Buonanotte, dottor Cross – James Patterson

SINTESI DEL LIBRO:
Bree Stone stava correndo da mezz’ora e aveva il fiatone mentre si
dirigeva a est lungo un sentiero del Tidal Basin di Washington, DC.
Era una meravigliosa mattina primaverile di fine marzo, tiepida e
percorsa da una brezza profumata.
I
ciliegi giapponesi che bordavano il sentiero erano in piena
fioritura e lo spettacolo attirava turisti mattinieri. Bree dovette
scansarne alcuni, ma la giornata e la vista erano così perfette che
non gliene importava.
Bree andava per i quarant’anni, ma era più in forma di quando era
appena uscita dall’università , il che le faceva piacere. L’allenamento
quotidiano stava dando i suoi frutti.
Uscì dal Tidal Basin, tagliò la piazza passando vicino alla statua di
John Paul Jones e rimase a correre sul posto mentre aspettava di
attraversare la 17th Street SE accanto a un autobus in sosta per far
scendere e salire i passeggeri. Quando il veicolo chiuse le porte con
un sospiro idraulico e si mosse, Bree aggirò i pedoni per attraversare
la strada diretta verso il National Sylvan Theater e un altro boschetto
di ciliegi in fiore. Lo spettacolo della fioritura si verificava solo una
volta all’anno e lei aveva intenzione di goderselo il più possibile.
Aveva appena superato un gruppetto di turisti giapponesi quando le
squillò il cellulare.
Ripescò il telefono dal minuscolo marsupio, senza fermarsi né
rallentare. Diede un’occhiata al numero, che non conosceva, e lasciò
rispondere la segreteria. Continuò a correre e di lì a poco vide una
squadra della National Park Police che innalzava le cinquanta
bandiere americane alla base del monumento a Washington. Il
telefono suonò di nuovo, stesso numero.
Infastidita, si fermò e rispose: «Bree Stone».
«Capo Bree Stone?»
La voce era maschile. O no? Il tono non era profondo.
«Chi parla, prego?»
«Il tuo peggior incubo, capo. C’è uno IED al National Mall. Avresti
dovuto rispondere alla prima chiamata. Adesso hai solo cinquantotto
minuti per scoprire dove l’ho piazzato.»
Cadde la linea. Bree fissò il telefono per mezzo secondo, poi
guardò l’orologio: 7.28. Esplosione: 8.26? Premette un tasto delle
chiamate rapide e si guardò attorno, respingendo l’impulso di correre
via dal Mall il più in fretta possibile.
Il
capo Jim Michaels della Metropolitan Police di Washington
rispose al secondo squillo.
«Perché il mio detective capo mi chiama? Le avevo detto di
prendersi qualche giorno di ferie.»
«Ho appena ricevuto una telefonata anonima, Jim», disse Bree.
«Una bomba al National Mall, impostata per esplodere alle 8.26.
Dobbiamo evacuare l’area il più in fretta possibile e portare i cani.»
Nel breve attimo di silenzio che seguì, a Bree venne in mente una
cosa e scattò di corsa verso gli uomini che stavano alzando le
bandiere.
«Sicura che non sia un mitomane?» chiese il capo Michaels.
«Vuoi correre il rischio di non prenderlo sul serio?»
Michaels fece un gran sospiro e disse: «Informo la National Park
Police e la polizia di Capitol Hill. Sembra che tu stia correndo. Dove
sei?»
«Sul Mall. Vado su un punto sopraelevato per individuare
l’attentatore che se la fila.»
2
Erano le 7.36 quando le porte dell’ascensore si aprirono.
Bree schizzò fuori verso la piattaforma panoramica del
monumento a Washington, a circa centosettanta metri di altezza
sopra il National Mall. Aveva con sé una radio gracchiante della
National Park Police sintonizzata su una frequenza usata da tutti,
FBI, polizia di Capitol Hill e Metropolitan Police, che rispondevano in
tempo reale.
Aveva un binocolo prestatole da uno degli agenti che
sorvegliavano il monumento. All’inizio si erano rifiutati di lasciarla
entrare e le avevano dato del filo da torcere mentre controllavano la
sua storia.
Poi le sirene avevano iniziato a ululare da ogni parte e il loro
superiore era tornato con ordini diretti di aprire il monumento e
lasciarla salire. Bree aveva perso otto minuti, ma respinse
l’irritazione in un angolo della mente. Avevano cinquanta minuti per
localizzare la bomba.
Si diresse verso le alte feritoie che si aprivano nella parete
occidentale della costruzione e guardò col binocolo in direzione del
Lincoln Memorial e del laghetto rettangolare che ne rifletteva
l’immagine, insieme a quella del monumento a Washington. Quando
si era messa a correre verso l’obelisco di marmo aveva sperato di
riuscire ad arrivare abbastanza in alto da poter vedere se qualcuno
scappava dal Mall o si comportava in modo strano.
Ma ormai era trascorso troppo tempo. L’attentatore doveva
essersela data a gambe allontanandosi il più possibile, giusto? Era
la deduzione più logica, ma Bree si chiedeva se non fosse il genere
di psicopatico che rimane a gironzolare lì attorno per ammirare il suo
ordigno artigianale.
Persino a quell’ora c’era un sacco di gente che faceva jogging,
camminava e andava in bici sui sentieri che intersecavano il Mall e
correvano paralleli allo specchio d’acqua. Alcune persone erano
immobili, come paralizzate dal coro di sirene che si avvicinavano
sempre più.
Bree girò su se stessa, attraversò la piattaforma panoramica
verso il muro orientale da dove poteva vedere il Campidoglio e
accese il microfono della radio.
«Detective capo Stone della Metropolitan», disse, esaminando la
porzione di parco tra gli edifici dei musei dello Smithsonian. «Vedo
centinaia di persone ancora nel Mall e chissà quante altre ce ne
sono nascoste dagli alberi. Fate spostare gli agenti verso la 17th, la
15th, Madison Drive Northwest, Jefferson Drive Southwest, Ohio
Drive Southwest e 7th Northwest, 4th Northwest e 3rd Northwest.
Fate evacuare i civili a partire dal centro del Mall verso nord e sud. In
fretta e con ordine. Non vogliamo scatenare il panico.»
«Ricevuto, capo», arrivò la risposta.
Bree aspettò finché non sentì l’uomo dall’altra parte diramare gli
ordini, poi disse: «Bloccate tutto il traffico attraverso il Mall a nord e a
sud e in Constitution e Independence Avenue dalla 3rd fino a Ohio
Drive».
«È già stato ordinato, capo», rispose l’interlocutore.
«Cani antibomba e artificieri?»
«Le unità cinofile dell’FBI, della Metropolitan e della Park Police
sono per strada, ma il traffico è un delirio. Il tempo stimato d’arrivo
della Metro sulla 15th è di due minuti. Gli artificieri dicono cinque
minuti, ma potrebbero volercene di più.»
«Di più?» Imprecò in silenzio. Guardò le bandiere che
sventolavano e prese nota della loro direzione e della tensione della
stoffa.
Riaccese il microfono. «Dite a tutte le unità cinofile che il vento è
sud-sudovest, intorno ai sedici chilometri orari. Dovranno
posizionarsi a nordest.»
«Ricevuto», disse l’interlocutore.
Bree controllò l’orologio: 7.41. Avevano quarantacinque minuti per
trovare l’ordigno e disinnescarlo. Con lo sguardo fisso davanti a sé e
il
cervello che andava a mille, Bree si rese conto che sapeva
qualcosa dell’attentatore. Lui, o lei, aveva parlato di IED, ordigno
esplosivo improvvisato, non di bomba. Era una sigla militare. Il tizio
era forse un ex militare? O uno in servizio?
D’altra parte, Bree aveva visto e sentito quella parola un sacco di
volte sui media. Ma perché un civile avrebbe dovuto usare quel
termine anziché bomba? Perché entrare tanto nel dettaglio?
Le suonò il telefono. Il capo Michaels.
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