawk
sul campo, per Fisher era questione di vita o di morte: se il test
avesse dato esito negativo, l’agente speciale sarebbe morto.
Le noiosissime ore di attesa erano dovute a un malfunzionamento
della stazione radar di Rhode Island che il NORAD (il North
American Aerospace Defense Command) aveva costruito
appositamente per tracciare (o meglio, nella speranza di non
tracciare) il lancio di Fisher. Se i radar non erano in grado di
individuarlo, il Goshawk sarebbe diventato operativo come il primo
paracadute in grado di lanciare i soldati a duecentoquaranta
chilometri dall’obiettivo, permettendo loro di avvicinarsi al bersaglio
senza essere individuati.
Probabilmente il primo esemplare sarebbe andato a Third Echelon.
Come sottodivisione della NSA (National Security Agency), Third
Echelon aveva il compito di portare a termine missioni top secret
troppo rischiose o delicate per le agenzie di sicurezza tradizionali,
come la CIA o le truppe d’assalto. Come tutti gli agenti operativi di
Third Echelon, Fisher era uno Splinter Cell, un agente solitario del
tutto indipendente. Fisher non aveva idea di quanti altri Splinter Cell
fossero operativi sul campo, e nemmeno gli interessava saperlo. La
priorità di Third Echelon era l’invisibilità : gli agenti non dovevano
lasciare impronte e tracce di alcun genere. Le persone al corrente
dell’identità e della destinazione degli Splinter Cell si potevano
contare sulle dita di una mano.
Una voce gracchiò dall’impianto sottocutaneo di Fisher: «Messaggio
in arrivo, signore».
Per l’equipaggio del Talon, Fisher era un maggiore del 3°
battaglione, 75° reggimento dei ranger di Fort Benning, Georgia. Ma,
considerata la natura del loro lavoro, erano abituati a non fare troppe
domande.
«Inoltramelo.»
«D’accordo, canale cinque.»
Il sistema di comunicazioni di Fisher era lontano anni luce dal
tradizionale elmetto auricolare indossato prima della fondazione di
Third Echelon. Composto di due parti, il sistema includeva un
ricevitore sottocutaneo grande come una monetina, impiantato sotto
la pelle dietro l’orecchio. Il ricevitore bypassava il percorso tipico
delle onde sonore - dal padiglione esterno dell’orecchio fino alla
membrana del timpano - e inviava vibrazioni direttamente alle
minuscole ossa dell’orecchio, che trasferivano il segnale al cervello
per essere decodificato.
Per parlare, Fisher applicava un adesivo a forma di farfalla sulla
gola, appena sopra il pomo d’Adamo, chiamata SVT (Sub-Vocal
Transceiver). L’utilizzo dell’SVT aveva obbligato Fisher a imparare a
parlare come un ventriloquo, oppure bisbigliando appena le parole.
Insieme, questi dispositivi costituivano un sistema di comunicazioni
virtualmente silenzioso.
Fisher picchiettò il ricevitore sottocutaneo per cambiare canale, poi
disse: «Canale aperto».
«In linea, comunicazione in arrivo da Serse» una voce metallica
risuonò nel suo orecchio, seguita da qualche secondo di fruscii e
scariche statiche del segnale che veniva criptato. Serse era il capo,
nonché amico di lunga data di Fisher, il colonnello Irving Lambert,
direttore operativo di Third Echelon. La voce di Lambert arrivò
chiara: «Cambio di programma, Sam».
«Mi faccia indovinare» disse Fisher «voleremo in tondo finché non si
staccheranno le ali di questo affare.»
«Da ora considerati in missione.»
Fisher sentì il Talon che, con un tempismo perfetto,
s’imbarcava a dritta. Il ronzio dei motori si intensificò mentre
raggiungeva la velocità massima.
«Stiamo aggiornando il tuo OPSAT.»
Fisher tirò indietro la manica della tuta e premette il pollice sullo
schermo dell’OPSAT, l’Operational Satellite Uplink, che s’illuminò:
... SCANNER BIOMETRICO ATTIVATO...
... RILEVAMENTO IMPRONTE...
... IDENTITÀ CONFERMATA...
Dopo un ultimo crepitio, lo schermo lampeggiò con un flash bianco,
poi apparve un’immagine satellitare grigioverde. Lo scanner
biometrico era l’ultimo potenziamento dell’OPSAT, progettato non
solo per evitare che occhi indiscreti potessero esaminarlo, ma anche
per impedire che urti accidentali cambiassero le funzioni del
dispositivo. Durante l’ultima missione, Fisher, in fuga, si era trovato
improvvisamente a studiare la mappa del centro di Kyoto mentre
cercava di scappare dal cantiere navale di Nampo.
«Cosa mi state trasmettendo?» chiese Fisher.
Gli rispose Anna Grimsdottir, la guru dell’informatica agli ordini di
Lambert: «Immagini dal vivo da un KH-12 Crystal. Quello che hai
davanti è l’Oceano Atlantico, circa sei miglia a est di Capo Harreras,
nel North Carolina. Vedi quel puntino luminoso?». Una piccola
sagoma ovoidale lampeggiò nell’angolo in alto a destra.
«Lo vedo, è un cargo. Quindi?»
«Ora ti mostro la lettura a infrarossi.»
Lo schermo dell’OPSAT lampeggiò, poi l’immagine del cargo diventò
rossa e arancione. «Accidenti» commentò Fisher «qualcuno
dev’essersi dimenticato di cambiare l’antigelo ai motori.»
«Purtroppo, non credo che tu abbia ragione» commentò Lambert.
«La rilevazione radiometrica identifica la fonte del segnale come
nucleare. Stiamo cercando di vederci chiaro, ma su quella nave c’è
del materiale radioattivo. E punta dritto alla nostra costa.»
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