La metà oscura – Stephen King

SINTESI DEL LIBRO:
Devo molto allo scomparso Richard
Bachman per l'aiuto e l'ispirazione
che mi ha dato. Senza di lui questo
romanzo non sarebbe stato scritto.
Questo libro è per Shirley
Sonderegger,
che mi aiuta a occuparmi dei fatti
miei,
e per suo marito Peter.
Prologo
«Affettalo», disse Machine.
«Affettalo già che sono qui a
guardare. Voglio vedere scorrere il
sangue. Non fartelo ripetere due
volte.»
La macchina di Machine
di George Stark
La vita di ciascuno, intendendo
quella vera, non la semplice
esistenza fisica, comincia in
momenti diversi. La vera vita di
Thad Beaumont, un ragazzo nato e
cresciuto nel quartiere di Ridgeway
a Bergenfield, New Jersey, ebbe
inizio nel 1960. In quell'anno gli
accaddero due fatti. Il primo formò
la sua vita e il secondo per poco non
vi pose fine. All'epoca Thad
Beaumont aveva undici anni.
In gennaio aveva partecipato con un
racconto a un concorso proposto
dalla rivista American Teen. In
giugno ricevette per lettera, dalla
redazione della rivista, la
comunicazione di aver ottenuto una
«segnalazione speciale» nella
sezione narrativa. Si aggiungeva che
la giuria gli avrebbe attribuito il
secondo premio se dalla sua
domanda di partecipazione non
fosse risultato che gli mancavano
ancora due anni per essere un
teenager americano a pieno titolo.
Secondo la redazione, tuttavia, il suo
racconto «Davanti alla casa di
Marty» mostrava un talento
straordinariamente maturo e
meritava un elogio speciale. Due
settimane dopo gli fu recapitato il
Certificato di Merito. Arrivò per
posta raccomandata e assicurata. Il
certificato riportava il suo nome in
caratteri Old English così rabescati
che stentò a decifrarlo; in fondo
c'era un sigillo dorato dal quale
emergeva in goffratura il logo dell'
American Teen: un ragazzo con i
capelli corti e una ragazza con la
coda di cavallo lanciati in un ballo
sfrenato.
Stringendolo fra le braccia, la madre
coprì di baci il figlio Thad, che era
un bambino tranquillo e dall'aria
seria, apparentemente incapace di
mantenere la concentrazione e
incline a inciampare spesso nei
piedoni. Suo padre manifestò minore
entusiasmo per l'avvenimento.
«Se il racconto era così buono,
perché non gli hanno dato dei
soldi?» bofonchiò dal ventre della
sua poltrona.
«Glen...»
«Lascia perdere. Magari Ernest
Hemingway vorrà essere così gentile
da farmi arrivare una birra quando
avrai finito di sbausciarlo.»
Sua madre non ne parlò più... ma
fece incorniciare la lettera e il
certificato che a essa era seguito,
pagando con i propri risparmi.
Appese quindi il riconoscimento
nella camera di Thad, proprio sopra
il letto, e quando venivano in visita
parenti o amici, li accompagnava a
vederlo. Thad, spiegava a tutti, un
giorno sarebbe stato un grande
scrittore. Lei aveva sempre presagito
il successo di suo figlio e lì c'era la
prima prova tangibile. Thad ne era
molto imbarazzato, ma voleva
troppo bene a sua madre per
confessarglielo. Al di là del disagio
però, riteneva che sua madre avesse
ragione almeno in parte. Non sapeva
se avesse il talento necessario a
diventare un grande scrittore, ma
sicuramente scrittore sarebbe
diventato. Perché no? Ci sapeva
fare. E poi lo prendeva bene.
Quando gli venivano le parole
giuste, lo prendeva proprio alla
grande. E non avrebbero potuto
appellarsi per sempre a qualche
cavillo tecnico per trattenergli i soldi
dovuti. Non sarebbe stato per
sempre un undicenne.
Il secondo fatto importante che gli
capitò nel 1960 ebbe inizio in
agosto. Fu allora che cominciò ad
avere mal di testa. Sulle prime non
fu niente di grave, ma quando ai
primi di settembre la scuola riaprì i
battenti, l'accenno di dolore che per
molti giorni era rimasto in agguato
nelle tempie e dietro la fronte era
ormai degenerato in prolungate crisi
di mostruosa sofferenza. Quando si
trovava nella morsa di quegli
attacchi di cefalea, poteva solo
sdraiarsi al buio nella sua camera e
aspettare di morire. Alla fine di
settembre era arrivato a sperare di
morire e per la metà di ottobre le sue
condizioni erano peggiorate a tal
punto che cominciava a temere di
dover continuare a vivere. L'avvio di
quelle crisi terribili era solitamente
segnalato da un suono fantomatico
che sentiva solo lui, simile al
lontano e confuso cinguettare di
mille uccellini. Certe volte gli
pareva quasi di vederli, quegli
uccellini, che credeva fossero
passeri, tutti allineati sui cavi del
telefono e sui tetti, come
normalmente facevano in primavera
e in autunno.
Sua madre lo portò dal dottor
Seward.
Il dottor Seward gli scrutò il fondo
degli occhi con un oftalmoscopio e
scosse la testa. Quindi, accostate le
tende e spenta la luce centrale, invitò
Thad a fissare lo sguardo su uno
spazio bianco di parete nella saletta
delle visite. Fece poi lampeggiare il
fascio di luce di una torcia,
accendendo e spegnendo in rapida
successione un bagliore circolare
sulla parete.
«Ti dà una sensazione strana,
figliolo?»
Thad segnalò di no con il capo.
«Non senti vertigini? Non ti sembra
di stare per svenire?»
Thad scosse la testa di nuovo.
«Nessun odore? Come di frutta
marcia o stracci che bruciano?»
«No.»
«E i tuoi uccellini? Li hai sentiti
mentre guardavi la luce
lampeggiante?»
«No», rispose Thad perplesso.
«È una questione di nervi», dichiarò
suo padre dopo che Thad fu fatto
passare in sala d'aspetto. «Quel
dannato ragazzo è un groviglio di
nervi.»
«Io credo che sia emicrania», disse
loro il dottor Seward. «Insolito in
una persona così giovane, ma non
senza precedenti. Mi è sembrato
molto... introverso.»
«Lo è», confermò Shayla Beaumont,
non senza una punta di
apprezzamento
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