La ragazza di Roma nord-  Federico Moccia

SINTESI DEL LIBRO:

 Uno squillo, due, tre. Poi entra la segreteria. Non lascio nessun
messaggio. Aspetto un po’, con i gomiti appoggiati alla ringhiera del
balcone, guardo giù in strada. Qualche passante cammina frettoloso,
qualcuno fatica con pesanti buste della spesa. Li vedo arrancare e
allora penso che ognuno ha il suo peso da portare. Un ragazzo e
una ragazza passano in motorino senza casco. Qui a Napoli molte
cose sono permesse, o meglio, tollerate da un suo personalissimo
regolamento non scritto. Più in là, si vedono il mare, il golfo, il
Vesuvio, una cartolina che da anni per me significa vacanza,
divertimento e amici.
Soprattutto amici.
Perché per fare panico basta bere tanto di qualsiasi cosa, anche
le pozzanghere, per il mare ti può andar bene anche la spiaggia di
Rimini, ma per gli amici no. Quelli te li devi scegliere e tenere. Quelli
sono pezzi unici. Come i fiocchi di neve. Non ne trovi mai uno uguale
all’altro.
Sento le loro voci provenire da dentro casa.
«Scordati Godin, l’ho già comprato io...»
«Vabbè, allora mi prendo Marusic, quanto costa?»
«Cinque crediti.»
«Ecco, mio! E vaffanculo.»
Se continuo a cazzeggiare sul balcone con il cellulare in mano, i
bastardi mi soffiano tutti quelli buoni. La mia sarà la stagione di
Fantacalcio più triste della storia. Luca forse avrà pietà di me ma
Fabio e Paolo no.
Anche per una questione di schieramenti. Luca è di Roma come
me. Gli altri due sono del Vomero.
Ci frequentiamo da diversi anni ormai, all’inizio ci si vedeva solo
d’estate a Ischia ma adesso ogni pretesto è buono. Solo che è raro
che Fabio e Paolo si spostino, siamo io e Luca a prendere il treno.
Abitiamo a piazza Caprera, dietro al Giulio Cesare, il nostro ex liceo,
ci mettiamo un attimo ad arrivare alla stazione e in poco più di un’ora
siamo a Napoli Centrale. Per me non è un problema. Anzi. Forse mi
sono scelto amici di un’altra città perché ogni tanto scappare mi fa
sentire a casa. Il grande Lucio cantava Sì, viaggiare, e io sono
d’accordo con lui, anche se il suo viaggio era in macchina, mentre io
preferisco farlo in treno. A volte penso al treno come a un luogo in
movimento. Sempre che abbia senso l’idea di un “posto” che ti
conduce in altri posti. Comunque, è viaggiare quello che conta e
viaggiare su un treno mi fa sentire più importante, come se
appartenessi a tutti i luoghi che guardo dal finestrino; non so perché
ma l’idea di andare in un’altra città mi sembra che apra la mente,
così appena vedo le offerte con gli sconti ne approfitto e mi muovo.
Rifaccio il numero. Uno squillo, due, tre. Poi entra la segreteria e
chiudo. Che strano, odio e amo il telefonino. In teoria ci ha reso tutti
rintracciabili, in pratica siamo solo diventati tutti più paranoici. Se non
trovi qualcuno, ti immagini le peggio cose. I più bastardi, però, sono
quelli che non si fanno trovare. Ci sono due categorie di persone che
meriterebbero la galera: i primi sono quelli che leggono subito il tuo
messaggio ma non rispondono, come se avessero qualcosa di
incredibile e urgente da fare. I secondi sono i tattici, quelli che
tolgono agli altri la possibilità di vedere le spunte blu. Quelli proprio
non li reggo. A che serve? Meglio non aprire nemmeno la chat,
allora.
Se leggi, poi devi rispondere, cavolo.
Oggi prendo la cosa sul personale perché voglio parlare con Sara
e non ci riesco.
Sara è la mia ragazza e da qualche settimana lavora a Verona.
Ha trovato un impiego come hostess per una società che
organizza varie manifestazioni di enologia, una cosa che da un lato
le permette di arrotondare, in attesa di ricominciare i corsi
all’università, e dall’altro le consente di sfogare la sua recente e
incomprensibile fissa per il vino.
A essere sinceri, se penso al vino, io penso alla sbronza. Non
riesco a capire il desiderio di usare dodicimila parole per definire un
sapore. Così proprio non capisco perché Sara stia seguendo un
corso per sommelier e soprattutto perché, ultimamente, senta tanto il
bisogno di andare in giro per cantine. Però le donne, si sa, sono
strane e io, come la maggior parte dei maschi, le guardo, annuisco e
mi rassegno a non capire. Ripenso al fatto che non mi risponde. Di
solito ci sentiamo quando stacca, alle 17.30, e poi ancora alle 20.45,
prima che vada a cena con le sue nuove colleghe hostess. Solo che
questo fatto di sentirsi a orari fissi oggi mi fa tornare in mente Ugo
Baldelli detto Il Capra. Quella del Capra è una storia triste. Lui
diceva sempre “L’abitudine ha le corna”. Era convinto che fosse
meglio evitare di sentirsi o vedersi in giorni e orari prestabiliti, per
impedire alla persona con cui stava di organizzare un tradimento.
Tutta questa strategia, però, non gli è servita a un cazzo. Alla fine ha
trovato comunque la sua ragazza con la lingua in bocca a un altro.
Ma poiché fidarsi è una scelta, io ho scelto di fidarmi di Sara, e
non voglio avere paura della routine. Forse non risponde perché ha
avuto un imprevisto, magari sta discutendo al telefono con sua
sorella che, detto tra noi, è una vera rompicoglioni. Mi chiamano
dall’altra stanza.
«Simone? Hai finito? E dai che aspettiamo solo te!»
Rientro nel salotto dove i miei amici sono raccolti intorno a un
tavolo basso. Luca è mezzo disteso su un vecchio divano marrone
scuro, di velluto, con una gamba penzoloni sul bracciolo. Ci
conosciamo dalle elementari, io e Luca. Studente di Legge iscritto al
terzo anno, lui è convinto che si possa capire la direzione presa dalle
cose semplicemente osservando gli indizi che ci circondano. Quindi,
in definitiva, se guardando la vita continuiamo a non capire dove
stiamo andando è solo perché siamo pigri, o ancora peggio dei
rincoglioniti. Poi c’è Fabio, che ha scelto di stare su una sedia vicino
al tavolo e si beve una Corona. Fabio è uno di quelli che ci godono a
metterti in crisi. A volte penso che sia incazzato con qualcosa o con
la vita in generale. Ma gli voglio bene lo stesso. Chiude il terzetto
Paolo, il padrone di casa, buttato su una poltrona bordeaux tutta
logora, grande quasi quanto il divano, in questo grottesco tentativo di
arredamento. Per terra c’è un tappeto pieno di disegni ottomani; tra
linee marroni, altre verdi, altre bordeaux, questo è l’unico elemento
che cerchi disperatamente di dare un senso, un tono all’ambiente,
avrebbe detto il Drugo de Il grande Lebowski.
I genitori di Paolo, Diego e Marina, proprietari della casa, sono
simpatici e generosi e, malgrado non vivano proprio nell’agiatezza, ci
mettono all’ingrasso. Ci danno cibo a ciclo continuo: tra pizza,
calzoni, crocchette e ogni cosa che venga fatta bene a Napoli.
I miei amici hanno tutti il telefonino tra le mani e stanno
componendo la loro squadra, dando un’occhiata alle liste e alle
quotazioni di fantacalcio.it.
Li raggiungo.
«E meno male...» Fabio allarga le braccia. «Sono stato con la mia
ex un anno, ma cazzo, non stavo attaccato al telefono. Al massimo
le mandavo un messaggio della buonanotte.»
«Chiediti perché ti ha scaricato...»
Mi punta addosso la sua bottiglia di birra: «Io l’ho scaricata...».
«E te, Simo, da quanto ci stai con Sara? Due secoli?» chiede
Paolo.
«Un anno domani» rispondo, mi siedo e apro la formazione della
mia squadra.
«Un anno domani e stai qua con noi?» dice Fabio con l’aria di
farmi tana. «Tu qua,» indica il pavimento «e lei... Dov’è che sta lei?»
«A Verona» rispondo.
«Verona» ripete Fabio come a voler intendere dietro l’angolo.
«Che stronzo maledetto che sei! E dire che con questi treni
superveloci ci metteresti un attimo...»
«...superveloci e supercostosi se compri un biglietto così, senza
qualche promozione.»
«Stai con una da un anno e ti metti a fare il braccino?» mi
accusa.
«Fabio non ha torto. Stiamo parlando di anniversario» aggiunge
Paolo.
Ma che gliene frega a Fabio e Paolo del mio anniversario? Per un
attimo sospetto che mi stiano prendendo per il culo. Invece non
ridono. Sono seri. Secondo me se la sono preparata mentre ero di
là. Luca fa un cenno con il mento.

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