Il bacio di mezzanotte – Lara Adrian

SINTESI DEL LIBRO:
La sua bimba non la smetteva di piangere. Aveva cominciato a fare i
capricci all'ultima stazione, quando il bus Greyhound partito da
Bangor si era fermato a Portland per far salire altri passeggeri. Ora,
poco dopo l'uria di notte, erano quasi alla stazione delle autolinee di
Boston, e le due ore e passa trascorse a calmare la sua neonata
stavano, come avrebbero detto i suoi amici a scuola, per farle saltare
i nervi. Anche l'uomo sul sedile accanto a lei probabilmente non era
entusiasta.
«Sono davvero spiacente» si scusò lei, voltandosi a parlargli per la
prima volta da quando era salito. «Di solito non è così lagnosa. È il
nostro primo viaggio insieme. Immagino che non sia ancora pronta
per affrontarlo.»
L'uomo sbatté le palpebre lentamente verso di lei e sorrise senza
mostrare i denti. «Dov'è diretta?»
«New York City.»
«Ah. La Grande Mela» mormorò lui. La sua voce era secca, priva
d'aria. «Ha famiglia lì o qualcuno?» Lei scosse il capo.
Gli unici familiari che aveva erano in una cittadina sperduta vicino
Rangeley, e avevano messo in chiaro che ora doveva cavarsela da
sola. «Ci vado per lavoro. Voglio dire, spero di trovare un lavoro.
Voglio fare la ballerina. A Broadway, forse, o entrare a far parte delle
Rockettes.»
«Be', di certo è piuttosto graziosa.» L'uomo adesso la stava
fissando. Era buio nella corriera, ma lei pensò che ci fosse qualcosa
di strano in quei suoi occhi. Di nuovo quel sorriso serrato. «Con un
corpo come il suo, dovrebbe diventare una stella.»
Arrossendo, lei abbassò lo sguardo sulla sua bambina
piagnucolante. Anche il suo ragazzo nel Maine era solito dirle cose
del genere. Ne diceva parecchie, di quelle cose, per portarla sul
sedile posteriore della sua macchina. E non era nemmeno più il suo
ragazzo. Non dal primo anno delle superiori, quando lei aveva
cominciato a ingrossarsi dopo che l'aveva messa incinta.
Se non avesse dovuto lasciare, si sarebbe diplomata quest'estate.
«Ha già mangiato qualcosa oggi?» chiese l'uomo mentre il bus
rallentava e svoltava nella stazione di Boston.
«Non proprio.» Fece saltellare con dolcezza la bimba fra le braccia,
ma non servì a nulla. Era rossa in viso, i suoi minuscoli pugni serrati,
mentre piangeva ancora come un'ossessa.
«Che coincidenza» disse lo sconosciuto. «Non ho mangiato
neanch'io. Mi andrebbe proprio uno spuntino: che ne dice di unirsi a
me?»
«Sono a posto. Ho alcuni salatini nella borsa. E comunque, credo
che questa sia l'ultima corriera per New York stanotte, perciò non
avrei tempo per fare altro tranne cambiare la bambina e risalire.
Grazie lo stesso.»
Lui non disse nulla, ma si limitò a guardarla radunare le sue poche
cose una volta che il bus si fermò nella piazzola, poi si alzò dal suo
posto per lasciarla passare, diretta ai bagni della stazione.
Quando uscì dalla toilette, l'uomo la stava aspettando. Una scossa
di disagio la attraversò nel vederlo lì in piedi. Non le era parso così
grosso, seduto accanto a lei. E
ora che lo stava guardando di nuovo, poteva vedere che c'era
davvero qualcosa di bizzarro nei suoi occhi. «Che succede?»
Lui ridacchiò sottovoce. «Come ho detto, ho bisogno di nutrirmi.»
Un modo strano di metterla, pensò lei.
Non potè fare a meno di notare che c'erano solo poche altre persone
attorno alla stazione a un'ora così tarda. Aveva iniziato a scendere
una pioggerella che bagnava i marciapiedi e aveva costretto la gente
ad andarsi a riparare all'interno. La sua corriera era ferma nella
piazzola e le persone già cominciavano a risalire. Ma per arrivarci,
prima doveva superare lui.
Scrollò le spalle, troppo stanca e inquieta per trattare con questo
cafone.
«Allora, se ha fame, vada a dirlo a McDonald's. Sono in ritardo per il
mio bus e...»
«Senti...» Si mosse così in fretta che lei non capì cosa l'aveva
colpita. Un secondo prima si trovava a un metro di distanza da lei,
quello dopo le teneva la mano attorno alla gola, mozzandole il fiato.
La tirò indietro con sé fra le ombre vicino all'edificio della stazione.
Dove non c'era nessuno che potesse notare che la stava rapinando.
O
peggio. La bocca dell'uomo era così vicina alla sua faccia che lei
poteva percepire il suo alito pestilenziale. Vide i suoi denti aguzzi
mentre le sue labbra si arricciavano all'indietro e lui sibilava una
terribile minaccia. «Di' un'altra parola, muovi un altro muscolo e mi
guarderai mangiare il cuoricino succoso della tua bimba.»
Ora la piccola stava gemendo fra le sue braccia, ma lei non disse
una parola. Non pensò nemmeno di muoversi.
Tutto quello che importava era la bambina. Tenerla al sicuro. E così
non osò
fare nulla, nemmeno quando quei denti acuminati si protesero verso
di lei e le si conficcarono nel collo.
Rimase completamente paralizzata dal terrore, tenendo la bimba
stretta a sé
mentre il suo assalitore attingeva con forza allo squarcio
sanguinante che le aveva aperto in gola. Le sue dita si allungarono
tra testa e spalla, le punte che la laceravano come gli artigli di un
demone. Lui grugnì e succhiò ancor più forte con la bocca e i denti
aguzzi. Anche se i suoi occhi erano spalancati dall'orrore, la sua
vista si faceva offuscata, i pensieri iniziavano a precipitare, finendo
in pezzi. Tutto attorno a lei stava diventando indistinto.
La stava uccidendo. Quel mostro la stava uccidendo. E poi avrebbe
ucciso anche la sua bambina.
«No.» Inghiottì aria, ma sentì solo il sapore del sangue. «Che tu sia
dannato... No!»
Con un disperato impeto di volontà , scagliò la propria testa contro la
sua, sbattendo il lato del suo cranio contro la faccia dell'assalitore.
Quando lui ringhiò e indietreggiò dalla sorpresa, lei si divincolò dalla
sua stretta. Barcollò, quasi cadendo in ginocchio prima di
raddrizzarsi. Con un braccio avvolto attorno alla sua bambina
urlante, l'altro che si sollevava per tastare la ferita viscida e bruciante
sul collo, arretrò piano, lontano dalla creatura, che sollevò la testa e
sogghignò verso di lei con lucenti occhi gialli e labbra macchiate di
sangue.
«Oddio» gemette lei, disgustata da quella vista.
Fece un altro passo indietro. Roteò e si preparò a uno scatto, anche
se era inutile.
E fu allora che vide l'altro.
Feroci occhi color ambra guardarono dritto verso di lei, ma il sibilo
che risuonò
fra le sue enormi zanne scintillanti prometteva morte. Pensò che
l'avrebbe attaccata per terminare quello che il primo aveva iniziato,
ma non lo fece. I due si scambiarono qualche parola con voce
gutturale, poi il nuovo arrivato la superò a grandi passi, una lunga
lama argentea in mano.
Prendi la bambina e vattene.
Quell'ordine parve provenire dal nulla, penetrando attraverso la
foschia che le annebbiava la mente. Giunse di nuovo, ora più netto,
spronandola all'azione. Corse. Accecata dal panico, la mente
intorpidita dalla paura e dalla confusione, scappò
via dalla stazione lungo una strada limitrofa. Poi si addentrò nella
città sconosciuta, nella notte. Era in preda all'isteria, e ogni rumore
perfino il suono dei suoi stessi piedi che correvano - pareva
mostruoso e letale.
E la bambina non la smetteva di piangere.
Le avrebbero trovate, se non fosse riuscita a farla star zitta. Doveva
metterla a letto, serena e al calduccio nella sua culla. Allora la
piccola sarebbe stata contenta. Allora sarebbe stata al sicuro. Sì,
ecco cosa doveva fare. Mettere la bambina a letto, dove i mostri non
avrebbero potuto trovarla.
Lei stessa era stanca, ma non poteva riposare. Troppo pericoloso.
Doveva tornare a casa prima che sua madre si rendesse conto che
aveva violato ancora il coprifuoco. Era intontita, disorientata, ma
doveva correre. E così fece. Corse fino a che non crollò esausta,
incapace di fare un altro passo.
Quando si risvegliò qualche tempo più tardi, si sentì come se la sua
mente fosse sconvolta, in pezzi come un guscio d'uovo. La sanitÃ
mentale la stava lentamente abbandonando, la realtà si deformava
in qualcosa di nero e scivoloso, qualcosa che stava danzando
sempre più distante, fuori dalla sua portata.
Udì un pianto ovattato da qualche parte in lontananza. Un suono
così flebile. Sollevò le mani per coprirsi le orecchie, ma poteva
ancora sentire quello smarrito, piccolo piagnucolio.
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