Guernica – Carlo Lucarelli

SINTESI DEL LIBRO:
{Dónde està n tus companeros? ringhiava il coronel stringendogli forte le
guance con i suoi artigli neri ma al profesor, come a un pesce preso all’amo,
usciva soltanto una bolla scura di saliva dalle labbra schiacciate e il coronel
lo colpì sul volto con le dita magre chiuse a martello, finché dal naso non gli
uscì uno schizzo di sangue rosso da comunista, caldo nella fredda notte di
Madrid.
La casa era tutta muri, neri di ombre cupe, senza porte e senza tetto e
guardando in alto si vedeva soltanto il cielo buio. Forse anche le stelle erano
venute giù con le bombe degli Stukas, il giorno prima.
Accanto al braciere Fabio, il tagliagole dal volto butterato d’avvoltoio,
figlio di un plotone del Tercio e di una puta di Bilbao, sorrideva,
mezz’ubriaco e in un angolo, silenzioso, io guardavo.
Ero stato io a portarli in quella casa a metà tra la Spagna rossa e quella
nera e a fargli trovare el profesor con un colpo di mano da sicari. Un tedesco
della Legione Condor, dagli occhi blu come un cielo di Baviera, alzò il mento
a v verso di me, mostrando una tenaglia. Vuoi farlo tu, italiano? chiese, ma il
coronel scosse la testa, pulendosi gli artigli sulla giubba e disse: éste no habla
e poi maialo, Pablo e Fabio rise, sfilando il coltello dallo stiva-le. Lo avevo
già visto, una volta, baciare la lama con le labbra insanguinate.
La muerte. . cantò il coronel, le mani aperte sul braciere, la muerte. . col
pomo d’Adamo che saliva e scendeva rapido sul collo, magro, stretto dalle
mo-strine azzurre della Falange Cristo Rey, la muerte…
ma poi si fermò, alzando i baffi sulle labbra tese.
Aveva un sesto senso il coronel.
Il Comunista soffiò un attimo prima dello spa-ro che gli attraversò la gola
con uno schizzo di sangue nero da fascista fin sul muro sporco di fumo e io
tirai a Pablo dietro un orecchio, mentre ombre rosse entravano, veloci, con il
freddo della notte.
Durò un secondo, forse due.
Miguel, l’anarchico, mi sorrise e si tolse il basco per stringermi la mano.
Disse grazie a te abbiamo salvato el profesor, amigo e io bada che siano tutti
morti e indicai il tedesco che si muoveva ancora.
Tranquilo, amigo disse Miguel, nessuno te va a trai-cionar ma io aspettai
che avesse messo in tasca la pistola e solo allora gli strinsi anch’io la mano,
irrigidito nell’abbraccio di Mira la diablita che mi premeva forte sulla
guancia le sue labbra umide.
Era così che a Valencia avevano ammazzato el comisario, con due
coltellate nelle reni e le mani ancora strette sul suo culo sodo da gitana.
Miguel scosse la testa e disse ay, disse un giorno, quando todo sarà finito
e l’ultimo prete sarà crocifisso sulla strada per Eurgos, elhombre tornerà a
fidarsi delhombre, amigo. Io feci si, con la testa, sì sì e anche viva
l’Anarchia!, col pugno chiuso.
Ma facevo il doppio gioco e li vendetti tutti ai franchisti, il giorno dopo.
Teruel.
Pelle sudata e umida di cosce di donna ignota che mi russa a fianco e pelo
tra le unghie delle di-ta quando mi svegliai all’improvviso in una posada di
Teruel. Fu lo scoppio della porta che sbatte-va contro il muro a strapparmi da
un sonno pesante di piombo e spalancai gli occhi così in fretta che ancora lo
vidi, il soldato, con lo scarpone alzato a sferrare il calcio e il fucile di traverso
al petto, a bilanciare il colpo. Avevo la Mauser sullo sgabello accanto al letto,
sotto la candela e col colpo in canna, ma non feci in tempo a voltarmi, avvi
luppato nel lenzuolo come in un sudario, la destra sempre stretta tra quelle
cosce che non ricordavo più. E fu meglio, perché il soldato era già dentro alla
stanza, le gambe larghe sul pavimento, l’occhio stretto sul mirino e la bocca
del fucile, fredda e dura, piantata in mezzo alla mia guancia.- Filippo Stella ? - disse un altro, con la pistola in mano. Camicia nera
sotto il verde grigio della giubba e fasci piccoli sul bavero, d’argento.
Legionari del Corpo Truppe Volontarie. Italiani, co-me me.- Sono io, - dissi al cuscino perché la bocca del fucile mi schiacciava
contro la federa ingiallita.
Accanto a me, la donna che mi ero preso la notte prima dormiva ancora,
le labbra socchiuse a sof-fiare grugniti forti, in un russare intenso, da scro-fa.
Era la puta più vecchia, brutta e grassa che avessi mai visto e mi chiesi perché
avevo scelto proprio quella.- Anice secco, - disse il legionario con la pistola annusando il buco di una
bottiglia vuota (ecco perché, pensai io), poi disse: - Buttiamo fuori questa
troia, - e l’altro mi levò la canna dalla guancia per piantarmi il ginocchio sulle
reni e sporgersi in avanti, a colpire la puta col calcio del fucile, sulla pancia.
Si chiamava Maria Dolores, così pensai mentre strillava vete a tornar por
culo, maldido cabrón e ma-rìcón, hijo de puta e scalciava e graffiava per non
essere buttata fuori nuda dalla stanza e io me ne stavo immobile sul
materasso, sotto il tiro del fucile, rannicchiato come un feto che ha paura di
uscire.
Il comando degli italiani era proprio sul fiume, nel magazzino del sale,
ma quella mattina grigia non c’era più e non c’era più neanche il fiume,
coperto di macchie gialle e rosse e viola come un campo di foglie di quercia e
sopra, a caratteri forti da stampa clandestina, jEnsurge Pueblo de Temei! ri
petuto migliaia e migliaia di volte.
Quella notte un Breguet governativo partito da Manises aveva sorvolato
la città per lanciare una bomba sull’Alcà zar e un carico di volantini. Il vento
aveva portato i volantini tutti quanti nel fiume e la bomba sul tetto del
vecchio magazzino, che era rimasto a bruciare per tutta la notte, illumi-nando
fiocchi di carta repubblicana che scendeva-no roteando sull’acqua come una
tempesta di ne-ve colorata, tra tuoni di contraerea e fulmini di traccianti. E io,
ubriaco d’anice, non me n’ero neanche accorto.
Gli italiani erano scappati oltre la strada, nell’a-silo dei bambini di San
Martin e il comando era nel refettorio piccolo, tra pareti di lacca rossa e di
segni colorati a pastello su fogli grandi a quadretti, El Caudillo y la Virgen
Marta, Que Viva Espana, El Generalisimo mata a los diablos rojos, tutti in fi
la sul muro, sopra i ganci di legno per i cappotti.
In un angolo, sotto la fotografia di Mussolini con l’elmo e di profilo, c’era
un banchetto azzurro di legno verniciato e dietro, rannicchiato su uno
sgabello, un maggiore del Corpo Truppe Volontarie.
Sul pavimento, rovesciati attorno al banchetto, al-la stufa accesa, all’asta
del gagliardetto nero con il teschio e ai miei piedi che saltavano per non pe
starli, giocattoli e giocattoli, di legno, di latta e di stoffa colorata.- E da quando è iniziata l’offensiva su Madrid che a San Martin non ci
sono più finestre né bambini, - disse il maggiore, senza guardarmi, - ma le pie
Dame di San Vincenzo di Napoli continuano a mandare giocattoli per i
piccoli figli della Rivo-luzione Nazionale. Almeno mandassero i vetri per le
finestre… siamo già in aprile ma la mattina, qui, fa ancora un freddo della
madonna.
Dal pavimento, un legionario in ginocchio alzò una rana di stoffa verde e
un pinocchio di legno rosso, ma il maggiore scosse la testa.- Niente stoffa, fa fumo e brucia male… e no, Pinocchio no! Anzi,
dammelo qua e tieni questo.
Porse un tamburino di legno, con i baffi e il col-bacco, che il legionario
infilò nella bocca della stufa mentre Pinocchio sedeva al suo posto su una pi
la di carte al bordo del banchetto, piegato dalle mani del maggiore che
spingevano sulle giunture, piano e in punta di dita.- Ne ho regalato uno uguale a mio figlio, prima di partire, - disse a
nessuno, - chissà , magari è proprio il suo, - e al legionario, - cerca ancora,
non saranno mica rimasti soltanto quelli di latta, - poi alzò la testa e
finalmente mi guardò, gli occhi aperti e fissi e la guancia leggermente piegata
sulla spalla, come il pinocchio.- Filippo Stella, - disse lui e io: - Comandi.- Che mestiere fai, Filippo Stella ?- Faccio il camionista, signor maggiore.- E dov’è il tuo camion?- L’hanno sequestrato i nazionali di Franco, signor maggiore, qui a
Teruel. Ma gliel’ho dato volentieri.- Filippo Stella, - ripeté lui e io: - Comandi.- Che mestiere fai, Filippo Stella?- Ve l’ho detto, signor maggiore: il camionista.- No, Filippo Stella, dici male… tu non fai il camionista. Fai la spia.
Il legionario col fucile e quello con la pistola erano ancora dietro di me (li
vedevo anche senza voltarmi per guardarli). Feci sì con la testa, allora, piano
piano.- Spia, signor maggiore, ma patriota. Ho de-nunciato cinque anarchici ai
soldati del generale Franco.- Sì, ma prima hai venduto il coronel Mendoza ai comunisti.
Il legionario col fucile e quello con la pistola erano ancora dietro di me,
ma più vicini. Sentivo il fiato aspro e caldo di uno dei due sul collo (tra i-capélli e il bavero della giacca di pelle che indos-savo). La Mauser era
ancora sul comodino, alla posada Isaura. Pensavo: son fottuto.- Filippo Stella.- Comandi.- Che mestiere fai ?- La spia.- Non solo… fai anche il contrabbandiere, il ladro, il puttaniere e
all’occorrenza anche il sicario.
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