Cronache magiche- Lo specchio evanescente – David J. Moreno

SINTESI DEL LIBRO:
Il
frastuono dei tamburi copriva qualsiasi altro suono, eccetto gli
applausi della folla, che facevano battere forte il cuore di Simón.
Sua madre Alicia aveva dovuto fare grandi economie per riuscire
a comprare un bel vestito per sé e per lui, e adesso se ne stava a
chiacchierare con le amiche nel suo bell’abito bianco a balze, con un
cappello che le pendeva sulla schiena e un mazzo di fiori gialli in
mano. Accanto a lei Simón, che per l’occasione indossava un
pantalone marrone e un gilet in tinta, con una borsa di panno a
tracolla e un berretto ben calato in testa, cercava di vedere la sfilata
nonostante fosse piccolino, saltando nel tentativo di scorgere i
soldati e i poliziotti che marciavano al ritmo dei tamburi.
Erano tutti diretti al nuovo parco che sarebbe stato inaugurato
quel giorno, il Parco dell’Indipendenza, tanto che era quasi
impossibile farsi largo tra la folla, già troppo numerosa e in continuo
aumento, poiché il tram si fermava a ogni angolo scaricando fiumane
di persone arrivate per assistere alla cerimonia e alla sfilata. Per
Simón e sua madre l’ingresso al Parco era stato un regalo del signor
GarcÃa, il padrone della casa dove Alicia lavorava come domestica,
che si trovava non lontano da lì. Mentre avanzavano facendosi largo
nella calca, Simón si voltò per cercare di vedere un po’ meglio, ma
sua madre lo prese per mano per fargli cambiare direzione.
«Ma mamma!... La sfilata è da quella parte!» protestò il ragazzino
indicandole la folla.
«Non puntare il dito, è maleducazione. Noi andremo a vedere
delle altre cose, quindi sistemati bene e non parlare ad alta voce» gli
disse la signora Alicia lisciandogli la borsa.
«Non capisco perché dobbiamo andare da quegli spocchiosi.
Perché non restiamo qui a vedere la sfilata?»
«Perché no. E smettila di voler decidere tutto tu: sei un bambino e
i
bambini non parlano in questo modo. Da adesso in poi non voglio
più sentire una parola».
Il ragazzino si voltò un’ultima volta con rammarico, dando l’addio
alla sfilata, mentre si allontanavano dalla baraonda della strada. La
prima cosa che videro entrando nel parco fu un edificio altissimo, di
un bianco candido, sullo sfondo di una bellissima cornice verde
formata da una grande quantità di alberi, di fronte al quale una
fontana sprizzava acqua verso il cielo.
Nella grande veranda che si apriva sulla facciata del palazzo
erano radunate parecchie persone, che lo avrebbero sicuramente
ignorato, dal momento che lui non apparteneva alla loro stessa
classe sociale. Tutti lì – uomini, donne e persino i bambini – avevano
un’aria piuttosto scostante: alcune signore raggrinzite indossavano
cappelli a tesa larga e lunghe collane, tanto da apparire a Simón
come degli spaventapasseri, e gli uomini portavano dei grandi baffi
che conferivano loro un aspetto austero. Alcuni li sbirciavano,
oppure si fermavano a osservarli con gli occhi spalancati, mentre i
bambini che scorrazzano tutt’intorno non li degnarono neppure di
uno sguardo quando entrarono.
«Ah, il palazzo di Versailles!» esclamò uno di quei distinti signori
alzando le mani al cielo. «Se volete ammirare quella meraviglia, non
è
necessario fare un viaggio, basta venire al Parco
dell’Indipendenza».
Accanto a lui, dopo un altro signore basso e grasso, videro
Manuel GarcÃa con la moglie, la signora Angelica, e le sue due figlie,
Ema e Ana. Ana, la maggiore, che aveva i capelli castani ondulati a
caschetto e indossava un abito verde oliva con troppi volant, era una
ragazzina viziata. Simón la vedeva sempre entrare nel salotto
accanto alla sala da pranzo assieme al suo professore di pianoforte.
Suonava molto bene, ma era anche molto arrogante: lui sapeva
benissimo che lei lo vedeva mentre aiutava sua madre a spolverare,
ma lo evitava regolarmente con un gesto molto scortese. Doveva
avere circa dodici anni, la sua stessa età , anche se era un po’ più
bassa di lui. Sua sorella Ema – una bambina di dieci anni piuttosto
bassa, con i capelli ricci di un castano chiaro che al sole virava al
biondo, e che per l’occasione indossava un abito rosso e un
bellissimo mantello – era molto diversa, perché era gentile con lui e
giocavano spesso insieme. Lei gli raccontava le storie che le
leggeva suo padre tutte le sere, ed era anche molto intelligente:
sapeva tutto sui fiori e sulle piante, perché ogni mattina andava a
curare il giardino con sua madre, che le insegnava un sacco di cose.
Simón le vedeva sempre, mentre se ne stava seduto sotto il portico
della casa, un po’ in disparte, a disegnare gli uccelli e i fiori del
giardino, e anche se aveva imparato ad apprezzare la lettura,
preferiva uscire all’aria aperta a divertirsi, a creare dei pupazzi con i
rami e le foglie del giardino e a giocare con la sua amica.
Ormai era abituato all’atteggiamento scontroso di Ana e non ci
faceva più caso, ma quando, entrando nel parco, si sentì osservato
da tutta quella gente, provò molto imbarazzo. Sua madre si allontanò
per avvicinarsi con discrezione al signor Manuel, che stava
chiacchierando con un gruppetto di uomini, mentre sua moglie
ammirava il bellissimo atrio del palazzo.
«Buonasera signor GarcÃa, non so come ringraziarla per gli
ingressi, è davvero bellissimo» disse la signora Alicia.
«Di nulla, si figuri!» ribatté lui con un sorriso. «Si goda piuttosto
questa meraviglia, che tra poco sarà aperta al pubblico. Ah, eccoti
qui, giovanotto» proseguì rivolto a Simón. «Come stai?»
«Molto bene, signor GarcÃa» rispose il ragazzino, come gli aveva
insegnato sua madre. «Grazie mille per questa opportunità ».
«Non c’è di che» replicò il signor Manuel. «Devo riconoscere che
lei ha un figlio molto educato, Alicia».
«La ringrazio. Vedo che il suo contributo è stato di grande aiuto
per portare a termine queste meravigliose opere» aggiunse
sottovoce la madre di Simón.
«Meravigliose davvero, e destinate a durare perché ne possano
godere i nostri nipoti e bisnipoti».
In quell’istante le due ragazzine raggiunsero la madre, giusto in
tempo per l’inizio della cerimonia d’inaugurazione del parco.
«Buonasera a tutti,» disse il signor Manuel GarcÃa «sono onorato
di poter presentare il simbolo di una nuova era, dimenticando il
passato ma ricordando i nostri eroi. Ringrazio quindi i nostri
meravigliosi architetti, Tomohiro Kawaguchi, senza il quale non
avremmo potuto terminare i giardini, e Pietro Cantini, che ha reso
magnifico questo luogo, oltre a Mariano SantamarÃa ed EscipÃon
RodrÃguez, che si sono rivelati degli autentici geni con le loro idee e
la loro grande ispirazione. E adesso,» aggiunse in tono solenne
«senza ulteriori indugi, ecco a voi il Parco dell’Indipendenza».
Dopodiché si aprirono le porte. Il primo padiglione era dedicato
all’industria e vi era esposta la produzione delle principali aziende
tessili e farmaceutiche, oltre a quella del settore della selleria, della
calzatura
e
della
falegnameria.
Nonostante
non
fosse
particolarmente interessato, Simón lasciò la mano di sua madre e
percorse tutti i padiglioni, uno per uno, passando per quelli
dell’industria e dei macchinari, per quello egizio e quello delle belle
arti. Camminò tra i recinti per il bestiame e i cimeli di guerra,
ammirando orologi e altri oggetti, e quando ebbe finito chiese a sua
madre il permesso di andare al Chiosco della Luce.
Uscì tra la folla intenta a osservare tutte quelle meraviglie e si
mise a fischiettare dando calci per terra, diretto al chiosco che era
rimasto deserto, dal momento che la gente si stava dirigendo in
massa al padiglione delle arti. Si avvicinò e lo osservò: era un po’
strano, sembrava una capanna, ma fatta di cemento. Lì trovò le figlie
del signor GarcÃa che stavano uscendo in quell’istante.
«Te l’avevo detto che era reale!» disse Ema a sua sorella. «I
castelli esistono per davvero».
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