I love shopping a Hollywood – Sophie Kinsella

SINTESI DEL LIBRO:
Okay. Niente panico. Niente panico.
Ne verrò fuori. Certo che ne verrò fuori. Non rimarrò intrappolata
in questo orribile spazio angusto, senza speranza di uscirne, per
sempre… vero?
Valuto la situazione con la maggiore calma possibile. Ho le costole
talmente compresse che faccio fatica a respirare, e il braccio sinistro
bloccato dietro la schiena. Chiunque abbia inventato questo “tessuto
contenitivo” sapeva il fa o suo. Anche il braccio destro è incastrato
in una posizione assurda. Se tento di spostare in avanti le mani, il
“tessuto contenitivo” mi sega i polsi. Sono immobilizzata.
Impotente.
Vedo la mia faccia livida riflessa nello specchio. Ho gli occhi
sbarrati e disperati. Le braccia legate da lucide fasce incrociate. Una
dovrebbe essere una bretella? Quella specie di cintura dovrebbe
stare intorno alla vita?
Oh, mio Dio. Non avrei mai dovuto provare la taglia trentasei.
«Come va lì dentro?» Mindy, la commessa, mi chiama da dietro la
tenda del camerino e io faccio un salto per lo spavento. Mindy è alta
e slanciata, con un paio di cosce muscolose separate l’una dall’altra
da diversi centimetri. Ha tu a l’aria di una che corre su per una
montagna ogni giorno e un KitKat non sa neanche che cos’è.
Mi ha chiesto tre volte come andava e io le ho sempre strillato:
“Benissimo, grazie!”. Ma comincio a essere disperata. Sono dieci
minuti che lo o con questa “tuta modellante”. Non posso evitare la
commessa in eterno.
«Un tessuto fantastico, vero?» dice Mindy entusiasta. «Ha una
capacità contenitiva tre volte superiore a quella dell’elastan normale.
Una taglia la toglie tu a, vero?»
Sarà, solo che ho perso anche la mia capacità polmonare.
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«Tu o a posto con le bretelle?» continua Mindy. «Vuole che entri
nel camerino per sistemargliele?»
Entrare nel camerino? Non perme erò mai a una losangelina alta,
abbronzata e atletica di entrare qui dentro e vedere la mia cellulite.
«No, tu o bene, grazie» rispondo con voce stridula.
«Ha bisogno che l’aiuti a toglierla?» insiste lei. «Alcune nostre
clienti fanno un po’ fatica la prima volta.»
Ho un’orribile visione di me aggrappata al bancone e di Mindy
che cerca di togliermi la tuta, entrambe sudate e ansimanti per lo
sforzo, mentre lei pensa: “Lo sapevo che le inglesi erano tu e delle
balene”.
No, non se ne parla. Neanche per sogno. Mi rimane un’unica via
d’uscita. Devo comprarla. Costi quello che costi.
Con un poderoso stra one riesco a sollevarmi due delle bretelle
sulle spalle. Così va meglio. Sembro un pollo strizzato nella lycra
nera, ma se non altro riesco a muovere le braccia. Appena torno in
albergo, taglio via tu o con un paio di forbici e vado a bu are quello
che rimane in un cestino per strada, così Luke non vede niente e non
dice: “Che cos’è questa roba?” o “Stai dicendo che l’hai comprata
anche se sapevi che non ti andava bene?” o qualche altra frase
davvero fastidiosa.
Luke è la ragione per cui mi trovo in questo negozio di
abbigliamento sportivo di Los Angeles. Quanto prima ci
trasferiremo qui per i suoi impegni di lavoro e adesso siamo venuti
per cercare casa. Questa se imana le nostre priorità sono: agenzie
immobiliari, case, giardini, contra i d’affio. Sì, più o meno. Ho fa o
solo un salto veloce, velocissimo, in un negozio, fra un appuntamento
e l’altro con gli agenti immobiliari.
Okay, va bene. La verità è che ho disde o un appuntamento per
venire in Rodeo Drive. Ma ero costre a. Avevo un valido motivo per
comprarmi una tenuta da corsa di emergenza, infa i domani
pomeriggio parteciperò a una gara. Una vera gara! Io!
Prendo i miei vestiti, afferro la borse a, esco dal camerino a passo
rigido e trovo Mindy in agguato.
«Wow!» Ha un tono di voce allegro, ma lo sguardo scioccato. «Le
sta…» Fa un colpo di tosse. «Benissimo. Ma non le va un po’…
stre a?»
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«No, è perfe a» dico, cercando di sorridere spensierata. «La
prendo.»
«Fantastico!» Nasconde a fatica lo stupore. «Bene, se vuole
togliersela, gliela ba o alla cassa…»
«Mah, veramente la tengo su.» Cerco di fare la disinvolta. «Già
che ci sono… Può me ere i miei vestiti in un sacche o?»
«D’accordo» dice Mindy. Segue una pausa piu osto lunga.
«Sicura di non voler provare la trento o?»
«No!» strillo. «La trentasei è perfe a! Ci sto comodissima!»
«Okay» si rassegna Mindy dopo un a imo di silenzio. «Certo.
Sono o antatré dollari.» Passa il le ore del codice a barre
sull’etiche a che mi pende dal collo e io prendo la carta di credito.
«Allora, le piace l’atletica?»
«Certo, domani pomeriggio parteciperò alla Ten Miler.»
«No, davvero?» Alza lo sguardo molto colpita, e io cerco di
assumere un’aria noncurante e modesta. La Ten Miler non è una
corsa qualsiasi. È la corsa. Si tiene ogni anno a Los Angeles e vi
partecipano tantissime star d’alto profilo. La trasme ono persino sul
canale satellitare E! Ci sarò anch’io!
«Come ha fa o a trovare un posto?» domanda Mindy invidiosa.
«Io cerco di iscrivermi praticamente tu i gli anni.»
«Be’» faccio una pausa a effe o. «Sono nella squadra di Sage
Seymour.»
«Wow.» Lei rimane a bocca aperta e io all’improvviso mi sento
euforica. È vero! Io, Becky Brandon (nata Bloomwood), correrò nella
squadra di una grande star del cinema! Faremo stretching insieme!
Indosseremo cappellini da baseball uguali! Andremo su “US
Weekly”!
«Lei è inglese, vero?» Mindy interrompe il flusso dei miei
pensieri.
«Sì, ma sto per trasferirmi a Los Angeles. Sono venuta a cercare
casa con mio marito Luke. Lui ha una società di PR e lavora con Sage
Seymour» non posso fare a meno di aggiungere orgogliosa.
Mindy sembra sempre più colpita.
«Quindi lei e Sage Seymour siete praticamente amiche?»
Traffico un po’ con il portafoglio per guadagnare tempo. La verità
è che non siamo proprio amiche, anche se io ci avevo sperato tanto.
Anzi, la verità vera è che non l’ho ancora incontrata. È davvero
un’ingiustizia. Luke lavora con lei da un sacco di tempo e io sono
venuta a Los Angeles una volta per un colloquio di lavoro e adesso
sono di nuovo qui in cerca di una casa e di un asilo per nostra figlia
Minnie. Mai una volta che abbia visto Sage, anche solo di sfuggita!
Quando Luke mi ha de o che avrebbe lavorato con Sage Seymour
e che ci saremmo trasferiti tu i a Hollywood, pensavo che l’avrei
incontrata ogni giorno. Pensavo che avremmo trascorso del tempo
insieme ai bordi della sua piscina rosa, con gli occhiali da sole
uguali, e che saremmo andate a fare manicure e pedicure insieme.
Ma, a quanto pare, anche Luke la vede pochissimo; passa le sue
giornate in riunione con manager, agenti e produ ori. Dice che sta
imparando a conoscere l’industria cinematografica e che la curva di
apprendimento è molto ripida. E a me va bene, perché prima faceva
il consulente di società finanziarie e grandi gruppi di imprese. Ma
perché deve essere così ostinatamente disinteressato all’argomento
star? Di fronte al mio lievissimo sfogo dell’altro giorno, ha de o:
“Per l’amor di Dio, Becky, non stiamo facendo questo cambiamento
epocale solo per incontrare delle star”. Ha pronunciato la parola
“star” come se stesse dicendo “scarafaggi”. Non capisce niente.
La cosa davvero fantastica è che siamo in sintonia su quasi tu o
nella vita, ed è per questo che il nostro matrimonio è così felice. Però
abbiamo qualche minuscolo motivo di disaccordo, tipo:
1. Cataloghi. (Non sono “cianfrusaglie”. Sono utili. Non si sa mai,
potresti avere bisogno di una lavagne a personalizzata con un
grazioso cestino per il gesse o da me ere in cucina. E poi mi
piace leggerli a le o.)
2. Scarpe. (Tenere le scarpe nella loro scatola originale non è
ridicolo, bensì un modo per risparmiare. Un giorno torneranno
tu e di moda e le potrà usare Minnie. Nel fra empo, basta che
lui stia a ento a dove me e i piedi.)
3. Elinor, sua madre. (Una storia lunga, lunghissima.)
4. Le star.
Insomma, siamo a Los Angeles. La patria per eccellenza delle star.
Loro sono la vera a razione del posto. Tu i sanno che a Los Angeles
si va per vederle, così come nello Sri Lanka si va per vedere gli
elefanti.
Ma Luke non è rimasto senza fiato quando abbiamo visto Tom
Hanks nell’atrio del Beverly Wilshire. Non ha ba uto ciglio quando
eravamo seduti a tre tavoli di distanza da Halle Berry al The Ivy
(credo che fosse proprio lei). Non si è emozionato quando abbiamo
avvistato Reese Witherspoon sul marciapiede opposto al nostro.
(Sono sicura che era lei. Aveva proprio gli stessi capelli.)
E parla di Sage come di una cliente qualsiasi. Come se fosse la
Foreland Investments. Dice che è proprio per questo che lei lo
apprezza: perché è fuori da tu o il circo di Hollywood. E che io
invece mi sto sovreccitando. Non è affa o vero. Io non sono
sovreccitata. Io sono eccitata nella giusta misura.
In cuor mio sono anche delusa da Sage. Okay, va bene, non ci
conosciamo veramente, ma abbiamo parlato al telefono quando mi
ha aiutato a organizzare una festa a sorpresa per Luke. (Anche se
adesso ha un numero nuovo e Luke non vuole passarmelo.) Mi sarei
aspe ata che si facesse sentire, mi invitasse a casa sua per un
pigiama party o qualcosa del genere.
Be’, non importa. Domani sistemeremo tu o. Non per vantarmi,
ma se sto per partecipare alla Ten Miler è solo grazie alla mia abilità.
Ieri, per caso, stavo guardando lo schermo del computer da dietro le
spalle di Luke, quando gli è arrivata un’e-mail circolare da Aran, il
manager di Sage. Era intitolata Chi primo arriva meglio alloggia e c’era
scri o:
Cari amici,
c’è un ultimo posto disponibile nella squadra della Ten Miler, perché un
partecipante si è infortunato; qualcuno è interessato a correre e a sostenere
Sage?
Prima che me ne rendessi conto, le mie dita stavano già
selezionando RISPONDI e digitando: “Sì, grazie! Sarei felicissima di
correre con Sage! Cordiali saluti, Becky Brandon”.
Sì, va bene, forse avrei dovuto consultarmi con Luke prima di
premere INVIA. Ma c’era scri o: “Chi primo arriva meglio alloggia”.
Dovevo agire in fre a!
Luke mi ha fissato e mi ha de o: “Sei pazza?”. Poi si è messo a
farmi la predica, dicendo che era una gara per atleti allenati e a
chiedermi chi mi avrebbe sponsorizzato e se ce l’avevo, almeno, un
paio di scarpe da corsa. Certo che avrebbe potuto essere più
incoraggiante.
Anche se in effe i non ha tu i i torti sulle scarpe da corsa.
«Quindi lavora anche lei nell’industria cinematografica?»
domanda Mindy, mentre mi passa lo scontrino da firmare.
«No, io faccio la personal shopper.»
«Ah, okay. In quale negozio?»
«Ehm… veramente… Dalawear.»
«Ah.» Sembra presa alla sprovvista. «Intende il negozio per…?»
«Signore di una certa età. Sì.» Sollevo il mento. «È un bellissimo
negozio. È davvero fantastico, non vedo l’ora di cominciare!»
Sto cercando di essere superpositiva riguardo a questo lavoro,
anche se non è esa amente il massimo. Dalawear vende “vestiti
comodi” per signore che me ono “il comfort prima dello stile”. (È
quello che si legge sulla pubblicità del negozio. Magari provo a
convincerli a cambiare lo slogan in “il comfort sullo stesso piano dello
stile”.) Quando ho fa o il colloquio, c’era una donna che continuava
a parlare di pancere elasticizzate e tessuti lavabili e mai di alta moda.
Neanche di moda, del resto.
La verità è che a Los Angeles non c’è tu a questa disponibilità di
posti come personal shopper per chi è appena arrivato
dall’Inghilterra. Tanto meno per una che forse rimarrà negli Stati
Uniti solo tre mesi. Dalawear era l’unico negozio che avesse un
lavoro da offrirmi, una sostituzione per maternità. E ho fa o un
colloquio da urlo, anche se me lo dico da sola. E la loro “camice a
f
loreale per tu e le occasioni” mi ha entusiasmato al punto che mi è
quasi venuta voglia di prenderne una anche per me.
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