I cartelli dei narcos. La vera storia – Melissa Del Bosque

SINTESI DEL LIBRO:
L’agente speciale Scott Lawson accostò nel parcheggio vuoto e
spense il motore1
. Riusciva a sentire il rumore cadenzato dei fucili
automatici – pop, pop, pop, pop – che riecheggiava in Messico,
dall’altra parte del fiume. Abbassò il finestrino dal lato del guidatore,
e sollevò la mano sinistra per schermarsi gli occhi dal sole del Texas
meridionale.
Era arrivato da poco a Laredo, in Texas, e ogni tanto si recava in
quel parcheggio nei pressi del fiume perché era il punto più vicino a
Nuevo Laredo che potesse raggiungere senza entrare in territorio
messicano, fuori dalla sua giurisdizione. La città messicana era a
meno di cinquecento metri dal punto in cui si trovava la sua Chevy
Impala malmessa, ma era come se fosse a un mondo intero di
distanza. Scrutò l’ampio letto del Rio Grande mentre scorreva
languidamente sotto il ponte internazionale diretto verso il Golfo del
Messico. Aveva sentito che la calma del fiume poteva trarre in
inganno, che nell’acqua si nascondevano correnti nascoste. I
messicani lo chiamavano Rio Bravo: il fiume feroce. Lawson scese
dall’auto e si avvicinò all’argine. Dalla sponda, riuscì a vedere un
groviglio caotico di linee telefoniche e cavi elettrici, cartelloni
pubblicitari in spagnolo e vecchi edifici bianchi in stile coloniale, del
tutto simili a quelli che si trovavano nel centro di Laredo. Non fosse
stato per il fiume, sarebbe stato facile considerare le due città come
una sola.
Istintivamente, sentendo il ritmo del fuoco rapido che
riecheggiava dall’altra parte del fiume, gli venne da fare una smorfia.
Una colonna di fumo nero si innalzò nel cielo. Qualcosa stava
andando a fuoco. Non riusciva a capire di cosa si trattasse. Una
bandiera messicana – la bandiera più grande che avesse mai visto –
sventolava nella calda brezza pomeridiana vicino agli uffici doganali
dall’altra parte del fiume. Gli sovvenne che non avrebbe potuto
essere più lontano dalla sua casa in Tennessee. Ma in quanto
novellino non aveva avuto parola in merito alla scelta dell’FBI sulla
sua prima destinazione. E dopo sei settimane al confine, stava
ancora cercando di capire in che razza di posto fosse finito.
Ogni giorno, seduto alla sua scrivania, leggeva della carneficina
in corso e scorreva fotografie cruente su siti come Borderland Beat,
che segnalavano ossessivamente qualsiasi svolta ed evento nella
guerra per la droga in Messico. Ma gli sembrava ancora tutto molto
astratto. Per questo quando era venuto a sapere che a Nuevo
Laredo era scoppiata un’altra sparatoria aveva lasciato il suo ufficio
per raggiungere in auto l’argine del fiume. Ma mentre se ne stava in
piedi vicino alla sponda, un gringo alto e biondo con stivali da
cowboy, evidentemente fuori posto – come una specie di bersaglio
ambulante, pensò – non vide tracce degli Zeta o del Cartello del
Golfo, che si erano dichiarati guerra a vicenda pochi giorni prima.
Riusciva solamente a sentire l’eco rimbombante del fuoco dei fucili
automatici e a vedere le tracce di fumo che indicavano che le due
fazioni stavano combattendo per conquistare il territorio, la violenza
che si riversava oltre i confini di Nuevo Laredo.
Sul fronte americano del fiume la vita proseguiva come al solito.
La guerra per la droga imperversava nella regione da sette anni, e si
era ormai trasformata in una surreale quotidianità. A un isolato di
distanza da dove aveva parcheggiato la volante, le persone
continuavano a fare spese nei negozi del centro, mentre i messicani
– tra cui molti civili innocenti – morivano nella città dall’altra parte del
fiume. Le fonti messicane dell’FBI avevano già previsto che quella
guerra sarebbe stata ancora più violenta della precedente, che
risaliva a cinque anni prima, quando due ex alleati avevano unito le
forze contro il cartello di Sinaloa per la conquista della città.
All’epoca, nel 2005, le forze di polizia di Nuevo Laredo erano state
spazzate via, i corpi degli agenti squartati e lasciati in grossi sacchi
di plastica dagli assassini del cartello2
. L’esercito messicano aveva
pattugliato le strade all’interno di veicoli blindati, e molti avevano
iniziato a definire la città “piccola Baghdad”.
Nel corso della sua prima settimana a Laredo, a Lawson era
stato detto che il loro lavoro consisteva nell’impedire che la violenza
attraversasse il fiume. Ma finora aveva trascorso la maggior parte
del tempo seduto alla sua postazione tappezzata di grigio, a studiare
un manuale di procedure dell’FBI grosso quanto un elenco telefonico,
a redigere rapporti, chiamati 1023, per gli analisti d’intelligence
dell’FBI o ad appuntarsi qualsiasi informazione che riuscisse a
trovare sulla violenza in aumento a sud del Rio Grande.
Gli mancava lavorare sul campo come agente nella periferia di
Nashville. In piedi sull’argine del fiume, con i suoi trent’anni e il
nuovo distintivo dorato dell’FBI appuntato alla cintura sotto la camicia,
si domandò se avesse commesso un errore. Era cresciuto
idolatrando i poliziotti che, come suo padre, lavoravano nelle piccole
cittadine. Ma era stato sempre suo padre a insistere affinché lui
avesse qualcosa in più rispetto al modesto salario di un poliziotto.
Motivo per cui, sin da quand’era piccolo, gli aveva ficcato in testa
l’idea di lavorare nell’FBI. Ma qual era il senso di far parte di
un’agenzia federale esclusiva se a conti fatti era bloccato dietro una
scrivania? Nuevo Laredo sta andando a fuoco, pensò malinconico, e
io non faccio che scrivere rapporti.
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