Lettere contro la guerra –  Tiziano Terzani

SINTESI DEL LIBRO:

Ci SONO giorni nella vita in cui non succede niente, giorni - che passano senza nulla da ricordare,
senza lasciare una traccia, quasi non si fossero vissuti. A pensarci bene, i più sono giorni così, e solo
quando il numero di quelli che ci restano si fa chiaramente più limitato, capita di chiedersi come sia stato
possibile lasciarne passare, distrattamente, tantissimi. Ma siamo fatti così: solo dopo si apprezza il
prima e solo quando qualcosa è nel passatoci si rende meglio conto di come sarebbe averlo nel
presente. Ma non c’è più.
Il 10 settembre 2001 per me, e son certo non solo per me, fu un giorno di questo tipo: un giorno di
cui non ,ricordo assolutamente nulla. So che ero ad Orsigna, l’estatee era finita, la famiglia s’era di
nuovo sbrancata in tutte’ le direzioni ed io probabilmente preparavo vestiti e carte per tornare in India a
svernare.
Pensavo di partire dopo il mio, compleanno, ma non contavo i giorni e quel 10
settembre 2001 passò senza che me ne accorgessi, come non fosse nemmeno stato nel calendario.
Peccato. Perché per me, per tutti noi - anche per quelli che ancora oggi si rifiutano di crederlo -, quel
giorno fu particolarissimo, uno di cui avremmo dovuto, coscientemente, gustare ogni momento. Fu
l’ultimo 10 Lettere contro la guerra
giorno della nostra vita di prima: prima dell’ 11 settembre, prima delle Torri Gemelle, della nuova
barbarie, della limitazione delle nostre libertà, prima della grande intolleranza, della guerra tecnologica,
dei massacri di prigionieri e di civili innocenti, prima della grande ipocrisia, del conformismo,
dell’indifferenza o, peggio ancora, della rabbia meschina e dell’orgoglio malriposto; l’ultimo giorno prima
che la nostra fantasia in volo verso più amore, più fratellanza, più spirito, più gioia venisse dirottata
verso più odio, più discriminazione, più materia, più dolore.
Lo so: apparentemente poco o nulla è cambiato nella nostra vita. La sveglia suona alla stessa ora, si
fa lo stesso lavoro, nello scompartimento del treno squillano sempre i telefonini ed i giornali continuano
ad uscire ogni giorno con la loro dose di mezze bugie e mezze verità. Ma è un’illusione, l’illusione di
quel momento di silenzio che c’è fra il vedere una grande esplosione in lontananza ed il sentirne poi il
botto. L’esplosione c’è stata: enorme, spaventosa. Il botto ci raggiungerà, ci:assorderà. Potrebbe anche
spazzarci via. Meglio prepararsi in tempo, riflettere prima che si debba correre, anche solo
figurativamente, a cercare di salvare i bambini o a prendere qualche ultima cosa da mettere in borsa.
Il mondo è cambiato. Dobbiamo cambiare noi. Innanzitutto non facendo più finta che tutto è come
prima, che possiamo continuare a vivere vigliaccamente una vita normale.
Con quel che sta succedendo nel mondo la nostra vita non può, non deve, essere normale. Di
questa normalità dovremmo avere vergogna.
10 settembre 2001: il giorno mancato
11
Questa impressione che tutto era cambiato mi colpì immediatamente. Un amico mi aveva telefonato
dicendo semplicemente: «Accendi la televisione, subito». Quando in diretta vidi il secondo aereo
esplodere, pensai: « Pearl Harbor. Questa è una nuova guerra ». Restai incollato davanti un po’ alla
BBC, ungo’ alla CNN per delle ore, poi uscii a fare una passeggiata nel bosco. Mi ricordo con quanto
stupore mi accorsi che la natura era indifferente a quel che succedeva: le castagne cominciavano a
maturare, le prime nebbie a salire dalla valle. Nell’aria sentivo il solito, lontano frusciare del torrente e lo
scampanellio delle capre della Brunalba. La natura era assolutamente disinteressata ai nostri drammi di
uomini, come se davvero non contassimo nulla e potessimo anche scomparire senza lasciare un gran
vuoto.
Forse perché ho passato tutta la mia vita adulta in Asia e davvero sono ora convinto che tutto è uno
e che, come riassume così bene il simbolo taoista di Yin e Yang, la luce ha in sé il seme delle tenebre e
che al centro delle tenebre c’è un punto di luce, mi venne da pensare che quell’orrore a cui avevo
appena assistito era… una buona occasione.
Tutto il mondo aveva visto. Tutto il mondo avrebbe capito. L’uomo avrebbe preso coscienza, si
sarebbe svegliato per ripensare tutto: i rapporti fra Stati, fra religioni, i rapporti con la natura, i rapporti
stessi fra uomo e uomo. Era una buona occasione per fare un esame di coscienza, accettare le nostre
responsabilità di uomini occidentali e magari fare finalmente un salto di qualità nella nostra concezione
della vita.
12 Lettere contro la guerra
Dinanzi a quel che avevo appena visto alla televisione e quel che c’era ora da aspettarsi non si
poteva continuare a vivere normalmente, come tornando a casa vidi fare alle capre che brucavano
l’erba.
Credo che in tutta la vita non sono mai stato davanti alla televisione quanto nei giorni che seguirono.
Dalla mattina alla sera. Quasi non dormivo. In testa avevo sempre quella frase: una buona occasione.
Per mestiere, dinanzi ad una verità ufficiale ho sempre cercato di vedere se non ce n’era una
alternativa, nei conflitti ho sempre cercato di capire non solo le ragioni di una parte, ma anche quelle
dell’altra. Nel 1973, assieme a JeanClaude Pomonti di Le Monde ed al fotografo Abbas, fui uno dei
primi a passare le linee del fronte nel Vietnam del Sud per andare a parlare col « nemico », i vietcong.
Allo stesso modo, per cercare di capire i terroristi che avevano già provato a far saltare in aria una
delle Torri Gemelle a New York, nel 1996 ero riuscito, due volte di seguito, ed entrare nella « università
della jihad» per parlare con i seguaci di Osama bin Laden.
Pensai che sarebbe servito riraccontare brevemente quella storia e le impressioni di quelle visite per
immaginarsi il mondo dal punto di vista dei terroristi. Ma scrivere mi pesava.
Il 14 settembre era il mio sessantatreesimo compleanno ed in quella data scadeva formalmente il
mio bel rapporto di lavoro con Der Spiegel, iniziato esattamente trent’
anni prima, ma già dal 1997 messo, su mia richiesta, in una forma concordata di letargo.
10 settembre 2001: il giorno mancato
13
Con In Asia,* il libro che raccoglieva tutte le grandi e piccole storie di cui ero stato testimone, avevo
detto quel che avevo da dire sul giornalismo. Da allora mi sono praticamente ritirato dal mondo. Passo
gran parte dei tempo nell’Himalaya e godo enormemente di non avere scadenze tranne quelle della
natura: il buio è l’ora di andare a letto, la prima luce l’ora di alzarsi. Dove abito, in un posto isolato a due
ore di macchina dal primo centro abitato, più un’ora a piedi attraverso una foresta di rododendri giganti,
non c’è né luce né telefono e così non ho distrazion tranne quelle piacevolissime degli animali, ;’ degli -
uccelli, del vento e delle montagne. Ho perso l’
abitudine di leggere i giornali e, anche quando vengo in Europa, ne faccio volentieri a meno: le storie
si ripetono e mi pare-di averle già lette anni fa, quando erano scritte meglio.
L’inverno è per me la più bella stagione nell’Himalaya. Il cielo è limpidissimo e le montagne appaiono
viCin ssime. Avevo assolutamente fatto piani per partire, ma come dicono gli indiani indicando il cielo:
«Vuoi far ridere Baghawan (Dio)? Bene: digli i tuoi piani ».
-Così passai il mio compleanno a scrivere, non un articolo con quel numero fisso di righe, con
l’attacco attraente per renderlo leggibile, ma una lettera come l’avrei scritta di getto a un amico.
Mi piace scrivere lettere. Ho sempre pensato che se fossi nato ricco e trecento anni fa, là dove
comunque
* Longanesi, Milano, 1998.
14 Lettere contro la guerra
son nato, povero, a Firenze, avrei solo voluto viaggiare il mondo per scrivere delle lettere. II
giornalismo in qualche modo mi ha permesso di fare una cosa simile, ma con la limitazione dello spazio,
la fretta delle scadenze, gli obblighi del linguaggio. Ora finalmente posso scrivere semplicemente delle
lettere.
Quella da Orsigna la mandai per e-mail a Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, con
un messaggio chepiùo meno diceva: « Vedi tu. Secondo gli accordi ».
Per anni avevo avuto col Corriere un contratto di collaborazione; ma quando era venuto il momento
di rinnovarlo avevo scelto di non farne niente, per la stessa ragione per cui non ho mai voluto anticipi sui
libri non ancora scritti. Non voglio sentirmi obbligato a nulla, non voglio avere complessi di colpa, sensi
del dovere. Così con de Bortoli ripiegammo su un personalissimo gentlemen agreement: io mi sarei
sentito libero di scrivere quando, quanto e come volevo, lui libero di pubblicare o meno, cambiando al
massimo le virgole. Così è stato.
La lettera uscì il 16 settembre. Il titolo non era quello che avevo suggerito, « Una buona occasione »,
ma non potevo, come non ho mai dovuto fare poi, lamentarmi.
Cominciava in prima pagina ed il seguito ne occupava un’altra intera. Il nocciolo di tutto quel che
volevo dire era lì: le ragioni dei terroristi, il dramma del mondo musulmano nel suo confronto con la
modernità, il ruolo dell’Islam come ideologia anti-globalizzazione, la necessità da parte dell’Occidente di
evitare una guerra di religione, una possibile via d’uscita la non-violenza.
10 settembre 2001: il giorno mancato
15
Il sasso era tirato. Finii di preparare vestiti e carte ed andai a Firenze, pronto a partire.
Non ero sicuro di andare nell’Himalaya. Tornare al mio splendido ritiro mi pareva un lusso che non
potevo permettermi. Bush aveva giusto detto: « We shall smoke Osama bin Laden out of his cave ». Io
dovevo accettare che Osama aveva stanato me dalla mia tana.
La tentazione di tornare nel mondo, di « scendere : in pianura », come dicono nell’
Himalaya quando vanno a fare la spesa, mi era già venuta. A luglio era uscita l’edizione americana
di Un indovino mi disse* e l’editore mi aveva invitato a fare quella orribile cosa che gli americani
chiamano jogging, frustare il libro, spinger=’ lo,“il che tradotto in parole povere significa diventare un
pacco postale in mano a degli abilissimi, efficientissimi giovani PR che ti prendono in consegna e ti
portano a giro dalla mattina alla sera in macchina, in aereo, in eli cott’ero, da costa a costa, da una città
ad un’altra a volte due in un giorno -, mettendoti ora davanti all’intervistatore di un quotidiano che del
libro ha solo letto la copertina, ora davanti ai microfoni di una stazione radio per taxisti o di un’altra per
insonni, ora davanti alle telecamere di un grande TV-show o a quelle di un più modesto programma di
prima mattina per massaie dove si parla di destino fra una ricetta di insalata di pollo, e un nuovo tipo di
sci acquatico.

SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :

Commento all'articolo

Potresti aver perso questo