I love mini shopping – Sophie Kinsella

SINTESI DEL LIBRO:
Okay. Niente panico. Ho la situazione sotto controllo. Sono io, Rebecca
Brandon (nata Bloomwood), l’adulta. Non la mia bambina di due anni.
Il problema è che non so bene se lei se ne renda conto.
«Minnie, tesoro, dammi il pony.» Cerco di assumere un tono pacato e
deciso, come quello che ha Tata Sue in televisione.
«Poniiii.» Minnie stringe ancora di più il cavallino.
«Niente pony.»
«Mio!» grida isterica. «Miiiio poniiii!»
Accidenti. Ho in mano un milione di sacchetti, il sudore mi cola in faccia
e questo vorrei proprio risparmiarmelo.
Filava tutto così liscio. Minnie e io abbiamo fatto il giro del centro
commerciale per le ultime commissioni natalizie. Eravamo quasi alla grotta
di Babbo Natale, quando mi sono fermata un attimo a guardare la casa delle
bambole, al che Minnie ha afferrato un cavallino dallo scaffale e si è ri utata
di rimetterlo a posto. Così adesso sono nel pieno di un estenuante “Pony
gate”.
Una madre in jeans J Brand attillatissimi con glia vestitaalla-perfezione
mi passa davanti lanciando la classica Occhiata Mamma, e io sobbalzo. Da
quando c’è Minnie ho imparato che l’Occhiata Mamma è persino più
spietata dell’Occhiata Manhattan. Con l’Occhiata Mamma, ti squadrano da
capo a piedi per valutare no all’ultimo penny il costo dei tuoi vestiti. E non
solo. Passano in rassegna anche gli abiti di tuo glio, la marca del
passeggino, la borsa dei pannolini, il tipo di merendina e se il pargolo sta
sorridendo, urla o ha il moccio al naso.
So che è un bel po’ di roba da cogliere con uno sguardo in un secondo, ma
credetemi, le madri sono multitasking.
Minnie totalizza sicuramente un punteggio altissimo per il suo
abbigliamento (abito: pezzo unico Danny Kovitz; cappotto: Rachel Riley;
scarpe: Baby Dior) ed è saldamente imbragata con le cinghie di cuoio Bill
Amberg (molto cool: erano su “Vogue”). Però, invece di posare con il sorriso
angelico della bambina della foto sul giornale, lei tira le cinghie con tutte le
sue forze come un toro scalpitante in attesa di ondarsi nell’arena. Furiosa,
con le sopracciglia aggrottate e le guance rosso fuoco, sta prendendo ato
per lanciare un altro urlo.
«Minnie.» La libero dalle cinghie e l’abbraccio così si sente protetta e al
sicuro, proprio come raccomanda Tata Sue nel suo libro Consigli per domare
un bambino difficile. L’ho comprato l’altro giorno tanto per dargli una scorsa.
Così, per pura curiosità. Voglio dire, con Minnie non ho problemi o altro.
Lei non è difficile. Neppure “fuori controllo e cocciuta”, come ha detto quella
stupida della sua maestra di musica. (Cosa ne sa? Non è nemmeno capace di
suonare bene il triangolo.)
Il problema con Minnie è che lei è... determinata. Ha le sue convinzioni.
Come i jeans (non li mette) o le carote (non le mangia). E adesso la sua
ferma convinzione è che deve avere a tutti i costi il pony.
«Minnie, tesoro, ti voglio tanto bene» dico in tono dolce e suadente «e se
mi dai il pony sono molto, molto contenta. Sì, ecco, dallo alla mamma...» Ce
l’ho quasi fatta. Le mie dita si stringono attorno alla testa del cavallino...
Ah ah, che brava. L’ho preso. Non riesco a trattenermi dal guardarmi in
giro per vedere se qualcuno ha notato le mie doti genitoriali.
«Miiiiio!» Minnie me lo strappa di mano e parte come un razzo per il
negozio. Merda.
«Minnie! MINNIE!»
Afferro le borse e mi lancio all’inseguimento di mia glia, che è già
scomparsa nel reparto Action Man. Dio, non so perché facciano allenare
tanto tutti quegli atleti per le Olimpiadi: basterebbe mettere in campo una
squadra di bambinetti.
La raggiungo ansimante. Bisogna proprio che mi decida a fare la
ginnastica post parto.
«Dammi il pony!» Cerco di prenderglielo, ma lei gli si è incollata come
una cozza.
«Mio poniiiii!» I suoi occhi scuri dardeggiano risoluti.
A volte, quando la guardo, è così uguale a suo padre che mi fa sussultare.
A proposito. Dov’è Luke? In teoria, gli acquisti di Natale dovevamo farli
insieme. Come una famiglia. Ma lui è scomparso un’ora fa, borbottando che
doveva fare una telefonata, e non l’ho più visto. Probabilmente si è rintanato
da qualche parte con il giornale a bersi un cappuccino come si deve. Tipico.
«Minnie, questo non si compra» dico più decisa che mai. «Hai già un
sacco di giocattoli e il pony non ti serve.»
Una bruna scarmigliata con gli occhi grigi e due bambini in un
passeggino pieghevole doppio approva con un cenno del capo. Non riesco a
fare a meno di lanciarle a mia volta l’Occhiata Mamma, e lei è una di quelle
che porta le Crocs con le calze fatte a maglia. (Perché mai mettere una cosa
del genere? Perché?)
«È spaventoso, eh?» dice lei. «Quaranta sterline per un cavallino! I miei
bambini sanno che non è neppure il caso di chiedere» aggiunge guardando i
due gli silenziosi con il dito in bocca, tranquillamente sprofondati nel
passeggino. «Se cedi una volta, è la ne. I miei li ho abituati bene.»
Alla faccia della modestia.
«Assolutamente» dico con fare contegnoso. «Non potrei essere più
d’accordo.»
«Qualche genitore comprerebbe quel pony al proprio glio pur di stare
tranquillo. Totale assenza di disciplina. È disgustoso.»
«Tremendo» aggiungo io, tentando con una mossa furtiva di sottrarre il
pony a Minnie, mentre lei si scansa prontamente. Accidenti.
«L’errore più grosso è cedere.» La donna ssa Minnie con uno sguardo di
pietra. «È così che si comincia a imboccare una brutta china.»
«Be’, io con mia glia non cedo mai» replico, secca. «Minnie, questo pony
non si compra, punto e basta.»
«Poniiiii!» Minnie si abbandona a singhiozzi strazianti. Che
commediante. (Ha proprio preso da mia madre.)
«Buona fortuna, allora.» La donna se ne va. «Buon Natale.»
«Minnie, niscila!» sibilo furiosa non appena la tizia è scomparsa. «Fai
fare una guraccia a tutte e due! E poi, a cosa ti serve quello stupido pony?»
«Poniiiii!» Stringe al petto il pony come se fosse il suo amico fedele
smarrito da molto tempo che era stato venduto al mercato a cinquecento
chilometri di distanza ed è appena tornato trascinandosi alla fattoria con le
zampe indolenzite e la chiama con nitriti sommessi.
«È solo uno stupido giocattolo» sbotto spazientita. «Cos’ha di tanto
speciale, comunque?»
Lo guardo con attenzione per la prima volta.
Wow. In realtà... è decisamente fantastico. Di legno bianco, tutto coperto
di stelline luccicanti, ha un muso dipinto a mano che più dolce non si può. E
anche le rotelline rosse.
«Il pony non ti serve proprio, Minnie» ribadisco, ma un lino meno
convinta di prima. Ho appena notato la sella. Cuoio autentico? E ha le
briglie con le borchie come quelle vere, e la criniera è fatta di pelo vero di
cavallo. E ti danno anche il kit per la strigliatura!
Quaranta sterline non sono poi uno sproposito. Do un colpetto su una
rotellina rossa, e questa si mette a girare perfettamente. Adesso che ci penso,
Minnie un pony non ce l’ha. Nel suo armadio dei giochi c’è un vuoto da
colmare.
Non che abbia intenzione di cedere.
«Si carica anche» dice una voce alle mie spalle. Mi volto e vedo avvicinarsi
una commessa anziana. «Sulla base c’è una chiavetta. Guardi!»
Gira la chiavetta mentre Minnie e io osserviamo ipnotizzate il pony che,
al suono di un carillon, si alza e ricade con il movimento di un cavallo da
giostra.
Oh, mio Dio. Adoro questo pony.
«È in offerta per Natale a quaranta sterline» aggiunge la commessa. «Il
prezzo pieno è settanta. Sono svedesi; fatti a mano.»
Quasi il cinquanta per cento di sconto. Lo sapevo che era un buon prezzo.
L’avevo detto subito, no?
«Ti piace, vero, tesoro?» La commessa sorride a Minnie, che ricambia
raggiante. Tutta la sua irritazione è svanita. Anzi, non faccio per vantarmi,
ma con il cappottino rosso, i codini scuri e le fossette sulle guance è
assolutamente adorabile. «Allora, lo vuole prendere?»
«Io... ehm.» Mi schiarisco la voce.
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