Bontà- Walter Siti

SINTESI DEL LIBRO:

 Capitolo primo
Open space
«Fare schifo è un atto politico»: Ugo ci ripensa stando seduto sul water, a
questa frase scritta con mano incerta e vernice bordò su una saracinesca di
viale Monza, letta casualmente mentre tornava dall’aver mezzo litigato con
un amico in via dei Transiti
1
. Una di quelle frasi facili da capire e difficili da
spiegare; soprattutto in una bella mattina di primavera, nell’open space
rimbombante come un alveare, dove l’unico riparo in muratura è il cesso –
come se la sola cosa degna di essere protetta col segreto fossero gli spurghi.
Non le creazioni o le idee, dio guardi; che anzi quelle devono mostrarsi
sgargianti, bling bling, trasparenti agli occhi del Potere. Casa di vetro
disegnata da un’archistar, innovativa e redditizia, in un orizzonte di pattume e
detriti. Non mollare mai, non smettere di sperare, avere per limite l’infinito,
chi ha fede nei sogni vince sempre; la luce in fondo al tunnel, la sintesi
positiva, il salto di paradigma, ecco il compito della cultura in un momento
complesso di transizione. Alla fine l’umanità troverà la strada migliore per
vivere serena nell’universo, la tecnologia consentirà all’uomo di superare se
stesso, solo non chiedeteci attraverso quali mutazioni: voi mantenetevi liberi,
aperti ai cambiamenti, freschi come i fiori di pesco selvatico che tremano in
giardino; even the death, perfino la morte sarà sconfitta. Contro i ritornelli
dell’integrazione ottimista, sí, fare schifo è un atto politico, mio sconosciuto e
strafatto writer, fratello mio.
Ugo combatte col pulsante dello sciacquone, sempre tre volte
istericamente premere, e comunque se non si bestemmia non parte – chiamare
l’idraulico. Esce dalla toilette e torna verso il privilegio dello studiolo privato,
brillante capsula cristallina. Non è facile volergli bene guardandolo cosí, di
spalle, vecchio culattone incallito nei vizi, con la giacca blu chiaro principe di
Galles confezionata su misura da Bespoke in viale Abruzzi – magro e
segaligno nello sforzo troppo puntiglioso di non cedere alle défaillance della
vecchiaia; il piú fastidioso dei suoi difetti è proprio quell’essere
perennemente in posa, come se si sentisse sotto esame mentre in realtà è lui
che si erge a giudice del mondo, mai nulla che lo soddisfi. Storce quelle
labbra vistose, volgari come una verza sgualcita, in contrasto col volto
oblungo e severo.
Si siede alla poltrona girevole di pelle; sul piano della scrivania, là dove
molti colleghi tengono la foto dei figli, è incorniciata una riproduzione
dell’Atalanta e Ippomene di Guido Reni – i corpi eroticamente spettrali
divaricati e opposti sotto i panneggi cangianti, in una luce di bronzo. Su uno
scaffale della libreria (trincea difensiva, quasi solo opere della «casa» e
cataloghi) ha da tempo abdicato al proprio ruolo di ammiccante rimprovero
un cartiglio che gli hanno regalato quando è stato nominato, tra le invidie,
direttore editoriale: «I never make the same mistake twice», poi piú in
piccolo e in verde: «I make it five or six times, just to be sure». Ugo si
concentra, prepara le parole per tranquillizzare la piccola editrice consociata a
cui è stato scippato un dirigente e dove presto cadrà una pioggia di casseintegrazioni; ma prima chiude gli occhi, si lascia cullare dal ronzio degli
alimentatori elettrici e dalle bocche di calore ancora funzionanti per un
imperscrutabile timing dell’economato.
– Ti sei accorto che sul sito di Amazon il titolo della Annino è sbagliato?
non è che la colpa è nostra e Amazon si è basata sul bollettino dei librai?
– Buongiorno Mirella, oggi non ci siamo ancora salutati…
– Sí, scusa, bongiorno: ma quella mi sta tirando scema, è un quarto d’ora
che strilla come un’aquila.
Connivenza segreta effettivamente ha un senso, Convivenza segreta è da
rotocalco; gli autori spesso rompono il cazzo ma stavolta la Annino ha
ragione.
– È un caso filologico da manuale, di lectio facilior…
– Beato te che la butti sull’erudito, ma se tu ti tr…
– Contatta Amazon, controlla il bollettino, non è sicuro ancora in quale
lancio uscirà, vedi tu.
– No, vediamo tutti… è schedulato per maggio, o c’è qualcosa che dovrei
sapere?
– Se una stronzata di questo tipo ti preoccupa, allora mi preoccupo io…
Mirella, la capa dell’ufficio stampa, svanisce nello spiraglio di vuoto,
irritata. Da questa parte del vetro la telefonata di Ugo si risolve in prevedibile
litania («un attimino aggiornarvi… coinvolge piú rami dell’azienda… è ovvio
che voi rimanete un asset strategico… comprendo con che spirito ve ne siete
andati dall’ufficio ieri sera… stiamo lavorando tutti fuori giri… dobbiamo
elevare il livello di autonomia di ognuno di noi… spero che non ci saranno
paranoie…») – di là, nell’acquario piú grande dei pesci comuni, la vicenda
della Annino registra qualche strascico:
– Il titolo scartato era meglio, e non si prestava a cambi di consonante.
– Com’era l’altro titolo?
– Il bene penultimo.
– Peggio, se lí cambiava una consonante eravamo fottuti…
– Almeno non poteva dire che fosse una lectio facilior.
– Per lui la è, fídati…
Risate. Non l’hanno informato a proposito della riunione sindacale,
quando ci va annuisce vigorosamente verso chiunque sostenga la necessità
del turnover – come se lui non dovesse già essere in pensione da quel dí.
Intorno alla macchinetta del caffè (e a quella delle bibite, e degli snack) si
raduna lo svago, il momento di relax – cazzeggi veloci in cui affiorano,
nascondendosi, i timori per il futuro, le ambizioni di carriera, le antipatie piú
o meno incancrenite o provvisorie; saghe tragicomiche che nessuno scriverà
mai. L’open space amplifica tutto, c’è chi si protegge dal rumore con le cuffie
e la musica in sottofondo: soprattutto le ragazze che lavorano al microediting,
coi loro rami gialli di forsizie accanto ai Mac scintillanti e alla mela
mangiucchiata. Molte si portano la schiscetta da casa, la frittata o il cuscús
cucinati dalla mamma, per sfamarsi a mezzogiorno su un tovagliolo senza
perdere tempo. Già questo è malvisto da alcuni: «ma chi ti credi di essere, stai
impaginando i pensierini di una fashion trendsetter, cocca, mica il
capolavoro-testamento di Philip Roth».
– A proposito, l’hai scritto l’aneddoto per il cuoco stellato?
– Devo cannare ancora qualche congiuntivo e sono a posto…
– E se ci chiedono di fare le frasi di Emma Marrone?
– Ma magari… ci paga lo stipendio a tutti.
– Sí, e chi lo segue?
(Guardano perfidi la novizia, qui per sei mesi in rimpiazzo-maternità; si
tirano addosso la parola «qualità» come se fosse uno straccio bagnato).
– Tranquilli, l’ha già preso Mondadori

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