Roma alla conquista del mondo – Simon Scarrow

SINTESI DEL LIBRO:

Non mi va di puntare su quello alto», borbottò il centurione
Macrone.
«Per quale motivo, signore?»
«Ma guardalo, Catone! È pelle e ossa. Non durerà a lungo contro
l’avversario». Macrone indicò con un cenno del capo l’altro lato
dell’arena improvvisata, dove un prigioniero tarchiato stava
ricevendo uno scudo e una spada corta. L’uomo prese con riluttanza
quelle armi sconosciute e adocchiò il suo avversario. Catone tornò a
esaminare il Britanno alto e magro, vestito soltanto di un piccolo
guardareni di pelle.
Uno dei legionari addetti all’arena gli infilò in mano una lunga
fuscina.
Il Britanno la soppesò e regolò la presa per ottenere il massimo
bilanciamento. Dava l’impressione di conoscere le proprie armi e si
muoveva con una certa padronanza.
«Io scommetterò su quello alto», si decise Catone.
Macrone si voltò di scatto. «Ma sei pazzo? Guardalo».
«L’ho guardato, signore. E mi fiderò del mio giudizio».
«Il tuo giudizio?». Il centurione sollevò le sopracciglia. Catone,
uno sbarbatello della casa imperiale di Roma, era entrato nella
legione soltanto l’inverno precedente. Era legionario da neanche un
anno e già esprimeva giudizi come un veterano.
«Fa’ come ti pare, allora». Macrone scosse il capo e si mise
comodo, in attesa che cominciasse l’ultimo combattimento. Quella
giornata di giochi era stata organizzata dal legato Vespasiano, in una
valle dell’accampamento mobile della Seconda Legione. L’indomani
le quattro legioni e le truppe ausiliarie si sarebbero rimesse in marcia
sotto la guida del generale Plauzio, determinato a impadronirsi di
Camulodunum prima che arrivasse l’autunno. Se fosse caduta la
capitale nemica, la coalizione delle tribù britanniche capeggiate da
Carataco, re dei Catuvellauni, si sarebbe frantumata. I quarantamila
uomini di Plauzio erano tutto ciò che l’imperatore Claudio era riuscito
a reperire per l’audace invasione di quelle isole brumose al largo
della Gallia. I soldati sapevano di essere numericamente molto
inferiori rispetto ai Britanni. Ma per il momento il nemico era
disperso. Colpendo il cuore della resistenza britannica prima che lo
squilibrio numerico divenisse decisivo, i Romani avrebbero avuto la
vittoria a portata di mano. Il desiderio di proseguire era nei cuori di
tutti, ma gli stanchi legionari erano anche grati per quel giorno di
riposo e per l’intrattenimento fornito dalle gare di lotta.
Venti Britanni erano stati messi l’uno contro l’altro, muniti di varie
armi. Per rendere la cosa ancor più interessante, le coppie erano
state estratte a sorte dall’elmo di un legionario, e una manciata di
incontri erano stati gradevolmente squilibrati. Così sembrava essere
anche quest’ultimo.
L’aquilifero della legione, che aveva il ruolo di maestro delle
cerimonie, si diresse a passi lunghi al centro dell’arena, agitando le
mani per ordinare il silenzio. Gli assistenti dell’aquilifero si
affrettarono a raccogliere le ultime scommesse e Catone si rimise a
sedere accanto al suo centurione, dopo aver puntato con una quota
di cinque a uno. Non era una buona quotazione, ma si era giocato la
paga di un mese e in caso di vittoria avrebbe ottenuto una bella
sommetta. Macrone aveva scommesso sull’avversario muscoloso
con la spada e lo scudo. Molti meno soldi, a quotazioni più basse,
che riflettevano la valutazione dei combattenti.
«Silenzio! Fate silenzio!», gridò a squarciagola l’aquilifero.
Nonostante l’atmosfera festosa, la disciplina si impose
automaticamente sui legionari radunati. In pochi minuti gli oltre
duemila soldati si zittirono e attesero che iniziasse l’incontro.
«Dunque siamo arrivati all’ultimo combattimento! Alla mia destra
vi presento uno spadaccino; è robusto, e un guerriero capace, per lo
meno a suo dire».
La folla lo derise fragorosamente. Se il Britanno era così bravo,
perché diamine era finito prigioniero dei Romani? Lo spadaccino
rivolse un sogghigno al pubblico e sollevò d’improvviso le braccia,
emettendo uno sprezzante grido di guerra. I legionari lo schernirono
a loro volta.
L’aquilifero lasciò che le urla proseguissero per un istante, poi le
fece tacere. «Alla mia sinistra abbiamo un reziario. Dice che è lo
scudiero di un capo o di non so chi. Per mestiere trasporta le armi,
ma non le usa. Perciò la faccenda dovrebbe risolversi alla svelta.
Bene, bastardi scansafatiche, ricordatevi che le vostre normali
mansioni riprendono subito dopo il segnale di mezzogiorno».
La folla si lamentò troppo per essere credibile, e l’aquilifero
sorrise benevolmente. «Bene, combattenti: ai vostri posti!

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