Gli omicidi del mago – Josh Lanyon

SINTESI DEL LIBRO:
La
pioggia lanciava grossi schizzi contro le finestre
dell’appartamento a un ritmo casuale per poi dissolversi.
In un certo modo era rilassante, e Jason non aveva
dormito molto la notte prima, ma non poteva permettersi di
appisolarsi nel bel mezzo di una telefonata con il suo capo.
«Se il leggendario fascino di West ha fallito nel convincere Ursula
Martin a sporgere denuncia contro la Fletcher-Durrand, magari
dovrebbe essere il Dipartimento di giustizia a fare una mossa,»
stava dicendo Karan Kapszukiewicz.
La Kapszukiewicz era il capo dell’unità Grandi furti della divisione
investigativa criminale. Dirigeva la squadra Crimini artistici dal suo
ufficio di Washington D.C., luogo da cui stava chiamando Jason.
Quest’ultimo era al cellulare, sdraiato sul divano di Sam a Stafford,
in Virginia. L’appartamento non era lontano dall’accademia dove
stava frequentando un corso di aggiornamento di routine per gli
agenti in servizio.
«Con tutto il rispetto, non credo sia l’approccio migliore da tenere
con la Martin,» rispose Jason. «Credo esista una buona possibilitÃ
che alla fine sarà lei a contattarci, sempre che non insistiamo. Ha
una situazione complicata.»
«Come tutti, no?»
Jason rimase educatamente in attesa.
Karan sospirò. «Avevo la sensazione che lo avresti detto,
quindi… okay. Ti lascio fare la chiamata. È la tua querelante. O
almeno lo era.»
Jason fece una smorfia. La rinuncia, due mesi prima, alle accuse
contro la galleria d’arte Fletcher-Durrand gli rodeva ancora. Si era
fatto il culo per costruire un caso legalmente perseguibile di frode,
furto aggravato e contraffazione, solo per sentirsi togliere il terreno
da sotto i piedi, quando i querelanti originali avevano deciso di
trovare un accordo con i Durrand fuori dal tribunale.
Era successo anche molto altro, ovvio, ma la conclusione era che
attualmente l’ufficio del procuratore non avrebbe sporto accuse
contro la Fletcher-Durrand. In special modo considerato che il
Durrand maggiormente ricercato dalle forze dell’ordine e da
chiunque altro sembrava svanito dalla faccia della terra.
Non che Jason fosse così ingenuo da immaginare, che il duro
lavoro e la determinazione potessero assicurare da soli la buona
riuscita di un caso; la fortuna giocava sempre una parte, e la sua, di
fortuna, l’aveva decisamente abbandonato. Almeno per quanto
riguardava i Durrand. Sotto altri aspetti invece…
Il
suo sguardo vagò fino a un grande dipinto di Granville
Redmond raffigurante i papaveri californiani sotto cieli in tempesta,
appeso all’altra parete.
Sotto altri aspetti, andava alla grande, ragion per cui si trovava
steso sul divano del capo dell’Unità analisi comportamentale Sam
Kennedy, in attesa del suo ritorno a casa. Due mesi prima aveva
temuto, che la loro relazione avesse concluso il suo corso, durata
non più di un battito di ciglia, e invece, contro ogni previsione, eccolo
lì.
«Va bene,» disse Karan in tono spiccio, l’attenzione già rivolta a
casi più grossi, o dal buon esito più probabile. «Tienimi aggiornata.»
«Lo farò.»
Stava chiaramente per concludere la telefonata, ma dato che
Jason era uno dei suoi protetti, all’improvviso gli chiese: «Come va
l’addestramento? Sei ancora a Quantico?»
«Sì. Ho il volo di ritorno domani sera. L’addestramento… va
come va.»
«Come sempre,» concordò Karan con tono grave. «Okay. Ti
auguro un buon ritorno a casa.» E mise giù, con tempismo perfetto.
Jason sentì la chiave di Sam girare nella porta d’ingresso.
Spense il telefono e si alzò, mentre la porta si apriva. L’odore di
pioggerelle primaverili e quello, sbiadito ma ancora un po’ pungente,
di dopobarba si diffusero all’interno.
«Ehi.»
Sam era un uomo imponente, che riempiva la soglia. All’istante,
le stanze silenziose e leggermente polverose sembrarono rianimarsi.
L’aria viziata dal riscaldamento sembrò spazzata da una folata di
puro, fresco ossigeno.
«Ciao.» Sam sembrava stanco. In quei giorni sembrava sempre
stanco. La pioggia gli scuriva i corti capelli biondi, le ampie spalle nel
trench color caramello punteggiate di gocce d’acqua. Non era
esattamente bello – zigomi alti, naso lungo, bocca forte – ma tutti i
pezzi si incastravano alla perfezione in un viso che emanava forza,
intelligenza e, sì, una certa dose di spregiudicatezza. Gli occhi
azzurri apparivano grigi, ma si scaldarono alla vista di Jason che
andava verso di lui. Lasciò cadere la ventiquattrore e lo prese tra le
braccia, baciandolo e dedicandogli tutta la sua attenzione.
Lusinghiera.
Sam aveva persino il sapore, della stanchezza: troppe tazze di
caffè, troppe mentine per l’alito, troppe conversazioni su morti
violente. Jason ricambiò il bacio con tutto il suo ardore, cercando di
compensare con un’accoglienza sincera quello che doveva essere
stato un giorno di merda.
Non che Sam trovasse una giornata passata tra omicidi, stupri e
rapimenti deprimente, quanto l’avrebbe ritenuta Jason. Altrimenti
non sarebbe stato così bravo nel suo lavoro.
Come sempre, la morbidezza delle labbra di Sam lo sorprese.
Per un uomo che si diceva avere un cuore di pietra, di certo sapeva
come baciare.
Si staccarono con riluttanza. Sam lo osservò. «Giornata buona?»
«Ora sì.»
Sam fece un vago sorriso, dando un’occhiata in giro per la stanza
e notando la tazza di caffè di Jason e i fogli e le foto sparsi sul
tavolino. «Sembra ti sia dato da fare.» Le sue sopracciglia pallide si
avvicinarono. «Fa un caldo infernale, qua dentro.»
Jason fece una smorfia. «Scusa. Ho alzato il riscaldamento, si
gelava, quando sono entrato.»
Sam sbuffò, accennando ai jeans e alla T-shirt rossa del MOMA
che indossava Jason. «Avresti potuto mettere una felpa. O anche un
paio di calze.»
«Immagino di sì.»
Sam sogghignò. «Voi ragazzi californiani.»
«Ne hai conosciuti tanti, eh?» Il suo tono era mesto. A
quarantasei anni, Sam era più vecchio di lui di dodici, e aveva un bel
po’ di esperienza in più.
«Solo uno che valga la pena di ricordare.» Kennedy lo tirò a sé
per un altro bacio, seppur più breve.
Jason sorrise sotto la sua bocca che premeva decisa.
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