Glass magic – La donna di sabbia – Maria V. Snyder

SINTESI DEL LIBRO:
Una vampata di aria rovente mi investì quando entrai nella
vetreria. Il calore e l'odore di carbone che bruciava mi avvolsero in
un abbraccio confortante. Mi fermai per prendere fiato nell'aria
densa. Il ruggito delle fornaci suonava dolce come la voce di mia
madre.
«Opale!» gridò Aydan al di sopra del rumore, gesticolando con la
mano nodosa. «Hai intenzione di startene lì tutto il giorno? Abbiamo
del lavoro da fare.»
Mi affrettai a raggiungerlo. Lavorare in mezzo al calore aveva
trasformato i suoi capelli grigi in una matassa crespa, e il sudiciume
gli striava le mani. Fece una smorfia di dolore quando sedette al
bancone da lavoro, massaggiandosi con il pugno il fondoschiena.
«Sei stato di nuovo a spalare carbone» lo rimproverai. Lui cercò di
fare l'innocente, ma prima che potesse mentire domandai: «Cos'è
successo al tuo apprendista?».
«Se l'è data a gambe non appena si è accorto di quanto è dura
mutare il fuoco in ghiaccio» sbuffò Aydan.
«Bene, adesso ci sono io.»
«Sei in ritardo.»
«Mi dispiace, avevo un... esame.» Sospirai. Un altro frustrante
tentativo senza frutto. Non solo non ero riuscita ad accendere il
fuoco, ma avevo rovesciato le candele, schizzando cera calda sui
vestiti della mia compagna di classe Pazia e scottandole la pelle. La
sua costosa tunica di seta era rovinata. Lei aveva sbuffato sdegnosa
quando mi ero offerta di ripagarle la camicia. Niente di nuovo.
L'ostilità di Pazia era il motivo ricorrente che aveva segnato tutti i
miei quattro anni al Mastio. Perché avrei dovuto aspettarmi che
l'ultimo fosse in qualche modo diverso?
Dopo aver iniziato il quinto anno di lezioni al Mastio dei Maghi,
avevo sperato di riuscire a fare di più con la mia magia. Le capacitÃ
di Pazia erano talmente cresciute da quando eravamo sedute fianco
a fianco durante il primo corso, che i Maestri Maghi stavano
considerando di ammetterla all'esame per il livello di Maestro.
Io avevo imparato la storia di Sitia, la politica, l'arte di combattere
e le varie applicazioni della magia, ma la mia capacità di attingere
alla
fonte del potere era ancora approssimativa. I dubbi
divampavano, e la tormentosa sensazione di avere un'unica abilitÃ
magica mi si agitava nel petto. E sapere che gli altri studenti mi
chiamavano la Meraviglia da un Trucco Solo minava la mia
autostima.
«Gelosia» aveva sentenziato Aydan quando gli avevo raccontato
del nomignolo. «Tu hai salvato Sitia.»
Pensai al giorno, più di quattro anni prima, in cui avevo aiutato
l'ufficiale di collegamento Yelena a catturare quelle anime malvagie.
Aveva fatto lei tutto il lavoro, io ero stata soltanto un canale.
Avevo cercato di minimizzare il mio coinvolgimento, ma Aydan
aveva insistito. «Tu sei un'eroina e quei bambini non riescono a
sopportarlo.»
Ricordare le sue parole mi fece sorridere. Chiamare bambini
persone dai quindici ai vent'anni era tipico di Aydan, un burbero
orgoglioso.
Mi batté sul braccio con un cannello. «Piantala di sognare a occhi
aperti e prendimi un bolo.»
Afferrai la canna da soffio e aprii il forno. Una luce intensa scaturì
dalla fornace, come se all'interno vi fosse intrappolato un pezzo di
sole. Rigirai l'estremità della canna nel vetro fuso e la scrollai in su e
in giù, prelevando una palla simile a una caramella gommosa,
cercando di fare in fretta per non bruciarmi ciglia e sopracciglia.
Il
bolo rosso ciliegia pulsava come se fosse vivo. Aydan soffiò
attraverso la canna, poi coprì il foro. Una piccola bolla comparve nel
vetro fuso. Appoggiando il tubo sui bracci metallici del suo bancone
da mastro soffiatore, Aydan lo fece rotolare avanti e indietro, dando
forma al vetro.
Lo aiutai mentre creava un complicato vaso con una piega alla
base, così che in effetti stava appoggiato sul fianco e tuttavia poteva
ancora contenere acqua. Nelle sue mani, trasformare il vetro in arte
sembrava facile. Adoravo le proprietà uniche del vetro fuso, che
poteva essere modellato in oggetti così splendidi. Lavorammo per
ore, ma il tempo volò.
Quando finì la sua opera d'arte, Aydan si raddrizzò sulle gambe
scricchiolanti e disse le parole che erano la ragione per cui ero
andata ad aiutarlo dopo le lezioni. «Ora tocca a te.»
Ci scambiammo di posto e lui prese un cannello. Mentre
raccoglieva un bolo, io mi assicurai che gli arnesi di metallo posati
sul bancone fossero nel posto giusto. Mancavano soltanto quel
seccatore del mio fratello minore a dirmi di sbrigarmi, e la mia
paziente sorella maggiore ad aiutarmi, per completare la sensazione
di essere nella vetreria della mia famiglia.
Sedere al bancone era familiare e rassicurante. Lì, e lì soltanto,
avevo io il controllo. Le possibilità erano infinite e nessuno poteva
dirmi che cosa fare.
Tutti i pensieri svanirono quando Aydan posò la canna davanti a
me. Il vetro si raffreddava in fretta e non avevo tempo di indugiare su
nient'altro se non dare forma alla massa incandescente. Usando
delle pinze metalliche, tirai e pizzicai finché la massa non si
trasformò in una forma riconoscibile, dopodiché soffiai nell'estremitÃ
della canna. Il cuore del pezzo si accese come se fosse illuminato
da un fuoco interno.
Il mio unico trucco magico... la capacità di inserire un filo di magia
dentro la statuetta di vetro. Solo i maghi potevano vedere la luce
catturata.
Aydan emise un fischio di apprezzamento per il pezzo finito.
Tecnicamente la sua capacità di accendere fuochi con la magia
faceva di lui un mago, ma dal momento che non possedeva nessun
altro talento, non era stato invitato a studiare al Mastio. Non avrei
dovuto essere ammessa nemmeno io. Avrei potuto creare i miei
speciali animaletti di vetro a casa mia, a Booruby.
«Accidenti, ragazza.» Aydan mi diede una pacca sulla schiena.
«Quella è una copia sputata del falco codarossa di Maestro
Gemmarosa! L'hai fatto per lei?»
«Sì. Le serve un altro pezzo.» Non sapevo mai che cosa avrei
creato quando mi sedevo al bancone, ma il tempo trascorso ad
aiutare il Maestro Gemmarosa a prendersi cura del suo falco doveva
avermi influenzata. Il nucleo ardeva e mi chiamava con un canto
nostalgico. Ciascuna delle mie creazioni aveva una voce distintiva
che mi risuonava dentro e che nessun altro poteva udire.
«Vedi? Quello è un altro dei tuoi doni» disse Aydan posando il
falco nel forno di ricottura perché potesse raffreddarsi lentamente.
«Ora i maghi possono comunicare anche a grande distanza con
questi tuoi animaletti.»
«Solo quelli che possiedono il potere della comunicazione
mentale» ribattei. Leggere la mente era un'altra capacità che mi
mancava. A quelli che l'avevano, bastava tenere in mano uno dei
miei animali e potevano parlarsi l'un l'altro tramite la magia
intrappolata all'interno. Avrei ammesso di provare un certo orgoglio
per la loro utilità , ma non me ne ero mai vantata. Non come Pazia,
che esibiva ogni cosa che faceva.
«Puah! È pur sempre una delle scoperte più importanti degli ultimi
anni. Smettila di essere così modesta. Ecco...» Mi tese una pala.
«...metti altro carbone nella fornace, non voglio che la temperatura
cali di colpo durante la notte.»
Fine del discorsetto d'incoraggiamento. Raccolsi lo speciale
carbone bianco e lo aggiunsi al fuoco che ardeva sotto la fornace.
Dal momento che Aydan vendeva i suoi pezzi in vetro come arte,
gliene serviva soltanto una; la sua era una piccola bottega a
confronto delle otto fornaci della mia famiglia.
Quando ebbi finito, gli abiti si erano appiccicati alla pelle sudata e
ciocche di capelli mi aderivano alla faccia. La polvere di carbone mi
grattava in gola.
«Puoi aiutarmi a miscelare?» chiese Aydan prima che potessi
andarmene.
«Solo se prometti di assumere un nuovo apprendista domani.»
Lui mugugnò e borbottò, ma acconsentì. Mescolammo sabbie che
provenivano da diverse parti di Sitia secondo una ricetta segreta
sviluppata generazioni prima. Il composto doveva essere
addizionato con cenere di soda e calce prima di poter essere fuso in
vetro.
Mentre cercavo di indurre Aydan a rivelarmi da dove venisse la
sabbia rosata, arrivò un messaggero dal Mastio, uno studente del
primo anno che arricciò il naso al calore.
«Opale Cowan?» domandò.
Io annuii e lui sbuffò. «Finalmente! Ho frugato tutta la Cittadella
per trovarti. Ti vogliono al Mastio.»
«Perché?»
«Non so.»
«Chi mi vuole?»
Il ragazzo irradiò contentezza come fosse il mio fratello minore
che annunciava la mia imminente punizione da parte dei nostri
genitori. «I Maestri Maghi.»
Dovevo essere in guai grossi. Non c'era altro motivo per cui i
Maestri potessero mandarmi a chiamare. Mentre correvo dietro al
messaggero - un tipo ambizioso, se faceva commissioni per i
Maestri al suo primo anno, e che aveva già deciso che non valeva la
pena parlarmi - pensai al disastro di quella mattina con Pazia. Lei
desiderava farmi espellere fin dal primo giorno. Forse alla fine ci era
riuscita.
Ci affrettammo per le strade della Cittadella. Dopo quattro anni, la
struttura della città mi sbalordiva ancora. Tutti gli edifici erano stati
costruiti con lastre di marmo bianco striate di venature verdi. Se fossi
stata sola, avrei strisciato le mani sulle pareti mentre camminavo,
fantasticando di creare una città di vetro.
Invece oltrepassai di corsa le costruzioni mentre il colore vivido
impallidiva via via che il cielo si faceva buio. Le guardie del Mastio ci
fecero cenno di entrare... un altro cattivo segno.
Salimmo i gradini due alla volta per raggiungere l'edificio
amministrativo. Il campus del Mastio, con le quattro imponenti torri,
era annidato nell'angolo nordorientale della Cittadella. All'interno, gli
edifici erano stati costruiti con una varietà di marmi colorati e legni
duri.
I
blocchi pesca e gialli dell'amministrazione di solito mi
rilassavano, ma non quel giorno. Il messaggero mi abbandonò
all'ingresso della sala riunioni dei Maestri. Accaldata per la corsa,
avrei voluto togliermi il mantello, ma avevo la camicia macchiata di
sudore e i calzoni da lavoro. Mi strofinai la faccia, tentando di
togliere la sporcizia e mi raccolsi i lunghi capelli in una crocchia
ordinata.
Prima che bussassi, mi venne in mente un'altra possibile ragione
per la mia convocazione: mi ero trattenuta troppo alla vetreria e
avevo perso le lezioni serali di equitazione. Nell'ultimo anno di
istruzione al Mastio, la classe degli apprendisti imparava ad accudire
i cavalli e a cavalcare, in vista di quando ci saremmo diplomati come
maghi e avremmo dovuto viaggiare per le terre degli undici clan di
Sitia, per portare aiuto dove necessario.
Forse il Mastro Stalliere aveva riferito ai Maestri della mia
assenza. L'idea di affrontare i tre maghi e il Mastro Stalliere insieme
mi fece rabbrividire. Voltai le spalle alla porta, cercando una via di
fuga, ma il battente si aprì.
«Non esitare, bambina. Non sei nei guai» disse Primo Mago, Bain
Buonsangue, facendomi segno di seguirlo nella sala.
Con i ricciuti capelli grigi scompigliati e una lunga palandrana
azzurra, il vecchio sembrava tutto tranne che il mago più potente di
Sitia. In effetti, il contegno severo di Terzo Mago Irys Gemmarosa
suggeriva un potere maggiore rispetto al viso avvizzito di Maestro
Buonsangue. D'altra parte, se qualcuno avesse incrociato per strada
Secondo Mago Zitora Cowan, non avrebbe mai immaginato che la
giovane donna possedesse talento sufficiente per sostenere l'esame
per il livello di Maestro.
Seduti attorno a un tavolo ovale, i tre Maestri mi fissarono.
Soffocai l'istinto di nascondermi. Dopotutto, Maestro Buonsangue
aveva detto che non ero nei guai.
«Siedi, bambina» disse Primo Mago.
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