Muori per roma – Simon Scarrow

SINTESI DEL LIBRO:

Lindinis, inizio del 45 d.C.
Un rauco ruggito si levò dalla folla, mentre il prigioniero ribelle
entrava nell’arena improvvisata. Si guardò intorno nervosamente,
fissando gli spettatori sugli spalti di terra.
Dalla sua posizione elevata sulle tribune di legno, l’optio Orazio
Figulo osservò un paio di sentinelle che trascinavano via il corpo
senza vita del precedente combattente. Il sangue ancora sgorgava
da una profonda ferita al petto del britanno ucciso, lasciandosi dietro
una scia brillante sull’erba. Il magro prigioniero ebbe un attimo di
esitazione, nel vedere il cadavere, prima che uno dei legionari di
turno nell’arena lo spingesse avanti. A diversi passi di distanza si
ergeva il suo avversario. Un durotrigio gigantesco, con il torso nudo
coperto di tatuaggi e fremente di muscoli tesi. Brandiva una spada
corta nella destra, e fissava minaccioso il suo nuovo avversario.
L’uomo con la spada aveva già affrontato e battuto tre avversari in
una serie di brutali scontri all’ultimo sangue, con il vincitore a cui era
permesso di vivere per affrontare un altro combattimento. Ora la folla
si zittì, in attesa dell’ultimo duello dei giochi di quella giornata.
«Finirà tutto molto presto», commentò il legionario Vazia. «Il
gladiatore magro non ha la minima speranza di farcela. Non contro
quel grosso bastardo».
Figulo si massaggiò la mascella sporcata da un ispido accenno di
barba, considerando i due avversari con l’occhio esperto del militare.
L’uomo con la spada era parecchio più alto e robusto del suo
sfidante. Ma la fatica dei precedenti scontri gravava sulle sue spalle,
e appariva stanco, con il petto che si alzava e abbassava
rapidamente, mentre cercava di riprendere fiato.
«Secondo me, lo sfidante ha una possibilità».
«Quel disgraziato pelle e ossa?», esclamò Vazia.
Figulo annuì. «La velocità batte sempre la forza, legionario»,
dichiarò, ricordando le parole del suo ormai defunto amico, Sesto
Porzio Bleso.
Vazia sbuffò, in tono derisorio. «Perdonami, signore, ma ritengo più
probabile che si trovi un uomo onesto in Senato, che il gladiatore
magro vinca».
Figulo osservò il compagno e sorrise. Decimo Artorio Vazia era uno
dei pochi legionari rimasti nel piccolo distaccamento al comando
dell’optio. Era un giovane basso e robusto, nato nelle malfamate
strade dell’Aventino, a Roma, e non gli mancava mai un’opinione o
una battuta sconcia.
«Ti ritieni un esperto, eh, ragazzo?»
«Se c’è una cosa che conosco, signore, sono i combattimenti tra
gladiatori. Vendevo biglietti illegali nell’anfiteatro Statilio Tauro. Ho
visto tutti i più grandi combattenti, nel corso degli anni». E cominciò
a contarli sulla punta delle tozze dita. «Britomaris, Tetraites... perfino
Pavone. E secondo me, quello con la spada vincerà senza alcun
dubbio». Un sorrisetto sornione gli danzò sul volto rotondo. «O forse
vuoi scommetterci sopra?».
Figulo esitò. Per un attimo, fu tentato di accettare la sfida, ma poi il
buonsenso lo convinse a trattenersi. Aveva già perso una grossa
parte della sua paga giocando a dadi nei lunghi mesi invernali
trascorsi in Britannia, e non poteva permettersi di sperperare altri dei
suoi miseri risparmi. Dunque scosse la testa.
«Magari un’altra volta, ragazzo».
«Purché sia un buon combattimento, non mi interessa chi vincerà»,
borbottò Pulcro, un altro dei legionari del distaccamento. «La metà di
questi prigionieri è stata del tutto inutile. Ho visto ragazzini greci
combattere meglio di loro».
Figulo tornò a osservare l’arena, mentre l’arbitro dello scontro, un
centurione dell’Ottava Coorte, presentava i due avversari. Il pubblico
di Britanni, mercanti e soldati romani non in servizio si era radunato
per godersi i giochi della giornata nell’arena di terra e assi di legno,
costruita in tutta fretta dalla guarnigione locale in una piccola valle
tra il forte e l’insediamento nativo di Lindinis. I giochi erano stati
organizzati da Trenagaso, il re dei Durotrigi alleato di Roma. Il
sovrano era stato rimesso sul trono dai Romani l’anno prima, ma i
suoi sforzi di pacificare il suo combattivo e ribelle popolo avevano
incontrato una feroce resistenza. Due giorni prima, un sinistro culto
druidico aveva conquistato Lindinis. I Druidi della Luna Nera e il loro
carismatico capo Calumo avevano preso in ostaggio Trenagaso e
minacciato di giustiziarlo se Roma non si fosse arresa, ritirandosi dal
regno. Soltanto l’arrivo di rinforzi da Calleva aveva salvato i Romani
da un’umiliante sconfitta.

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