Centauri: Alle radici della violenza maschile- Luigi Zoja

SINTESI DEL LIBRO:

 Centaurismo
Oggi, lo stupro collettivo è
sempre considerato un crimine,
diversamente dalle epoche in cui era
una eccezione tollerata (soprattutto
nel «diritto di saccheggio»).
Ci si aspetterebbe che questo lo
renda un evento sempre più remoto.
Invece, esso ritorna in forma
incontrollata proprio nella modernità
e in Europa. A partire dalla Seconda
guerra mondiale sembra trasformarsi
in epidemia ricorrente, soprattutto ai
margini del mondo occidentale e
delle sue ex colonie. Divampa
rapidissimo in occasione di guerre,
ma spesso si radica in perversioni
croniche anche quando è tornata la
pace. Non si tratta della semplice
somma di violenze individuali. Lo
stupratore singolo ha una personalità
chiaramente patologica, è
consapevole di commettere un
crimine e cerca di nascondersi. Lo
stupro di gruppo è invece una
sindrome collettiva orgiastica
1
, che
rimuove o elimina i sensi di colpa.
Chi non partecipa è deriso o
guardato con sospetto e può
addirittura provare la sensazione di
essere anormale
2
. Propriamente
parlando, patologico non è
l’individuo (che infatti, negli eserciti
moderni, dovrebbe aver superato
una selezione rivolta a scoprire
disturbi mentali) ma l’insieme in cui
è inserito, la mente collettiva da cui
la sua psiche è sballottata, piccola
scialuppa in un’immensa tempesta.
Questa possessione di gruppo è
la sorprendente ricomparsa di un
mito classico nel cuore della
modernità: quello dei centauri. Per il
centauro non esisteva differenza tra
vita sessuale e violenza sessuale:
erano una cosa sola, la vera forma di
sessualità era lo stupro. Per il
centauro non esisteva neppure
differenza tra guerra e violenza
orgiastica sulle donne: erano una
cosa sola, la sola forma di lotta era
quella accompagnata da ebbrezza
collettiva e stupro. Per questa estasi
perversa si può quindi usare il nome
di centaurismo.
Il residuo animale del maschio
Lungo l’evoluzione naturale,
l’identità femminile è relativamente
stabile: così, quando comincia ad
apparire una società non più animale
ma umana, nelle femmine biologia e
cultura si fondono in un
ruolo collaudato e poco
contraddittorio. L’identità maschile
che conosciamo è invece ben più
recente, legata alla società e alla
storia. Come tale è molto meno
definitiva e assai più fragile. Uno dei
motivi che può aver portato al
dominio maschile è il bisogno di
negare questa precarietà.
Nella scala evolutiva, giunti ai
mammiferi, le femmine evolvono
verso una cura e una educazione dei
piccoli sempre più complessa; i
maschi, invece, si limitano a
competere fra loro per
l’accoppiamento. Anche negli
animali più vicini a noi, le grandi
scimmie, le femmine hanno un ruolo
intrecciato di compagne, di madri e
persino di educatrici; invece, per il
maschio, a decidere i rapporti è
soprattutto la lotta con gli altri
maschi: può rimanere nel tempo con
alcune femmine (in genere non è
monogamico) e con i rispettivi
piccoli, ma l’origine di ciò non sta in
legami di coppia o di paternità, bensì
nelle vittorie sugli altri maschi, che
gli hanno permesso di salire a questa
posizione sociale

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