Vedi alla voce: amore – David Grossman

SINTESI DEL LIBRO:
Il giovane Neuman, ormai cresciuto, ragazzo almeno se non uomo, si mette a
divorare un libro dopo l'altro (dal Diario di Anna Frank ai racconti di Shalom
Aleichem) fino a che non si imbatte nel suo autore: il mitico Bruno Shulz, lo
scrittore delle Botteghe color cannella, ucciso da una pistola nazista. Momik
decide di salvarlo: Bruno non è morto, ma ha preso un treno per Danzica e
qui ha visitato una mostra di Edvard Munch. Irretito dal fascino del celebre
dipinto di Munch, Il grido, Bruno si è avvicinato al quadro e lo ha baciato.
I custodi lo hanno acciuffato e picchiato e così Shulz ha perduto il
manoscritto (che portava con sé) del Messia, il romanzo mai più ritrovato, cui
stava lavorando. Poi è sceso fino al mare e nel mare si è immerso, accolto
dalla femminile massa liquida con amore. Siamo ormai nel cuore di un mito,
di una invenzione-trasfigurazione mitologica. Nel mare-amante di lui e del
suo corpo, Bruno è diventato pesce, salmone in un branco di salmoni,
accompagnandoli nel lungo viaggio di ritorno al loro fiume di origine. Come
il lettore potrà constatare facilmente, il capitolo è molto più complesso di
quanto possa dire uno svelto riassunto. Si tratta nientemeno che della
palingenesi del mondo e dell'uomo in particolare, affidata alle personali
mitologie di Neuman-Grossman, ed è forse il capitolo più ingenuo e insieme
la sfida più difficile. Si capisce che è una strada per superare la Cosa, mentre
con il capitolo successivo nella Cosa (tanto vale, no?) ci si ritorna dentro.
Il terzo capitolo, infatti, è dedicato alla storia di Anshel Wasserman, il
"nonno" recapitato dall'ambulanza, il vecchio Generated by ABC Amber
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eternamente farneticante, eternamente colloquiante con "Herrneigel".
Momik, quando il vecchio era arrivato, aveva già intuito la sua vicenda,
straordinaria e terrificante. Capitato nel campo di concentramento diretto da
Herr Neigel, Wasserman sopravvive alla camera a gas e, miracolosamente,
anche alle pallottole. Quando Herr Neigel tenta di smentire il miracolo e gli
spara a sua volta, la pallottola manca il bersaglio e Wasserman continua a
vivere.
Bisogna a questo punto sapere che Wasserman era stato, nei primi decenni
del Novecento, un popolare scrittore di storie per ragazzi.
Scriveva su "Piccole Luci" le storie dei "Ragazzi di Cuore", con uno stile
enfatico e un po' arcaicizzante, e quelle sue storie erano state molto amate e
tradotte. Tra i suoi lettori bambini c'era anche l'allora bambino Neigel.
Adesso, scoperto ciò, Herr Neigel chiede a Wasserman di raccontargli una
storia la sera, e il vecchio ebreo riluttante e straziato (Neigel gli ha
assassinato la figlia) alla fine stringe con lui un patto, l'esatto rovescio della
storia di Sheherazade: se la storia piacerà, il comandante gli farà la grazia di
ammazzarlo, finalmente.
Torna così in vita, in questo capitolo allucinato e tortuoso, cui partecipano i
due protagonisti, ma anche Momik come interlocutore del vecchio
Wasserman, la banda dei Ragazzi di Cuore, ormai vecchi e poco disposti,
come poco disposto è il loro autore, a ingaggiare nobili battaglie. La storia è
talmente e volutamente sgangherata che è impossibile riassumerla in qualche
modo. Possiamo solo dire, in una parola, che la storia è una trappola e che il
nemico dei Ragazzi di Cuore, questa volta, è la belva nazista. Infatti sarà Herr
soccombere, alla fine, tradito dalla storia medesima. Con disappunto di
Neuman, però, Wasserman ha introdotto nella sua storia un neonato di nome
Kasik. E' un neonato assai strano, malato di una rara malattia/metafora che lo
porta a vivere una vita intera condensata in un solo giorno. E' a lui, al
disvelamento del suo essere, che Grossman dedica il suo ultimo tentativo di
"spiegazione": un'enciclopedia.
L'enciclopedia spiega il titolo, ma si tratta di un'enciclopedia impossibile: il
tentativo disperato di analizzare la vita di un essere e quindi di tutti gli esseri,
qui simbolicamente rappresentati dai personaggi del romanzo. E', infine,
un'enciclopedia curiosa, dove le voci rimandano l'una all'altra, senza un rigo
di commento (vedi per esempio l'incrocio tra "compassione" e "pietà"). I
sentimenti, le azioni possono anche essere autoreferenziali, spiegarsi senza
bisogno di spiegazioni. La Cosa è inspiegabile, eppure spiegabilissima.
Forse l'unico possibile approdo è, secondo un personaggio del libro,
l'humour, che consente una lettura trasversale delle cose. Il romanzo di David
Grossman è anche un grande grottesco, dove il balbettio arcaico dei vecchi e
le voci del quartiere di Gerusalemme e le parole di Quel Paese Lì e le fole
senza senso del vecchio Wasserman e le parole dei libri amati e mandati a
memoria, si incrostano l'una sull'altra, fanno "massa" ed esplodono in una
scrittura pluritonale, ricca di invenzioni. Non che il romanzo regga sempre
allo stesso livello, ma certo è carico di tensione, di esperienza mentale vissuta
fino allo spasimo, che si fa scrittura.
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Dunque, Grossman (nel romanzo c'è anche la sua personale storia di giovane
scrittore con una moglie e poi una temporanea amante e un figlio nato con
difficoltà) ha cercato di interrogare la Cosa, senza mai mostrarla. O meglio,
senza mai mostrarla direttamente. Alla voce nozze si legge che una zia Itka,
per non turbare la cerimonia, ha coperto il famigerato numero con un cerotto.
"Sentivo come se lì, sotto quel cerottino pulito, zia Itka avesse un abisso
molto profondo, che ci aspirava, ci risucchiava tutti, la sala festosa, gli ospiti,
l'allegria. Ho sentito il bisogno di raccontarlo qui.
Scusatemi."
Alla fine possiamo dire che David Grossman ha interrogato la Cosa,
l'Olocausto e la memoria dell'Olocausto, non come fosse già morta e sepolta,
ma come se stesse per arrivare: minacciosa. Così l'ha vissuta a un ritmo
insostenibile: essa non era ancora, ma la sua memoria era già, un po' come il
bambino che vive una vita intera in un giorno, o per dire meglio, che tenta di
riesplorare la Vita cercandone la radice nei brandelli di una umanità
impazzita e distrutta.
Dopo la Cosa, in fondo, un gesto liberatorio era impensabile. O
forse proprio dopo, questo libro folle e scientifico, ingenuo e poetico,
drammatico e grottesco era dovuto. Era necessario.
Paolo Mauri.
Momik
Era andata così, che qualche mese dopo che Nonna Heni fu morta e seppellita
sottoterra, Momik ebbe un nuovo nonno. Questo nonno arrivò nel mese di
Shevat dell'anno cinquemilasettecentodiciannove, che in lingua straniera
sarebbe il mille novecento e cinquantanove, e non venne dal Dipartimento
per la Ricerca dei Congiunti e Nuovi Immigranti, la cui trasmissione Momik
doveva stare a sentire tutti i giorni tra l'una e venti e l'una e mezzo mentre
mangiava la colazione, e star ben bene attento se alla radio dicevano uno dei
nomi che il babbo gli aveva scritto su un foglio: no, il nonno era arrivato con
un'ambulanza della Stella-di-Davide-Azzurra che si era fermata nel
pomeriggio nel bel mezzo di una bufera di pioggia davanti alla DrogheriaCaffè di Bella Markus, e ne era sceso un uomo grasso e abbronzato ma non
uno di quelli neri bensì uno dei nostri, e aveva chiesto a Bella se conosceva
qui nella strada la famiglia Neuman, e Bella si era spaventata e si era
asciugata presto presto le mani al grembiule e aveva chiesto sì sì è successo
qualcosa Dio liberi? E
l'uomo aveva detto che non c'era nulla da spaventarsene, nulla era successo, è
solo che vi abbiamo portato qui un parente, e aveva additato col pollice
all'indietro verso l'ambulanza che pareva del tutto silenziosa e vuota, e Bella
s'era fatta tutt'a un tratto bianca.
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