Delitti e disastri – Rhys Ford

SINTESI DEL LIBRO:
L’UNICA COSA che Rook registrava era il fetore del sangue.
Caldo. Metallico. Sozzo.
Gli pizzicava i sensi, uno sciame inferocito di odori a cui non riusciva a
sfuggire neppure mentre i suoi piedi pestavano con forza l’asfalto di uno
stretto vicolo nel quartiere hollywoodiano. Alle sue spalle sentiva delle urla,
acute folate di suono che rimbombavano nel labirinto di mattoni, vetro e
cemento.
Una lattina scolorita dal sole si accartocciò attorno alla sua Converse
quando ci piombò sopra e gli rimase attaccata alla suola per un altro passo,
finché la gravità non la fece staccare. Quasi inciampando sui suoi stessi piedi,
Rook perse l’equilibrio ma riuscì ad aggrapparsi a un bidone della spazzatura
con le ruote, rovesciandolo a terra. Il pattume si riversò fuori, seguito da un
liquido ripugnante e appiccicoso che prese a colare dalle sue profondità.
Rook fece un balzo di lato per evitarlo, ma senza distogliere l’attenzione dal
rumore dei passi in avvicinamento.
Non aveva proprio nessunissima intenzione di lasciarsi prendere.
Un rigagnolo mefitico poteva lasciarselo alle spalle, il sangue no. Gli
impregnava le mani e i pantaloni su cui aveva provato ad asciugarle. Anche la
pianta delle sue sbiadite Chucks nere doveva esserne intrisa dopo che aveva
camminato sulla pozza scura che si allargava sul pavimento del suo negozio e
il liquido denso e viscoso, quasi rappreso, aveva riempito le scanalature.
Un rumore lo aveva attirato verso il fondo dello spazioso locale. Non era
sicuro della sua provenienza, ma sarebbe stato pronto a giurare su una pila di
Bibbie autografate niente di meno che da Dio in persona di averlo sentito.
Una specie di sospiro rantolante che lo aveva spinto a fermarsi e gettare una
seconda occhiata. La curiosità lo avrebbe ammazzato prima o poi, gli aveva
detto una volta Hawkins.
Previsione che si era rivelata del tutto, e in un modo anche un po’
sconcertante, esatta, dal momento che nello svoltare l’angolo dello scaffale
con i cimeli dei film horror, era praticamente inciampato sulla mano di una
donna morta.
E la sua curiosità a quel punto se l’era fatta sotto dal ridere, perché
sapeva che stava per cacciarlo in un altro enorme casino.
Non aveva avuto bisogno di altro se non del flebile chiarore delle luci di
emergenza incastonate sul fondo degli scaffali per essere sicuro che fosse
morta. Era evidente come la statua a grandezza naturale di Chewbacca che
troneggiava a poche spanne dal corpo riverso a terra. Nessuno avrebbe potuto
sopravvivere a quello scempio. Il ventre e il petto non esistevano più. Soffusi
di luce argentata proveniente dai LED azzurrini, brandelli di carne erano
sparsi sul pavimento circostante in un rivoltante scempio di pelle e muscoli
da cui le interiora si riversavano fuori in grovigli viscidi e sanguinolenti.
A quel punto, la piccola parte ancora funzionante del suo cervello aveva
avuto un guizzo, una specie di sovraccarico sensoriale che gli aveva
infiammato i nervi. Conosceva quella donna. Ci aveva litigato, si era
lamentato di esserne stato ingannato e, peggio ancora, l’aveva maledetta
quando era scappata portandosi via uno dei suoi bottini più consistenti.
Dani Anderson.
Il suo viso da bambola di porcellana era lacerato e gonfio, i grandi occhi
color fiordaliso che usava per attirare le prede apparivano piatti e vuoti, fissi
sul soffitto alto. Era stesa sul fianco, le braccia allungate di fronte a sé in una
posizione innaturale. Aveva le gambe spalancate e le ginocchia piegate,
cosicché la stretta gonna che indossava le era salita fin quasi ai fianchi.
Spinto dall’impulso di darle un po’ di dignità nella morte, Rook aveva
allungato la mano per abbassargliela, ma si era ritratto immediatamente
quando aveva sentito il palmo inumidirsi. A quel punto, qualcosa in quel
corpo martoriato doveva aver ceduto, perché Dani era rotolata in avanti e
Rook aveva cercato di afferrarla, come se fermandone la caduta avrebbe
potuto risparmiarle altro dolore.
Era stato in quel modo che l’avevano trovato: le braccia attorno a una
donna morta e la pelle macchiata del suo sangue ancora caldo.
Una luce accecante quanto improvvisa aveva inondato il negozio e Rook
era arretrato in preda allo spavento, lasciando che Dani cadesse a terra con un
tonfo umido. Non aveva avuto neanche il tempo di riprendere fiato ché la
vetrina era esplosa e un gruppo di ombre era piombato dentro al negozio.
Troppe per contarle nella frenesia del panico e del terrore.
Però aveva visto le pistole. E aveva sentito il bacio di un proiettile
sfiorargli la guancia.
Il negozio di oggetti da collezione era un dedalo di scaffali e stanzini e
Rook lo conosceva come il palmo della propria mano o il meccanismo di una
cassaforte che si apriva sotto le sue dita abili. L’interno della stanza di fondo
del Potter’s Field, in pratica un labirinto, però era troppo buio. Avrebbero
dovuto esserci più luci: i LED lampeggianti di un esclusivo C1-P8 e una
vecchia insegna luminosa che si era accaparrato a un’asta di materiale
scenico di un vecchio film. Se non altro, avrebbe dovuto essere in grado di
vedere qualcosa grazie all’illuminazione soffusa delle teche termiche usate
per contenere i pezzi più delicati. Tuttavia, anziché dal vestito rosa chiaro
indossato da Charlie Chan in uno dei suoi gialli o da quelli tutti lustrini e
paillettes che scintillavano dai loro espositori sigillati, Rook era stato accolto
da una cappa di oscurità interrotta solo da una sottilissima linea arancione.
Non aveva bisogno di vedere bene per raggiungere la porta metallica
scorrevole sul lato dell’edificio, ma avrebbe comunque dovuto fare un bel
discorsetto alla sua assistente Charlene riguardo al non lasciare il lucchetto
aperto quando rientrava in negozio dopo essersi fumata una paglia.
Sempre se fosse sopravvissuto ai proiettili.
Anzi, se fosse sopravvissuto a quella folle fuga attraverso Los Angeles
inseguito da uomini armati, le avrebbe probabilmente concesso un aumento,
perché era appena riuscito a catapultarsi fuori dopo aver solo appoggiato le
mani sul maniglione, quando un’altra pallottola aveva cercato di conoscere da
vicino la sua testa.
Sentiva le gambe in fiamme. Gli anni trascorsi a introdursi in spazi
ridotti lo avevano reso agile e lui si era esercitato per rimanere tale, ma, come
scoprì quando una fitta al costato gli attraversò il fianco, non avevano fatto
niente per la sua resistenza. Era stato uno stupido a adagiarsi e lasciare che la
sua decisione di diventare onesto gli facesse perdere le vecchie buone
abitudini, come per esempio studiare a fondo il circondario per saperci girare
anche a occhi chiusi.
Negligenza che gli stava costando cara.
Hollywood era stata costruita un edificio dopo l’altro lasciando solo
piccoli spazi angusti dietro le imponenti facciate che davano sulla strada,
come se si trattasse di un set disegnato per abbagliare le masse e fabbricato su
larga scala. Tasche di asfalto che fungevano da parcheggi erano sparse qua e
là e avrebbero potuto fornire a Rook spazi più ampi attraverso cui sfrecciare,
se lo avesse voluto.
Ma non lo voleva. Gli spazi ampi erano il modo migliore per farsi
prendere. I sotterfugi e le ombre erano la sua unica speranza nel chiarore
perennemente crepuscolare delle notti hollywoodiane. Il cielo rifulgeva dei
raggi di luce gialla che si impigliavano nella cappa nuvolosa di quell’inizio
d’autunno. I vicoli erano infidi, angoli e svolte disseminate di relitti, sia
immondizia che senzatetto, rintanati nei vani delle porte secondarie nella
speranza che quell’inconsistente rifugio li avrebbe riparati dagli scrosci
improvvisi.
Una zaffata di spezie cinesi nell’aria gli fornì una vaga idea su dove
fosse arrivato: a un isolato e mezzo dal punto di partenza. Il sudiciume era
più incrostato che mai nelle viscere della città, macchie di sporco e smog che
si lasciavano dietro lunghe scie che neanche gli acquazzoni tipici di Los
Angeles riuscivano a portare via. In alcuni casi, gli edifici erano così
appiccicati da non permettere neanche alla brezza di penetrare tra loro, e
Rook si trovò quasi a soffocare in una tasca di aria stagnante dietro a un
vecchio head shop, una nuvola di patchouli e fumo stantio alla deriva nel
calore di una spirale senza fine.
Dietro le vie luccicanti di Hollywood, prosperava un mondo distante
anni luce dallo sfarzo e dal glamour. Un mondo che nulla aveva a che vedere
con il modello abbronzato e dal fisico perfetto proposto dal cinema e dalla
televisione. Così come del tutto estranee a quella Hollywood erano le case
addossate le une alle altre a ridosso di Beverly Hills. Semmai,
quell’immagine dorata equivaleva a uno strato fin troppo spesso di cerone
applicato sulla pelle della sua città, consumato e crepato per via del caldo; e
se qualcuno lo avesse osservato più da vicino, avrebbe notato il passare degli
anni dietro il fondotinta ocra e le svolazzanti ciglia finte.
Dopo anni trascorsi nel circuito del più grande spettacolo del mondo,
Rook aveva sempre amato tornare a percorrere le strade sotto le colline di
Hollywood, stipate di costosi appartamenti con le loro ampie finestre
luminose e la fatua ricchezza di tutta quella nuova carne al fuoco, il cui viso
sorrideva dai cartelloni per un breve istante e poi tornava ad affondare nella
mischia insieme a tutti gli altri miserabili.
Rook aveva lottato con le unghie e con i denti per elevarsi dal rango di
miserabile e se in quel momento non fosse stato impegnato a scappare per
salvarsi la vita, avrebbe riso della facilità con cui si poteva precipitare dal
paradiso, soprattutto quando eri ricoperto del sangue di una donna che
desideravi vedere morta da anni.
Svoltando a sinistra, quasi inciampò su un vecchio di colore con i capelli
canuti che stava tirando fuori alcuni pezzi di manichino da un carrello
malconcio. Frastornato dalla botta, Rook evitò per un pelo le dita nodose che
volevano afferrarlo mentre l’uomo lo guardava con il viso distorto dalla
rabbia.
“Guarda dove vai, ragazzo!” gli sibilò, investendolo con una fiatata
fetida che per un attimo cancellò dalle sue narici la puzza del sangue e delle
interiora.
“Scusa,” borbottò lui, appiattendosi per superarlo. Non aveva fatto più di
un passo quando sentì l’altro afferrargli la testa e torcergli i capelli arruffati
fra le dita. Il dolore lo attraversò talmente improvviso, acuto e intenso da
farlo barcollare all’indietro, sorpreso dalla forza di quel vecchio pelle e ossa.
“Lasciami… devo…”
“È odore di sangue questo?” tuonò la voce dell’uomo, una granata che
echeggiò nel groviglio di vicoli. “Hai ammazzato qualcuno? Merda! Polizia!”
Rook ruotò su se stesso, piegando la testa di lato quando il suo
avversario serrò la presa. Il vecchio strillava sempre più forte, parole
indistinte che attiravano gli inseguitori verso la loro preda. Con lo stomaco
stretto in una morsa di paura, Rook sollevò un ginocchio e lo piantò nello
spazio tra le gambe dell’uomo. Un attimo dopo era libero e riprendeva la
fuga, determinato a seminare le ombre che lo tallonavano. Uscì dal labirinto e
prese una boccata d’aria fresca mentre correva dritto verso la salvezza.
Poi una delle ombre balzò fuori dall’oscurità che rasentava l’estremità di
un marciapiede ingombro e gli piombò addosso.
Una forma troppo grossa e veloce perché potesse evitarla. Ebbe
l’impressione di un paio di jeans, una camicia bianca e una giacca ‒ lampi di
colore davanti ai suoi occhi ‒ prima che un muro di muscoli e tendini lo
investisse con forza sufficiente da farli cadere entrambi sul marciapiede
sporco e rovinato. Rook si raggomitolò su se stesso e rotolò per proteggersi il
petto e il ventre. Anni di inutili scazzottate e istinti affinati presero il
sopravvento e lo spinsero a reagire in un attimo, facendogli piantare due dita
tese nella gola del suo assalitore. Udì un suono strozzato che gli fece sperare
nella libertà, ma il marciapiede non sembrava in vena di collaborare.
Una crepa nell’asfalto gli intrappolò la spalla e bloccò lo slancio,
inchiodandolo a terra. Rook piantò i piedi contro un muro ricoperto di
manifesti e graffiti, ma le suole scivolarono e non riuscì a guadagnare
abbastanza aderenza per rimettersi a correre. Con la schiena rivolta al suo
assalitore, cercò di afferrarsi all’asfalto mentre tirava le gambe sotto di sé, ma
l’uomo gli stava addosso e lo rimandò giù con una violenta spinta. La sua
testa scattò in avanti e gli fece vedere le stelle quando la fronte picchiò con
forza contro la pavimentazione. E mentre sbatteva le ciglia per allontanare
una fitta di dolore intollerabile, Rook sentì una colata di piombo appesantirgli
le viscere.
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