Ho il tuo numero – Sophie Kinsella

SINTESI DEL LIBRO:
La prospettiva. Devo vedere le cose
nella giusta prospettiva. Non è un
terremoto e neppure la strage di un
pazzo armato o una fusione
nucleare, no? Nella classifica delle
catastrofi, la mia non è poi così
tremenda. No, non così tremenda.
Un giorno, quando mi ricorderò di
questo momento, mi verrà da ridere
e penserò: “Che scema sono stata a
preoccuparmi!”.
Smettila, Poppy. Non provarci
nemmeno. Non sto ridendo, anzi mi
sento male. Sto vagando nella sala da
ballo dell’hotel con il cuore in gola,
cercando invano sulla moquette a
motivi blu, dietro le sedie dorate,
sotto i tovaglioli di carta usati, dove
non lo troverò mai.
L’ho perso. Ho perso l’unica cosa
al mondo che non dovevo perdere. Il
mio anello di fidanzamento.
Dire che è un anello speciale non
rende
assolutamente
l’idea.
Appartiene alla famiglia Tavish da
tre generazioni. È un favoloso
smeraldo con due diamanti e
Magnus, prima di chiedermi di
sposarlo, è dovuto andare a ritirarlo
da una cassetta di sicurezza in banca.
L’ho messo per ben tre mesi di fila
senza
mai
correre
rischi,
riponendolo religiosamente ogni
sera su un apposito vassoietto di
porcellana, toccandomi il dito ogni
trenta secondi... E proprio oggi, il
giorno in cui i suoi genitori
rientrano dagli Stati Uniti, l’ho
perso. Proprio oggi.
In questo preciso istante, i
professori Antony Tavish e Wanda
Brook-Tavish stanno tornando in
aereo, dopo aver trascorso sei mesi
sabbatici a Chicago. Me li vedo che
mangiano noccioline caramellate e
leggono testi accademici sui Kindle,
scambiandoseli. Francamente, non
so chi dei due metta più soggezione.
Lui.
sarcastico.
È così terribilmente
No, lei. Con tutti quei capelli
crespi, sempre lì a chiederti che cosa
ne pensi del femminismo.
Sì,
okay, fanno una paura
tremenda tutt’e due. E fra circa
un’ora saranno in aeroporto e,
ovviamente,
vorranno
l’anello...
No,
non
andare
vedere
in
iperventilazione,
Poppy.
Pensa
positivo. Devo solo vedere la cosa da
un’angolazione diversa. Tipo... che
cosa farebbe Poirot al mio posto?
Lui non si farebbe prendere dal
panico. Manterrebbe la calma e
userebbe le sue celluline grigie per
ricordare
un
minuscolo,
fondamentale dettaglio in grado di
svelare il mistero.
Stringo forte gli occhi. Su,
celluline grigie, date il meglio di voi.
Non credo, però, che prima di
risolvere il mistero di Assassinio
sull’Orient-Express, Poirot si fosse
scolato tre bicchieri di champagne
rosé e un mojito.
«Signorina...» Un’inserviente con
i capelli grigi sta cercando di girarmi
intorno con l’aspirapolvere e io ho
un sussulto di terrore. Stanno già
ripulendo la sala da ballo? E se
aspirano anche l’anello?
«Mi scusi.» Le afferro la spalla
coperta da un grembiule di nylon
blu. «Potrebbe darmi altri cinque
minuti
prima
l’aspirapolvere?»
di
passare
«Sta ancora cercando l’anello?»
Scuote la testa perplessa, poi si
illumina. «Secondo me, lo ritrova
appena torna a casa. Probabilmente
è sempre stato lì al sicuro!»
«Forse.» Mi sforzo di annuire
cortesemente, anche se dentro di me
si leva un urlo di protesta. Sarò
anche scema, ma non fino a questo
punto!
Vedo un’altra inserviente dalla
parte opposta della sala, impegnata a
raccogliere briciole di torta e
tovaglioli accartocciati e a buttarli in
un sacco nero dell’immondizia. Non
è per niente concentrata. Non ha
sentito quel che le ho detto?
«Mi scusi!» Le corro incontro
gridando con voce sempre più
stridula. «Sta controllando che non
ci sia il mio anello, vero?»
«Per ora non si è visto niente,
tesoro.» La donna getta nel sacco un
altro mucchio di scarti rimasti sul
tavolo senza degnarli di uno
sguardo.
«Faccia attenzione!» Prendo i
tovaglioli, li riapro e li tasto in cerca
di qualcosa di duro, incurante del
fatto che mi sto sporcando le mani
di crema pasticcera.
«Cara, sto cercando di pulire.»
L’inserviente mi strappa i tovaglioli
dalle mani. «Guardi che disastro sta
combinando!»
«Lo so, me ne rendo conto, mi
scusi.» Frugo disperatamente fra i
vassoietti dei pasticcini che ho fatto
cadere a terra. «Ma lei non capisce:
se non trovo quell’anello, sono
finita.»
Vorrei
prendere
il
sacco
dell’immondizia ed estrarne il
contenuto per analizzarlo con un
paio di pinzette come un agente
della Scientifica. Vorrei delimitare la
sala con del nastro adesivo e
dichiararla
scena del crimine.
Dev’essere qui, dev’esserci per forza.
A meno che non ce l’abbia ancora
qualcun altro. È l’unica alternativa a
cui mi sto aggrappando. Una delle
mie amiche l’ha ancora al dito e,
chissà come, non se ne è accorta.
Magari le è scivolato in borsa... o in
una tasca... o forse le è rimasto
impigliato nel golfino... Le ipotesi
diventano sempre più improbabili,
ma io non riesco a smettere.
«Ha guardato nei bagni?» La
donna tenta di superarmi.
Certo che ci ho guardato. Ho
controllato a quattro zampe ogni
singola cabina, e tutti i lavandini.
Due volte. Poi ho cercato di
convincere il concierge a chiudere i
bagni e a far controllare tutte le
tubature, ma lui si è rifiutato. Ha
detto che se fossi stata sicura di
averlo perso lì, allora sarebbe stato
un altro paio di maniche – anche la
polizia, ne era certo, sarebbe stata
d’accordo con lui –, ma visto che
c’erano altre persone in attesa, non
potevo cortesemente spostarmi dal
banco?
La
polizia.
Bah.
Avevo
immaginato che dopo la mia
telefonata sarebbe arrivata una
squadra di auto a sirene spiegate, e
invece mi hanno detto di andare a
denunciare lo smarrimento in
commissariato. Non ho tempo per
fare denunce! Devo trovare il mio
anello!
Torno di corsa al tavolo rotondo
a cui eravamo sedute questo
pomeriggio, mi accuccio e passo la
mano sulla moquette per l’ennesima
volta. Come ho potuto permettere
che succedesse? Come ho fatto a
essere tanto stupida?
L’idea di prenotare un tavolo per
il Marie Curie Champagne Tea era
partita dalla mia vecchia compagna
di scuola Natasha. Non potendo
venire alle terme per il weekend del
mio addio ufficiale al nubilato, aveva
pensato a un ritrovo alternativo.
Eravamo in otto e stavamo bevendo
allegramente
champagne
e
rimpinzandoci di torta quando,
appena
prima
dell’inizio
dell’estrazione dei numeri della
lotteria, una delle mie amiche ha
detto: “Dài, Poppy, facci provare
l’anello”.
Adesso non riesco neanche a
ricordarmi chi fosse. Annalise, forse?
Abbiamo
frequentato
insieme
l’università e ora lavoriamo tutte e
due alla First Fit Physio insieme a
Ruby, un’altra compagna di studi di
fisioterapia. C’era anche lei al tè, ma
non sono sicura che si sia provata
l’anello. O forse sì?
Non posso credere di essere così
negata. Come faccio a seguire le
orme di Poirot se non riesco
neppure a ricordare i fatti basilari?
La verità è che se lo sono provate
tutte, l’anello: Natasha, Clare ed
Emily (ex compagne di scuola a
Taunton), Lucinda (la mia wedding
planner, ormai quasi un’amica) e la
sua assistente Clemency, oltre a
Ruby e ad Annalise (che non sono
soltanto ex compagne di studi e
colleghe, ma anche le mie due
migliori amiche. Mi faranno persino
da damigelle d’onore).
Lo ammetto: mi beavo di tutta la
loro ammirazione. Mi sembra
ancora impossibile che un oggetto
così bello e straordinario appartenga
proprio a me. Il fatto è che tutto mi
sembra
impossibile.
Sono
ufficialmente fidanzata! Io, Poppy
Wyatt. Con un giovane docente
universitario alto e bello, che ha
scritto un libro e ha persino lavorato
in tivù. Appena sei mesi fa, la mia
vita amorosa era un vero disastro.
Era un anno che non mi succedeva
niente di significativo e, mio
malgrado,
mi stavo ancora
chiedendo
se
dare
un’altra
possibilità a quel tizio con l’alito
cattivo
conosciuto
www.match.com...
E
su
adesso
mancano solo dieci giorni al
matrimonio! Ogni mattina mi
sveglio, guardo la schiena liscia e
lentigginosa di Magnus che dorme
accanto a me e, con una punta di
incredulità, penso: “Il mio fidanzato,
il dottor Magnus Tavish, membro
del King’s College di Londra”.1 Poi
mi giro dall’altra parte e, con
un’altra punta di incredulità, guardo
il prezioso anello che brilla sul mio
comodino.
Che cosa dirà Magnus?
Mi si stringe lo stomaco e
deglutisco. No. Non pensarci. Forza,
celluline grigie, al lavoro.
Ricordo che Clare si è tenuta
l’anello per un bel po’ di tempo. Non
se lo voleva proprio togliere. Poi
Natasha ha cercato di strapparglielo
dal dito, dicendo: “Adesso tocca a
me!”. E ricordo di averle detto:
“Trattalo con delicatezza!”.
Insomma, non è che io sia stata
irresponsabile. L’ho sempre tenuto
d’occhio mentre faceva il giro del
tavolo.
A un certo punto, però, mi sono
un po’ distratta perché la lotteria è
cominciata e i premi erano favolosi.
Una settimana in una villa in Italia,
un taglio di capelli in un salone
superlusso e un buono di Harvey
Nichols... La sala da ballo brulicava
di persone che tiravano fuori i loro
biglietti,
dal
palco
venivano
annunciati i numeri e ogni tanto
qualcuno saltava su gridando: “Sono
io!
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