Before – Anna Todd

SINTESI DEL LIBRO:
Quando la conobbe, capì che quella ragazza dai capelli scuri e gli
occhi azzurri era lì per metterlo alla prova. Era così gentile, l’anima
più buona che avesse mai incontrato… e si era presa una cotta per
lui.
Trascinò via quella ragazza ingenua dal suo mondo puro e
incontaminato, la scopò via come se fosse spazzatura e la
scaraventò in un mondo nuovo, oscuro e spietato. La sua
insensibilità la rese un’emarginata, esiliata prima dalla parrocchia e
poi dalla famiglia. I pettegolezzi erano crudeli, le donne bisbigliavano
stringendosi la Bibbia al petto. I parenti non furono più comprensivi
degli altri. La ragazza non aveva nessuno, e commise l’errore di
fidarsi di lui, di crederlo migliore di com’era.
Per la madre del ragazzo, quella fu l’ultima goccia. Lo spedì in
America, nello Stato di Washington, dal suo nuovo padre. Il modo in
cui aveva trattato Natalie gli era costato l’esilio dalla sua patria,
Londra. La solitudine che aveva sempre provato dentro alla fine era
diventata realtà .
LA chiesa è piena di gente, in questo caldo pomeriggio di luglio. Ogni
settimana ci sono le stesse persone: potrei chiamarli tutti per nome e
cognome.
La mia famiglia vive come una famiglia reale, qui in una delle più
piccole comunità religiose.
La mia sorellina Cecily è seduta accanto a me in prima fila e si
diverte a grattar via le schegge di legno dalla vecchia panca. La
nostra chiesa ha appena ricevuto una donazione per ristrutturare gli
interni, e il gruppo giovanile della parrocchia, di cui faccio parte, sta
raccogliendo le offerte della comunità . Questa settimana dobbiamo
recuperare della vernice e dipingere le panche. Passo i pomeriggi a
girare da una ferramenta all’altra per chiedere un contributo.
Come a sottolineare l’inutilità di tutte le mie fatiche, sento un
rumore secco di qualcosa che si spezza, e vedo che Cecily ha
staccato un pezzo di legno dal sedile. Ha lo smalto rosa sulle
unghie, abbinato al colore del fiocco che porta tra i capelli castani,
eppure sa essere pestifera.
«Cecily, queste le ripariamo la settimana prossima. Smettila, per
favore.» Prendo le sue mani tra le dita e lei fa un po’ il broncio. «Puoi
aiutarci a dipingerle, così torneranno belle come prima. Ti
piacerebbe?» Le sorrido. Ricambia con un sorriso adorabile e
sdentato, e annuisce facendo ondeggiare i riccioli. Mia madre può
andar fiera del lavoro di stamattina con l’arricciacapelli.
Il
pastore ha quasi terminato il sermone e i miei genitori si
tengono per mano, rivolti verso l’altare della piccola chiesa. Il sudore
mi gocciola giù per la schiena e non riesco a prestare attenzione a
quelle parole sul peccato e la sofferenza. Fa così caldo che a mia
madre stanno colando il fondotinta e il mascara. Forse, però, è
l’ultima settimana che passeremo senza aria condizionata. Lo spero
proprio, altrimenti dovrò darmi malata, per evitare questo posto
soffocante.
Al termine della funzione mia madre si alza per parlare con la
moglie del pastore. La ammira molto, anche troppo per i miei gusti.
Pauline, la first lady della parrocchia, è una donna inflessibile e poco
empatica, e non mi stupisce che vada d’accordo con mia madre.
Saluto con la mano Thomas, l’unico mio coetaneo nel gruppo
giovanile della nostra chiesa. Lui ricambia mentre mi passa davanti
insieme a tutta la famiglia, accodandosi alle altre persone che
stanno uscendo. Non vedo l’ora di prendere una boccata d’aria
fresca; mi alzo e mi asciugo le mani sull’abito celeste.
«Puoi portare Cecily in macchina?» chiede mio padre con un
sorriso complice.
Sta tentando di far smettere di parlare mia madre, come ogni
domenica. È una di quelle donne che chiudono e riaprono la
conversazione almeno tre volte, prima di finirla definitivamente.
Non assomiglio a lei in questo. Mi sforzo piuttosto di somigliare di
più a mio padre: un uomo di poche parole, ma dense di significato. E
so che papà è felice che io abbia preso tanto da lui: il temperamento
calmo, i capelli scuri e gli occhi azzurri, la statura. O meglio, la bassa
statura. Entrambi superiamo appena il metro e sessanta, ma lui è un
po’ più alto di me. Cecily ci sorpasserà entrambi prima di compiere
dieci anni, ci prende in giro mia madre.
Faccio a mio padre un cenno di assenso e prendo per mano mia
sorella. Cammina più veloce di me, si fa largo tra la gente con
l’entusiasmo tipico della sua età . Vorrei tirarla indietro, ma quando si
gira a sorridermi non riesco a far altro che correre con lei. Ci
precipitiamo giù per le scale e sul prato. Cecily schiva per un pelo
una coppia di anziani e rido quando lancia uno strillo e rischia di
buttare a terra Tyler Kenton, il ragazzo più insopportabile della
parrocchia. Splende il sole, l’aria mi riempie i polmoni e corro
sempre più veloce: inseguo Cecily finché cade sull’erba. Mi metto in
ginocchio per controllare che stia bene. Le scosto i capelli dal viso.
Ha le lacrime agli occhi e le trema il labbro.
«Il vestito…» dice accarezzandosi l’abitino bianco macchiato di
erba. «È rovinato!» Affonda la faccia tra le mani sporche, ma io gliele
tiro via.
Le sorrido e bisbiglio: «Non è rovinato, tesoro: si può lavare».
Le asciugo una lacrima con il pollice. Lei tira su con il naso; non
mi crede.
«Succede spesso; a me è capitato almeno trenta volte», la
rassicuro, benché non sia la verità .
«È una bugia», mi accusa lasciandosi sfuggire un sorriso. La
abbraccio e la aiuto a rialzarsi. Controllo che non ci siano graffi sulle
sue braccia bianche. Tutto a posto. Tengo un braccio intorno alle sue
spalle mentre andiamo verso il parcheggio. I nostri genitori ci stanno
raggiungendo da quella direzione: mio padre è finalmente riuscito a
troncare le chiacchiere della mamma.
In macchina mi siedo dietro con Cecily, che disegna farfalle sul
suo libro da colorare, mentre i miei parlano dei procioni che hanno
invaso i bidoni della spazzatura nel nostro giardino. Una volta nel
vialetto di casa mio padre lascia il motore acceso. Cecily mi dà un
bacio sulla guancia prima di scendere. Scendo anch’io; abbraccio
mia madre, mio padre mi dà un bacio e risalgo in macchina al posto
di guida.
«Sta’ attenta, piccola, con questo sole, ci sarà un sacco di gente
in giro», mi dice mio padre riparandosi gli occhi con una mano. Da
un bel po’ non si vedeva una giornata così bella a Hampstead.
Finora ha fatto caldo, ma non c’era il sole. Annuisco e gli prometto
che farò attenzione.
Aspetto di uscire dal quartiere prima di cambiare stazione radio.
Alzo il volume e canto a squarciagola finché arrivo in centro. Il mio
obiettivo è farmi dare tre bidoni di vernice da ciascuno dei tre negozi
in cui andrò. Sarei già felice con un bidone da ciascuno, ma punto a
tre così saremo sicuri di averne abbastanza per tinteggiare tutto.
Il primo negozio, Mark vernici e ferramenta, è noto per essere il
più economico della città . Mark, il proprietario, ha un’ottima
reputazione, e mi fa piacere rivederlo. Lascio la macchina nel
parcheggio quasi vuoto: ci sono solo un’auto d’epoca verniciata di
rosso mela e una monovolume. L’edificio è vecchio, composto da
assi di legno e pannelli di cartongesso dall’aria poco solida.
L’insegna è storta, la M è sbiadita e non si legge quasi più. La porta
d’ingresso cigola, e quando entro suona una campanella. Un gatto
salta giù da uno scatolone e atterra davanti a me. Accarezzo per un
momento quella palla di pelo e poi vado alla cassa.
L’interno del negozio è disordinato quanto l’esterno, e con tutta
quella roba non vedo subito il ragazzo dietro il bancone. La sua
presenza mi stupisce un po’. È alto, ha le spalle larghe e un fisico da
atleta.
«Mark…» dico cercando di ricordare il suo cognome. Tutti lo
chiamano semplicemente per nome.
«Sono io Mark», interviene una voce alle spalle del ragazzo
muscoloso. Sporgendomi un po’ vedo un’altra persona seduta dietro
il bancone, vestita di nero da capo a piedi. È un tipo molto più snello
dell’altro, eppure ha una presenza più carismatica. Ha i capelli scuri
e piuttosto lunghi con un ciuffo sulla fronte. Sulle braccia abbronzate
ha un mucchio di tatuaggi neri che sembrano disposti a caso.
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