Carta bianca – Carlo Lucarelli

SINTESI DEL LIBRO:
La bomba esplose all’improvviso, con un fragore pazzesco,
proprio quando il corteo funebre stava attraversando la strada. De
Luca si gettò a terra, istintivamente, coprendosi la testa con le mani,
mentre un pezzo di muro crollava sul marciapiede, coprendolo di
polvere. Cominciarono tutti a urlare. Un sergente della Gnr stese il
mitra sopra di lui e sparò una raffica infinita che lo assordò, facendo
piovere una cascata di coppi rotti sulla strada.– Bastardi! – gridava il sergente. – Figli di puttana!– Bastardi! – gridavano tutti, e sparavano, Guardia nazionale
repubblicana, Brigate nere, X Mas e polizia, tutti tranne De Luca, a
terra con la faccia nella polvere e le mani aperte sulla testa, con le
dita infilate tra i capelli. Rimase cosà un’eternità e solo quando tutti
ebbero smesso di sparare e si sentirono soltanto i gemiti dei feriti,
allora si alzò sulle ginocchia, spazzolandosi l’impermeabile con le
mani, e si rimise in piedi.– Ce la pagheranno! – gli urlò sulla faccia un graduato,
afferrandolo per i risvolti del soprabito. – Rappresaglia! Carta bianca!– Carta bianca, sÃ, – disse De Luca liberandosi della stretta
isterica che lo stava spogliando, – certo, certo… – e si allontanò in
fretta, senza voltarsi indietro, sospirando tra le labbra che sapevano
di polvere. Gli faceva male un ginocchio. Pensò: «Lo sapevo che
non dovevo fermarmi a guardare», e voltò l’angolo, mentre i primi
camion facevano stridere i freni e i tedeschi saltavano giú a bloccare
le strade.
Affondò le mani nelle tasche e si strinse addosso l’impermeabile,
perché la primavera tardava a venire e faceva ancora freddo, voltò
un altro angolo e contò le targhe sui muri dei palazzi, fino al numero
15. Salà uno dei gradini di ingresso, tornò indietro a guardare di
nuovo il numero, via Battisti 15, poi entrò deciso. Superò un
ascensore con la gabbia e il cancello imponente in ferro battuto e si
fermò davanti al lunotto della portineria, ma non c’era nessuno. Iniziò
a salire una rampa di scale, bianche e pulitissime, come di marmo,
un palazzo da signori quello, e per contrasto, passandosi una mano
sul mento ispido, gli venne da pensare che era proprio ora di farsi la
barba. Al primo piano un uomo gli venne incontro, grosso, con un
soprabito pesante e una faccia quadrata da questura.– Che è successo? – chiese ansioso. – Questa botta là fuori…– Un attentato, – disse De Luca. – Hanno tirato una bomba ai
funerali di Tornago. Ma ora è tutto sotto controllo…– Ah be’… – l’uomo scosse la testa, come per dire qualcosa, ma
poi fece un passo in avanti e piantò una mano sul petto di De Luca
che stava avvicinandosi deciso a una porta, fermandolo a metà di un
passo, con una gamba avanti e un contraccolpo che gli fece male al
collo.– Ehilà , bello! Dove credi di andare?
De Luca chiuse gli occhi, stirando per un attimo le rughe
dell’insonnia che gli attraversavano la faccia. Fece «un momento»
con la mano destra e con la sinistra tirò fuori dalla tasca una tessera,
che il gorilla riconobbe subito, prima ancora di leggere, e impallidÃ.
Stese il braccio nel saluto, sbattendo i tacchi.– Scusate, comandante… se me lo dicevate subito…
De Luca annuÃ, e mise via la tessera. – Fa niente, – disse, – ma
non mi chiamare comandante, non sono piú nella Muti, sono
commissario. Mi occupo di questo caso. Chi c’è dentro?– Maresciallo Pugliese, della Mobile. E la squadra.– Niente autorità , giornalisti, parenti…– Solo la questura.– Bene. Non fare entrare nessuno… tranne me, naturalmente.
Fammi passare, per favore.– Scusate. A disposizione, comandante!– Commissario, non comandante, commissario.– SÃ, scusate. A disposizione, commissario!
De Luca sospirò, mentre il gorilla faceva un passo di lato,
aprendogli la porta. Entrò in un andito piuttosto piccolo e stretto, in
contrasto con l’idea che si era fatto dell’appartamento. A un lato
dell’ingresso c’era un tavolino, piccolo e dalle gambe arcuate, con un
telefono bianco sopra, e all’altro lato un attaccapanni, stampe alle
pareti e in fondo, in un pezzo di stanza incorniciato dal vano di una
porta, come in un quadro, c’erano due uomini. Lo guardarono
avvicinarsi, uno piccolo e col naso a becco, con un cappello nero,
l’altro magro, giovane e con gli occhiali.– Che è successo? – chiese quello piccolo, con un forte accento
meridionale. – Una bomba?– Un attentato, – ripeté De Luca, – granate al funerale di Tornago.– Solo granate? – disse quello magro. – Sembrava che il fronte si
fosse spostato fin qui!– Hanno perso la testa e si sono messi a sparare tutti.
Quello magro si sfilò gli occhiali, scuotendo il capo. – Ci sarÃ
scappato il morto, di sicuro. Sono ridotti cosà male che si
ammazzano da soli… È diventato pericoloso anche il funerale di un
gera… – Si bloccò, perché quello piccolo, che stava osservando De
Luca con gli occhi socchiusi, mentre si avvicinava, gli aveva stretto
un braccio, sopra il gomito.– Io vi conosco a voi, – disse, – siete uno della politica. È un caso
vostro, questo qui? Ve lo lasciamo volentieri… vieni, Albertini, ce ne
andiamo…
De Luca alzò un braccio, fermandoli sulla soglia, con un sospiro
profondo che era quasi un gemito.– Quante volte lo dovrò ripetere oggi? – disse. – Non sono piú
nella politica, sono il commissario De Luca, in forza alla questura. Mi
hanno trasferito ieri dalla brigata Ettore Muti, sezione speciale di
polizia politica e non ho ancora i documenti, ma lavoriamo assieme.
Mi hanno dato il caso. A posto cosÃ?
L’uomo dal naso a becco si tolse il cappello, chinando il capo. – A
disposizione, – disse. Albertini invece non disse piú nulla.
De Luca entrò nella stanza. Proprio accanto a lui, alla sua destra,
c’era un uomo, steso a terra a faccia in su, con un braccio piegato in
alto, lungo il muro. Indossava una vestaglia azzurra, di seta, e aveva
una ferita larga, scura e appiccicosa, sul petto, all’altezza del cuore.
Un’altra, all’inguine, si intravedeva sotto il lembo della vestaglia,
macchiata di sangue. De Luca lo osservò a lungo, poi si guardò
attorno, le pareti coperte di libri, lo scrittoio col lume di vetro, le
poltrone al centro della stanza, il tavolino basso, il lampadario, gli
specchi, il tappeto, tutto perfettamente in ordine. Davvero un palazzo
da ricchi, quello.– Chi è? – chiese, tornando a guardare il morto.– Si chiamava Rehinard, – disse quello piccolo, Albertini non
parlava proprio piú.– È un tedesco?– Era un trentino. Cittadino italiano.– Lo conoscete?– No, ho preso il suo portafoglio. Eccolo.
Dall’andito venne un rumore, ma De Luca non si voltò.– È uno dei miei che guarda le altre stanze, – disse quello piccolo.– L’appartamento è grande, quattro camere e il bagno, con la cucina,
e non c’era nessuno, tranne lui. Lo volete, questo portafoglio?
De Luca prese il portafoglio, coccodrillo lavorato a mano, pesante,
e si avvicinò al tavolino, al centro della stanza. Si sedette su una
poltrona e vuotò il contenuto sul piano di vetro, accanto a due
bicchieri. Notò che uno aveva il bordo sporco di rossetto.– Documenti, – disse il tipo basso, mentre De Luca li esaminava.– Tessera del partito, soldi e qualche biglietto da visita –. Ce n’era
uno molto elegante, con caratteri ornati, in rilievo, che diceva «Conte
Alberto Maria Tedesco», e uno piú semplice, piatto, con «Sibilla», in
corsivo, e un numero di telefono. De Luca tenne in mano il biglietto
del conte, come per pesarlo, poi lo lasciò cadere assieme agli altri.– Dov’è la domestica? – chiese.– Prego?– La domestica, la serva, la donna… come la chiamate?
L’uomo basso lo guardò in modo strano, aggrottando le
sopracciglia sugli occhi sottili. – Non c’è nessuna domestica, – disse.– In una casa cosà pulita e in ordine? Con un uomo solo e
scapolo, come dicono i documenti? – De Luca si alzò e si mosse per
la stanza. – A me pare troppo in ordine per una domestica a ore, a
meno che non sia appena uscita. Oppure è un domestico… una
delle stanze sarà la sua, ci saranno le sue cose. C’è niente in
questura su questo tipo, che voi sappiate?– Niente che io ricordi, e io ricordo tutto. Ma è piú probabile che ci
sia qualcosa da voi… voglio dire…– C’è, infatti, ma è poco –. De Luca ricordò la scheda di
cartoncino giallo, Rehinard Vittorio, membro del Partito fascista
repubblicano e nient’altro. La ricordava proprio per quello. – Il
medico è già arrivato? – chiese.– Non ancora, ma l’abbiamo chiamato.– E il maresciallo Pugliese?– Sono io Pugliese.– Ah –. De Luca si fermò di nuovo davanti al morto. Lo guardò e
poi con la punta della scarpa spostò il lembo della vestaglia che gli
copriva le gambe. Albertini si voltò dall’altra parte. Pugliese invece si
avvicinò, chinandosi in avanti, con le mani appoggiate alle ginocchia.– Gelosia? – disse. De Luca si strinse nelle spalle.– Forse, – mormorò. – Una donna qui c’è stata, e non da molto.
Direi una bionda a giudicare dal colore del rossetto su quel
bicchiere… l’arma non c’è, vero?– No, finora non l’abbiamo trovata, pugnale o coltello che sia.– Un tagliacarte.– Un tagliacarte? – Di nuovo Pugliese lo guardò di traverso.– Probabile. È l’unica cosa che manca sullo scrittoio, che è
attrezzatissimo, e ci sono delle buste aperte, con la data di oggi –.
De Luca tornò al tavolino e si lasciò cadere su una poltrona. Avvicinò
il volto al bicchiere sporco di rossetto e annusò forte. Odore di alcol.
A
quell’ora di mattina? Strano. L’altro invece era vuoto.
All’improvviso, come gli succedeva sempre da una settimana, lo
assalà un’ondata di sonno che lo fece sbadigliare, sempre nel
momento meno adatto e mai di notte, quando rimaneva a guardare il
buio sul soffitto o si girava nel letto da una parte e dall’altra, con le
palpebre serrate, avviluppato nel lenzuolo.– Chi vi ha chiamato? – chiese.– Il portinaio, – disse Pugliese, – quello che ha scoperto il morto.
Passava qui davanti e ha notato la porta aperta, spalancata, e cosà è
entrato e ha visto tutto. Ci ha telefonato la moglie –. Un uomo quasi
calvo, con un paio di occhiali dalla montatura leggera entrò nella
stanza e si fermò, guardando prima De Luca e poi Pugliese, che
annuà con un breve cenno del capo.– Non c’è niente di là , – disse l’uomo calvo. – Soltanto il bagno e
una delle stanze sono abitate, le altre sono vuote.– Non c’è un’altra stanza? Non so, con roba da donna nei
cassetti… cose del genere? – chiese De Luca, e Pugliese sorrise
quando il calvo scosse la testa.
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