Come educare figli iperconnessi – Janell Burley Hofmann

SINTESI DEL LIBRO:
Quando siamo diventati genitori, non avevamo idea che questo
sarebbe stato il nostro destino. Non immaginavamo che la
tecnologia avrebbe fatto irruzione nella nostra vita. Non sapevamo
che tutti noi – compresi i nostri figli – ci saremmo dedicati ad attivitÃ
diverse da quelle di un tempo, ma altrettanto interessanti. O almeno,
io non l’avrei mai detto. Quando sono diventata madre per la prima
volta nel 1999, non ero ancora laureata. Avevamo un computer fisso
e lo usavo per un solo scopo: l’elaborazione di testi. Ero la
concentrazione fatta persona quando sfornavo temi e relazioni
durante i sonnellini di Gregory o nel cuore della notte. Avevo anche
la posta elettronica, naturalmente, ma sembrava secondaria rispetto
alla possibilità di fare una telefonata o di incontrarsi per un caffè.
Quando Gregory aveva diciotto mesi abbiamo fatto installare un
collegamento internet via cavo nella minuscola stanza d’angolo
dell’appartamento. Quella sì che era vita. La connessione era
velocissima. Potevo svolgere ricerche, fare shopping, ascoltare e
navigare senza essere in un laboratorio informatico, senza usare
l’accesso remoto o rassegnarmi a lunghe attese. Ero sbalordita dal
potenziale del computer e da tutti i modi in cui potevo accedere al
mondo – in un batter d’occhio – dalla mia umile dimora.
Quando Gregory ha cominciato a parlare, ha manifestato anche
un certo interesse per l’informatica. Si svegliava la mattina tutto
caldo e sonnolento e, quando lo prendevo in braccio, diceva: «Elmo!
’puter!». Voleva vedere il personaggio di Sesame Street, lo storico
programma educativo per bambini al computer: che dolce. Lo
consideravo molto intelligente. Insomma, non avevo mai visto un
bimbo così piccolo appassionato di computer. Era emozionante:
facevamo colazione, poi ci sedevamo davanti al pc e giocavamo. Se
ne stava sulle mie ginocchia chiedendo «
Sesame.com» o «Bob
aggiusta tutto». All’inizio lui indicava, io cliccavo e giocavamo
insieme, abbracciati ed entusiasti. Con il passare del tempo, però,
ha cominciato a spingere via la mia mano destra e a spostare il
mouse da solo. «No, mamma, faccio io.» Era ossessionato dai
giochi, dalle storie e dalle canzoni a portata di clic. Era comprensibile
che un bambino di due anni si divertisse, ma non avrei mai creduto
potesse farlo fino a quel punto. Vedeva i computer a casa dei nonni
o degli amici e ci supplicava di accenderli. Abbiamo dovuto
cominciare a contare i minuti, a distrarlo, a usare degli strumenti per
attirare la sua attenzione, e a spegnere il pc per ore in modo che non
potesse accedervi. Ora, mentre frugo tra i ricordi di quel periodo,
concludendo che abbiamo creato e negoziato iRules praticamente
da quando Greg è nato, mi viene da ridere.
Ma all’epoca, pur vedendo quanto fosse attratto dall’informatica e
immerso in quel mondo, non avevo idea di cosa stesse per
accadere. Se mi avessero detto che un giorno non molto lontano mio
figlio avrebbe avuto un computer dentro un piccolo cellulare, con
tanto di fotocamera e semplici strumenti di comunicazione, e che
avrebbe potuto portarlo ovunque nella tasca dei jeans, non ci avrei
mai creduto. Un simile marchingegno non serve a nessuno, avrei
pensato, tantomeno a un bambino. E invece eccoci qui. Siamo la
generazione di genitori che funge da ponte tra il prima e il dopo della
tecnologia. Abbiamo vissuto l’infanzia senza e stiamo allevando la
prima generazione con. Abbiamo il vantaggio dell’acume e della
saggezza insiti in un passato atecnologico, ma non abbiamo
nessuno che ci guidi verso un futuro tecnologico. Cosa possiamo
fare, dunque? Come possiamo educare i ragazzi alla tecnologia nel
presente con le conoscenze, gli strumenti e l’istinto di cui
disponiamo?
Ritengo che il dialogo sia il perno dell’educazione. Attraverso le
conversazioni tra genitori e figli possiamo risolvere, discutere,
prevenire, ridere, incontrarci, dissentire, comprendere, condividere e
crescere. Dobbiamo iniziare a parlare. Dobbiamo fare domande,
raccontarci storie, dialogare con il partner e con i familiari. Avviare
conversazioni con educatori, pediatri, vicini di casa. Esaminare i
desideri, le esigenze, gli obiettivi e i valori della nostra famiglia e poi
applicarli alla tecnologia, anche se i risultati che otteniamo sembrano
molto diversi da quelli altrui. Perché quando parliamo con i nostri
figli, con la famiglia e con i conoscenti non ci sentiamo soli.
Confrontiamo le opinioni e traiamo forza dai punti di vista comuni e
anche da quelli divergenti. Cominciamo a essere sicuri delle nostre
idee, e diventiamo genitori più forti.
Quando abbiamo la sensazione di essere schiacciati dalle
responsabilità , dobbiamo tenere duro e conservare l’autostima. Non
possiamo dimenticare che siamo genitori. Rappresentiamo l’autorità .
Non siamo padri e madri invadenti, dispotici e iperprotettivi, bensì il
modello e la guida dei nostri figli. Possiamo camminare al loro fianco
con affetto pur imponendo limiti e restrizioni. La genitorialità , tuttavia,
è una capacità in parte naturale e in parte acquisita. Dobbiamo
considerarla una delle maggiori responsabilità di cui ci faremo mai
carico, il che significa impegnarci ad ascoltare l’istinto genitoriale
innato e cercare risorse e strumenti capaci di aiutarci a crescere.
Le iRules possono essere diverse per ciascuno di noi. Per
esempio, i genitori che vanno a prendere i figli a scuola alle sette di
sera forse permettono loro di usare la tecnologia fino a un’ora più
tarda rispetto a me, perché Greg in genere torna a casa alle tre
meno un quarto. Pur avendo abitudini ed esigenze diverse,
possiamo adottare le stesse strategie per stabilire una serie di
regole. Prima di partire con il primo passo, il Tech Talk, è bene che i
genitori parlino approfonditamente tra loro per confrontarsi sul tema.
PRIMA DEL TECH TALK
Coalizzatevi. Per garantire l’efficacia delle iRules dovete essere
in perfetto accordo con il vostro partner. Ciò può comportare la
necessità di programmare le discussioni quando i ragazzi non ci
sono, appianare le divergenze d’opinione per presentare un fronte
unito e coinvolgere nella creazione delle iRules tutti coloro che
partecipano all’educazione dei vostri figli. Queste accortezze sono
fondamentali. L’unione fa la forza.
Anche se sono stata io a redigere il contratto, discutevo da anni
con Adam delle nostre idee sulla tecnologia. Lui la ama per certi
aspetti – apprezza la funzionalità , l’intelligenza e la velocità dei
dispositivi –, mentre io ne apprezzo altri: la loro finalità sociale, per
esempio, con la possibilità di fare fotografie, inviare messaggi e
condividere contenuti. Entrambi questi punti di vista si sono riversati
nelle iRules. Mentre guardavamo la tecnologia che si evolveva e
raggiungeva ragazzi sempre più giovani, abbiamo parlato di articoli
che avevamo letto e di conversazioni che avevamo avuto con altre
persone. Prima di dare il contratto a Greg, Adam l’ha letto e ha fatto
integrazioni e modifiche in modo che tutti e due lo sentissimo nostro.
Quando iniziate a parlare di tecnologia, domandatevi quali
sentimenti e valori suscita in voi. Conoscete bene il funzionamento
dei vari strumenti, oppure vi sentite intimiditi? Cosa provate quando i
ragazzi li usano? Avete voglia di urlare quando vostra figlia fissa lo
smartphone per ore? Oppure rabbrividite se vedete vostro figlio
giocare con un videogame violento? Quando il bambino si butta sul
pavimento piangendo perché vuole l’iPad, vi sentite impotenti?
Annotate queste reazioni, in modo da poter stabilire limiti ben precisi
tenendo conto del vostro stato emotivo in ogni circostanza.
Devo ammettere che ogni tanto la tecnologia mi rende nervosa.
All’università ho studiato comunicazione di massa, e le ricerche
bibliografiche per la tesi mi hanno condizionato per sempre. Ho visto
come l’impiego dei media influenza la percezione e il
comportamento – soprattutto quando questi strumenti vengono
utilizzati senza consapevolezza – e con quanta facilità i giudizi e le
opinioni possano essere distorti dalle immagini e dai messaggi che
vediamo e assorbiamo. Non ho mai voluto che i miei figli ottenessero
dai media informazioni sui ruoli di genere. Volevo essere io a
stimolare e incoraggiare le loro riflessioni su chi sono e chi vogliono
essere, e questa per me rimane una priorità . Scoprirete che la storia
e l’esperienza personale influiscono sulla vostra tolleranza nei
confronti della tecnologia. Quando cominciamo a conoscere meglio
noi stessi e i nostri metodi educativi, abbiamo le idee molto più
chiare sulla direzione che vogliamo imboccare con i ragazzi.
Certi tipi di programmi televisivi e videogame mi fanno
accapponare la pelle. Vorrei che i miei figli guardassero Arthur e
giocassero a Madden per sempre, perché li considero innocui. Per
me è importante che i ragazzi instaurino relazioni positive, ed è
difficile capire come migliaia di adolescenti che trascorrono intere
giornate sui social network possano raggiungere questo obiettivo.
Ma più mi addentravo nelle iRules e nei valori alla base del contratto,
più mi rendevo conto che la mia influenza era ben presente. I miei
criteri erano limpidi, perciò potevo rilassarmi e permettere a Greg di
usare i social network all’interno dei paletti da me stabiliti.
Dobbiamo comprendere le nostre motivazioni educative, capire
perché siamo inclini a reagire o a raccontare, a infuriarci o a lasciar
correre. La conoscenza di voi stessi vi aiuterà a educare con
maggiore chiarezza. Quando un genitore è sicuro di chi è, di cosa
rappresenta e di cosa desidera per i figli, le restrizioni e i metodi si
conciliano senza problemi. Non abbiate timore di scavare sotto la
superficie, di imparare a conoscervi. La tecnologia presente in casa
vostra vi inquieta? Di cosa avete paura? Fate una lista. Vi
spaventano forse i predatori online? La dipendenza? La mancanza
di esercizio fisico? La perdita della fantasia? Una volta individuate le
nostre paure più grandi, possiamo scegliere regole e strumenti
specifici per evitare che diventino realtà . Quando Greg ha ricevuto
l’iPhone, ero terrorizzata al pensiero che sviluppasse una
dipendenza, che lo portasse di nascosto ovunque. Avevo già una
vita piena e impegnata, traboccante di sfide infinite che mi
imponevano di sfruttare ogni giorno le mie energie per restare a
galla. Non volevo che l’iPhone ci spingesse oltre il punto di rottura.
Volevo educare Greg al suo utilizzo con la massima attenzione. Ero
consapevole che la mia paura principale era perdere mio figlio a
causa dell’iPhone, il rischio che diventasse il suo mondo e che tutto
il resto passasse in secondo piano. Così ho introdotto le iRules per
impedirlo.
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