Ho fatto un sogno – Masal Pas Bagdadi

SINTESI DEL LIBRO:
Siamo nel mese di settembre e è un periodo felice per me: le
feste ebraiche riempiono di speranza il nuovo anno.
Le foglie giallo-rosse dell’autunno cadono lente dagli alberi
formando un tappeto colorato di fuoco, i melograni, simbolo di
fertilità, sono maturi e i fichi pronti, l’atmosfera è gioiosa e spinge
famigliari e amici a riunirsi intorno al tavolo imbandito.
Eppure, mi succede anche in questi momenti di sentire una
nostalgia arcaica, durante le notti in cui l’animo mi scuote nel
profondo come un turbine e stimola la mia mente insonne.
Amo la mia inquietudine, quando pensieri e sogni si affastellano
nell’intimità. Sono felice della loro compagnia anche se non riesco a
metterli a fuoco, mi stimolano a formulare domande sui problemi che
incontro e a cercare risposte a quel che accade intorno e dentro di
me. A volte il disordine del sogno mi disorienta, e i pensieri
sembrano annegare in un abisso profondo, non riesco a capire il loro
senso e a collegarli alla realtà che vivo. Sogno e veglia, conscio e
inconscio, reale e immaginario parlano un linguaggio muto e
confuso, soprattutto quando non mi sento in sintonia con me stessa,
e questo mi turba non poco.
La strada del sogno è tortuosa e deve aggirare e scavalcare le
resistenze che attiviamo sia quando siamo svegli sia quando
dormiamo. Nella mia lunga esperienza di psicoterapeuta
l’interpretazione dei sogni è la parte centrale delle sedute: i sogni
non interpretati rimangono in sospeso come una lettera mai aperta e
l’inconscio continua a esercitare la sua pressione, inventa altri sogni
con storie diverse sul medesimo tema per catturare l’attenzione del
sognatore. Il messaggio raggiunge il suo scopo solo quando arriva
alla coscienza dell’individuo, e così, notte dopo notte, i sogni si
presentano per portare a galla nuove esperienze nascoste. Il sogno
per sua natura non appare a caso, ma getta uno squarcio di luce
sull’anima più profonda e creativa dell’esistenza, a volte evoca la vita
di un tempo, altre viene per far luce sul presente.
I sogni fanno parte di me da quand’ero bambina, il loro mistero
stimolava la mia fantasia e mi cullava nelle notti fredde, quando mi
sentivo piccola piccola nell’immensità del mondo e non avevo altro
rifugio intorno a me.
Il
mio interesse per il mistero che li circonda è cresciuto
attraverso il lavoro, ma, non contenta del solo metodo psicoanalitico,
sono andata alla ricerca di altre esperienze per rispondere alle mie
domande, vagavo tra le religioni orientali e lo sciamanesimo
sudamericano. Ma presto sono tornata alla fonte biblica con cui ho
dimestichezza fin da ragazza, attratta in modo particolare da quei
personaggi che, attraverso sogni importanti, hanno cambiato la loro
vita e modificato il corso della storia.
In ebraico sogno si pronuncia chalom. Questo suono è simile alla
parola chalon, che significa finestra. E, proprio come una finestra, il
sogno ci consente di vedere ciò che sta al di fuori del nostro piccolo
mondo.
Il Talmud dice: “Non si fanno vedere all’uomo nel sogno altro se
non i suoi pensieri più profondi”, oppure: “Tutti i sogni seguono la
bocca”, ossia il valore di ogni sogno dipende da come viene poi
elaborato durante la veglia, e ancora: “Nei sogni affiora parte del
passato che non abbiamo digerito o problemi attuali per i quali
cerchiamo risposte.” Infine, nel Talmud babilonese Brachot 56v ho
trovato un’interpretazione interessante, che richiama quel “pensare
positivo” così in voga ai nostri giorni. Recita: “Qualunque sogno, per
quanto spaventoso, può essere interpretato positivamente. Bar
Kapra disse a Rabbi Yehuda HaNassi: ‘Ho sognato che mi venivano
tagliate le mani.’ Rabbi Yehuda allora rispose: ‘Significa che presto
non dovrai più fare così tanti lavori manuali.’”
Nel primo libro della Bibbia, Genesi o Bereshit, sono narrati molti
sogni di personaggi chiave nella storia ebraica, e tra questi un posto
di rilievo spetta al racconto del sogno di Giacobbe.
Si narra che Giacobbe, mentre scappava dal fratello Esaù diretto
a Haran da suo zio per prendere moglie, si fermò per la notte. È
scritto: “Capitò in un certo posto e vi passò la notte, perché il sole
era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, le pose come
suo capezzale e lì si coricò. E sognò: ecco una scala appoggiata
sulla terra, la cui cima toccava il cielo; e ecco gli angeli di Dio salire e
scendere per quella scala” (Gn 28.11-22).
Giacobbe nel sogno combatte con gli angeli di Dio che scendono
e salgono sulla scala, mentre il Signore osserva dall’alto. Al risveglio
la voce di Dio disse a Giacobbe: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma
Israele. La terra sulla quale ti stai coricando io la darò a te e alla tua
progenie.” Giacobbe, un po’ timoroso, rispose: “L’eterno è in questo
luogo e io non lo sapevo.” E chiamò il luogo Bet-El (la casa di Dio).
Prima di soccombere alla supremazia divina, Giacobbe reagisce e
lotta con gli angeli per esprimere i dubbi che aveva nei confronti
della fede e le difficoltà a cedere al suo destino, prima di abbracciare
appieno la sua nuova identità, che consisteva nel cambio di nome
annunciato da Dio: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele.”
Da quella lotta notturna che Giacobbe fece in sogno con l’eterno,
gli ebrei hanno l’abitudine di dialogare con il loro Dio direttamente,
senza intermediari.
L’altra notte mi è capitato di sognare il mio adorato nonno, era
un’apparizione nitida e chiara. Lui era in piedi di fronte a me, e io
piccola come ai vecchi tempi.
Sullo sfondo luminoso, la sua figura appariva scura e imponente,
sembrava un quadro. In me si mescolavano timore e amore filiale
nel vederlo. L’impatto del sogno è stato così forte che mi sono
svegliata e sono corsa al computer per appuntarmi nel dettaglio ogni
parola e immagine.
Sono certa che l’arrivo del nonno in quella notte non sia stato
casuale e volevo capire come mai l’avessi sognato proprio allora,
così cominciai a ripassare nella memoria tutti gli avvenimenti degli
ultimi giorni, per scoprire l’elemento che aveva scatenato il sogno.
E eccomi al Tempio per il Kippur, passo la giornata con la mia
gente e, tra una preghiera e l’altra, penso intensamente alla mia
mamma, sento forte la sua presenza al mio fianco. All’improvviso mi
si illumina la mente, e capisco che c’è il suo zampino in questa
storia, è stata lei a provocare il sogno.
Sono convinta che la mia vicinanza intima con la mamma nel
giorno di Kippur abbia influenzato il mio sogno e che lei nel silenzio
abbia richiamato l’attenzione di suo padre a mio favore, conscia del
momento delicato che sto attraversando. Così, proprio nella notte tra
Shemini Atzeret e Simchat Torah, la festa della Torah che segna un
nuovo inizio, il mio caro nonno si è risvegliato dal suo eterno riposo e
dopo anni di assenza è venuto a farmi visita.
Mio nonno, sia in vita sia in sogno, si è sempre rivolto in tono
affettuoso a mia madre e a me iniziando ogni discorso con “Ya binti”,
in arabo “Figlia mia”: il suono di queste due parole piene di amore
nei nostri confronti mi riempie di emozioni e ogni mia resistenza
svanisce, la sua musicalità mi fa girare la testa e mi invade di calore.
Il nonno, per come lo ricordo io, era un uomo preciso e determinato
nelle sue azioni come nel suo credo, non sprecava certo parole
inutili per spiegarsi, e anche questa volta dev’essere stato così.
Sentivo che quello era stato più di un sogno, era una sorta di codice
di comportamento che il nonno voleva ricordarmi perché riflettessi
sulla mia vita e quella dei miei figli.
Il mattino successivo giravo inquieta tra le strade di Roma e non
avevo pace, le sue parole risuonavano nella mia mente con
insistenza, mi ripetevo con variazioni di tonalità “Ya binti”, “Ya binti”,
“Ya binti”, “Ya binti”… A un certo punto, inconsapevole di quello che
mi stava accadendo, la mia anima si è pacificata, le mie resistenze
allentate, e altri pensieri, ricordi antichi, venivano a galla. La mia
mente cominciava a vagare sempre più a fondo tra i fantasmi
notturni, finché ho trovato la forza per riportare indietro i miei cari e
farli vivere come allora in queste pagine. Anche se per il tempo di
una sola notte
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