Blonde – Joyce Carol Oates

SINTESI DEL LIBRO:
Adolescente solitaria e sex
symbol da calendario, donna fragile
e
ragazza determinata, amante
incostante e bambina perdutamente
innamorata, foto da copertina e
riflesso detestato nello specchio,
attrice e problematica paziente in
analisi, volto perfetto e finta bionda,
sesso e disperazione, flash di
macchine fotografiche e solitudine,
molti amanti e poco amore, morte
prematura e leggenda eterna.
Il talento letterario di Joyce
Carol Oates riscrive la vita di
Marilyn Monroe e ne fa un romanzo
di fantasia, in cui le molte vite e le
mille contraddizioni di una icona
contemporanea si fondono e si
confondono insieme, in una foto
composta
da
mille
tasselli,
un’immagine sempre imprendibile
eppure
eternamente
fissata
nell’incorruttibile istantanea del
Mito.
Joyce Carol Oates è una delle
maggiori
scrittrici
americane
viventi. Ha scritto romanzi, raccolte
di racconti, poesie, saggi
sulla
letteratura e sulla boxe.
Tra le sue opere tradotte in
italiano si ricordano: Nel buio
dell’America (Sellerio, 1998),
Perché sono uomini (Tropea, 1998),
Figli
randagi (E/O, 1994) e
Un’educazione sentimentale (E/O,
1989).
Nel corso della sua carriera ha
vinto numerosi premi, tra i quali il
Pen/Malamud Award, il Rosenthal
Award, l‘O’Henry Prize e il National
Book Award.
A Eleanor Bergstein,
e a Michael Goldman
Blonde è un romanzo. Benché
alcuni personaggi qui ritratti abbiano
una corrispondenza nella vita e
nell’ambiente di Marilyn Monroe, le
caratterizzazioni e gli eventi sono
interamente frutto della fantasia
dell’autrice. Pertanto Blonde va
letto unicamente come romanzo e
non come biografia di Marilyn
Monroe.
Nota dell’autore
Blonde
è
una
“vita”
radicalmente distillata in forma di
romanzo e ricostruita con l’ausilio
della sineddoche. In luogo delle
numerose famiglie presso le quali
Norma Jeane venne data in
affidamento da bambina, Blonde ne
prende in considerazione soltanto
una, frutto di fantasia; in luogo dei
vari amanti, problemi di salute,
aborti,
tentativi di suicidio, ruoli
cinematografici, Blonde ne prende
in considerazione soltanto alcuni,
simbolici.
La vera Marilyn Monroe teneva
una sorta di diario dove componeva
poesie e ricopiava frammenti
poetici. Di questo materiale, in
Blonde vengono citati soltanto due
versi (nel capitolo finale: “Aiuto
aiuto!…“); il resto è frutto di
fantasia.
Alcuni passaggi del
capitolo “Le Opere Complete di
Marilyn Monroe” sono tratti da
interviste, altri sono frutto di
fantasia; il finale del capitolo è
tratto dalla Origine delle specie di
Charles
Darwin.
Gli
aspetti
biografici riguardanti Marilyn
Monroe vanno ricercati non in
Blonde, che non intende essere un
documento storico, bensì nelle
biografie
specifiche.
(Quelle
consultate dall’autore sono: Legend:
The Life and Death of Marilyn
Monroe di Fred Guiles, 1985;
Goddess: The Secret Lives of
Marilyn Monroe di Anthony
Summers, 1986; e Marilyn Monroe:
A Life of the Actress di Carl E.
Rollyson jr. 1986. Testi più
dettagliati sul mito della Monroe
sono Marilyn Monroe di Graham
Mccann, 1987, e Marilyn di
Norman Mailer, 1973.) Tra i libri
consultati per approfondire i riflessi
della
politica
americana sulla
Hollywood negli anni Quaranta e
Cinquanta, il più utile è stato
Naming Names di Victor Navasky.
Tra i testi sul mestiere dell’attore
che qui vengono citati o menzionati,
The Thinking Body di Mabel Todd,
To the Actor di Michael Chekhov, Il
lavoro dell’attore su se stesso e My
Life
in
Art
di
Constantin
Stanislavski sono reali, mentre Il
manuale dell’attore e la vita
dell’attore e Il paradosso dell’attore
sono inventati. Il libro del patriota
americano è inventato. Nei capitoli
“Colibrì” e “Siam tutti ascesi nel
mondo di luce” viene citato un
passaggio tratto da La macchina del
tempo di H.G. Wells.
Nei
capitoli
“Il
bagno”,
“L’orfana” e “Il momento di
sposarsi” vengono citati alcuni versi
di Emily Dickinson. Nel capitolo
“La morte di Rumpelstiltskin“ viene
citato un passaggio tratto da Il
mondo come volontà e
rappresentazione
Schopenhauer. Nel
di
Arthur
capitolo “Il
Tiratore Scelto” viene parafrasato un
brano Il disagio della civiltà di
Sigmund Freud. Nel capitolo
“Roslyn 1961” figurano
alcuni
passaggi tratti dai Pensieri di Blaise
Pascal.
Estratti di questo romanzo sono
stati
pubblicati,
differenti,
in
su
versioni
“Playboy“,
”Conjunctions“, ”Yale Review“,
”Ellery Queen Mystery Magazine“,
“Michigan Quarterly Review” e
“Triquarterly”. Un ringraziamento ai
direttori di queste riviste.
Un ringraziamento particolare
meritano Daniel Halpern, Jane
Shapiro, e C.K. Williams.
Nel cerchio di luce che squarcia
il buio della scena ci si sente
completamente soli… Si chiama
solitudine in pubblico… Durante
una rappresentazione, davanti a un
pubblico di migliaia di persone, è
sempre possibile rinchiudersi in
questo cerchio come una lumaca nel
suo guscio… Lo si può portare
dovunque si voglia.
Konstantin Stanislavskij
Il lavoro dell’attore su se stesso
La scena è uno spazio sacro…
dove l’attore non può morire.
Michael Goldman
The Actor’s Freedom
Il genio non è un dono bensì
un modo di cavarsela in situazioni
disperate.
Jean-Paul Sartre
Prologo 3 agosto 1962
Corriere espresso
E giunse la Morte a perdifiato
lungo il Boulevard nell’esangue luce
color seppia.
E giunse la Morte volando come
in un cartone animato in sella a una
massiccia e austera bici da postino.
E giunse la Morte infallibile. La
Morte inesorabile. La Morte
impaziente. La Morte che pedalava
furiosamente. La Morte con dentro
al solido cesto di vimini ancorato al
sellino un pacco con la scritta
Corriere espresso maneggiare con
cura.
E giunse la Morte manovrando
sapientemente la bici sgraziata in
mezzo al traffico all’incrocio tra
Wilshire e La Brea dove, per via dei
lavori in corso, due corsie della
Wilshire
in
direzione
confluivano in una.
Ovest
Una Morte agilissima! Una
Morte che faceva marameo agli
attempati pestatori di clacson.
Una Morte che ghignava Vacci
tu, amico! E tu. Sfrecciando come
Bugs Bunny tra masse cromate di
lussuose
automobili
modello.
ultimo
E giunse la Morte incurante
dell’opprimente e malsana caligine
di Los Angeles. Della tiepida aria
radioattiva della California del sud
dove la Morte era nata.
Sì, ho visto la Morte. L’avevo
sognata la notte prima. Molte notti
prima. Non avevo paura.
E giunse la Morte senza tante
storie. Giunse la Morte china sul
manubrio arrugginito di una tozza
ma efficiente bicicletta. Giunse la
Morte in maglietta Cal Tech e
bermuda beige lindi ma stazzonati,
scarpe da tennis e niente calze. Una
Morte dai polpacci nerboruti, dalle
gambe ricoperte di peli neri.
Segaligna e spigolosa. Faccia
crivellata
da crateri d’acne
giovanile e chiazze scure. Una
Morte nervosa, frastornata dai raggi
di sole riverberati come scimitarre
da parabrezza e cromature.
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