Fotogrammi dell’anima – Massimo Bisotti

SINTESI DEL LIBRO:
Fiera e imperturbabile, l’ape regina sedeva sul suo trono, respirava il
polline giornaliero e dirigeva tu e le piccole api operaie che aveva al
suo servizio. Non si scomodava mai, l’unico volo che faceva era
quello del ma ino, per sgranchire le sue zampe e regali. Dopodiché
tornava sul suo trono, specchiandosi nel riflesso dei raggi che il sole
spediva sui braccioli della regale poltrona. L’orgoglio e la tracotanza
erano maestri di musica che dirigevano puntualmente ogni suo
suono, ogni suo movimento, ogni suo ordine.
Nel palazzo era temuta, rispe ata e mai contradde a. Tu i
sapevano che il suo vizio principale era quello di mandare al
patibolo chiunque avesse osato trasgredire a una sua regola. I poveri
fuchi venivano utilizzati esclusivamente per il suo sollazzo. Negli
altri villaggi girava voce che, dopo serate particolarmente calde,
venivano giustiziati per evitare che potessero raccontare di lei e
me ere in giro strani pe egolezzi sul suo conto.
Quella sera l’ape era intenta a provare degli abiti che si
abbinassero con il suo corpo giallo e nero. Le avevano montato uno
specchio gigante a est della finestra, affinché fosse esaudito il suo
volere: usufruire dei raggi solari e nello stesso tempo dedicarsi alla
sua bellezza. Le ape e operaie le passavano interi guardaroba senza
sosta, ma l’ape non sembrava soddisfa a di nessun vestito, neppure
di quelli da cerimonia. D’altronde non voleva sposarsi, i maschi
erano giullari ada i per la corte e non certo per dividere un le o
regale. Doveva dormire sola nel suo le o, grande a dismisura, così
grande da poter ospitare milioni di piccole ape e di corte.
Quella sera, però, l’ape si annoiava nel provare i vestiti e il suo
nervosismo, insinuandosi nelle viscere, le fece venire un certo
appetito. Pensò che era stanca di farsi portare le solite deliziose
pietanze: quella sera cercava qualcosa di più. Già, ma cosa? Aveva
tu o nel suo piccolo mondo ricostruito, poteva ammirare paesaggi
favolosi dalla sua nobile mansarda.
A un certo punto un bo one le si staccò dal vestito, il suo sguardo
austero incrociò gli occhi di un’apina. Senza parole voleva dirle:
“Raccoglilo!”. L’apina si chinò impaurita perché non riusciva a
scorgerlo, era sgusciato so o a un tavolino. L’ape regina iniziò a
infastidirsi, già si sentiva parecchio insofferente, non aveva più
voglia di provare niente. Voleva succhiare petali diversi, era così
arrogante e viziata da non riuscire più nemmeno a gioire delle sue
fortune. Mentre l’apina le restituiva il bo one, udì un rumore
proveniente dal giardino.
La regina aveva ordinato silenzio assoluto, perciò diede
disposizione di andare ad accertarsi che non vi fosse nessuno.
Nell’intento di girarsi vide un fuco in giardino: sdraiato so o a un
albero con uno sguardo dolce e disteso, aveva gli occhi socchiusi e si
godeva il silenzio. L’ape regina diede subito ordine di portarlo al suo
cospe o: aveva deciso che l’incauto sogge o avrebbe allietato la sua
noiosa serata e che avrebbe dovuto prepararle un bagno di miele.
Quando le api operaie andarono ad avvisare il fuco degli ordini
della regina, egli sorrise e comunicò che non desiderava vivacizzarle
la serata nel modo da lei prescelto. Aggiunse però che, se la regina
fosse stata d’accordo, l’avrebbe portata a visitare il giardino
dell’anima.
Le api, sconvolte per la notizia del rifiuto, corsero a riportarle il
messaggio, convinte che il fuco sarebbe stato immediatamente
punito con la morte. L’ape regina, invece, continuava a guardare
p
p
g
g
meravigliata il fuco dalla sua finestra. Le venne in mente che questo
giardino dell’anima non l’aveva visitato mai e si stupì del fa o che
qualcuno conoscesse un posto a lei segreto. Pensò che avrebbe
potuto rimandare l’uccisione del fuco e che, per ora, assecondarlo
avrebbe potuto venirle utile per spezzare la noia della serata. Così, si
fece cucire per l’occasione un vestito bellissimo dalle cinquanta
ancelle prescelte, imponendo loro di terminarlo in un’ora. Nel
fra empo, si fece servire una cena deliziosa disponendo tavolo
regale e sedia ai bordi del davanzale, per continuare a tenere
so ’occhio il fuco, per evitare che potesse fuggire al di là del recinto.
Ordinò alle sue fide scudiere di sollevare il ponte levatoio e di
interrompere l’accesso a ogni strada limitrofa, le incaricò anche di
tendere le reti per evitare che il fuco potesse volare via.
Mentre mangiava, vedeva il fuco sorridere. Le sembrava che fosse
cosparso da una strana luce di un colore impalpabile e indecifrabile.
Non riusciva a comprendere quale fosse e nemmeno se potesse
essere classificato nella scala dei colori. Avrebbe voluto possedere un
vestito di quel colore, sarebbe però stato difficile farselo cucire, senza
comprendere come fare a tingerlo.
Finita la cena, si fece pe inare e scese in giardino, si presentò
dinanzi al fuco e gli porse la zampe a per farsela baciare. Il fuco,
galantemente, la baciò e le disse: «Sei pronta a seguirmi nel giardino
dell’anima?».
«Certo, fuco, è un posto che non ho mai visitato, perciò è mio
diri o visitarlo, visto che io sono la regina e nulla può venirmi
negato.»
«Ne sei sicura?» esclamò il fuco, arricciando le piccolissime
palpebre dei suoi occhi neri.
«Certo, sono la regina io, non lo ricordi? Forse non sei di qui?»
«Non appartengo a posti, né luoghi; non ho padroni, anzi li
detesto, poiché amo la semplicità e le piccole cose.»
«Le piccole cose? Come può un essere vivente amare le piccole
cose quando può avere le grandi?»
«Perché è sempre per le piccole cose che ci si perde, è sempre nei
de agli che è nascosta la vera natura degli esseri viventi.»
L’ape regina non capiva il discorso del fuco, credeva che fosse un
insieme di parole stupide de e per tentare di sfuggire al suo destino.
Credeva che il fuco fosse così intelligente da comprendere che, dopo
la serata, egli sarebbe stato giustiziato. Come poteva d’altronde
graziarlo? Avrebbe forse spifferato in giro della sua manchevolezza,
avrebbe potuto dirlo a tu i e ridicolizzarla: “La regina non conosce il
giardino dell’anima...”. Che disonore terribile e che brusio
raccapricciante sarebbe volato negli altri regni.
Il fuco sembrava tranquillo, le prese la zampe a regale e le disse:
«Sei pronta?»
«Certo, ma quanto c’è da camminare per raggiungere questo
giardino? Dovrai portarmi in spalla!»
«Non servirà...» rispose il fuco. «Chiudi gli occhi.»
La regina chiuse gli occhi, sentì una schicchera lieve sul volto, li
riaprì e si ritrovò in un giardino incantato dello stesso colore della
luce che aveva intorno il fuco.
«Come siamo arrivati fin qui?»
«Non eri tu, regina, che dicevi che i de agli non sono importanti?
È un de aglio sapere come siamo arrivati fin qui. Non provare a
descrivere quel che si vede, prova, per una volta, a descrivere quel
che si nasconde alla vista.»
La regina tacque. Per la prima volta nella sua vita non sapeva che
cosa rispondere. Avrebbe dovuto sentirsi stizzita e offesa, perché
qualcuno aveva osato rimbeccare i suoi pensieri, eppure il fuco la
incuriosiva così tanto che perse di vista il suo orgoglio, per una
volta. Davanti a lei c’erano tantissimi fiori, sembravano quasi
trasparenti ed erano così luminosi. Istintivamente si chinò per
raccoglierli, nessuno aveva mai messo in un vaso regale dei fiori di
quel genere.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo