Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone – Lilli Gruber

SINTESI DEL LIBRO:
Non è la prima nave che sbarca migranti a Lampedusa, tutt’altro, ma
un simile accanimento di Salvini e dei suoi mastini da tastiera non si
era mai visto. La ragione per scatenare questa bufera senza
precedenti, però, è presto detta: funziona. La battaglia contro una
donna genera consenso, presso un certo target.
la
La conferma arriva circa un mese più tardi, quando per
diciannove giorni viene bloccata sempre al largo di Lampedusa – e
poi ovviamente sbloccata dopo l’ennesima figuraccia internazionale–
nave Open Arms, di una Ong spagnola, che porta
centosessanta migranti. Alla vigilia di Ferragosto, Luciana Littizzetto
lancia un appello: «Fateli scendere». Il post viene ripreso dai social
ufficiali di Salvini, insieme alla domanda retorica: «Secondo voi,
quanti ne ospiterà a casa sua?». In poche ore, oltre diecimila
disgustosi commenti: una violenza squadrista inaudita. Fra i
commentatori prevale ancora una volta l’ingiuria a sfondo sessuale,
basata sui presunti centimetri in più degli uomini di colore. Tra le
commentatrici invece domina l’argomento – chiamiamolo così
estetico, l’accusa alla vittima designata di essere grassa, brutta,
indesiderabile.
In difesa di Luciana Littizzetto si alza subito la voce di
un’intellettuale tra le più attive nell’opposizione al sessismo: Michela
Murgia. Anche lei è già stata più volte additata all’odio dal solito
Salvini, sempre con la medesima regia. Ha riservato a Murgia, in
quanto scrittrice, quello che per lui è un marchio d’infamia,
«intellettuale snob e radical chic», un epiteto che ormai viene
scagliato un po’ a caso contro chiunque sappia coniugare i verbi al
congiuntivo. Peccato che con una magistrale «sinossi dei
curriculum» lei abbia mostrato chi è il privilegiato. È bastato elencare
i
mestieri sottopagati che Murgia ha fatto per vivere (cameriera,
insegnante precaria, operatrice di call center, portiere di notte) e
quelli prestigiosi che intanto faceva Salvini (consigliere comunale,
giornalista di una testata di partito pagata con sovvenzioni statali,
parlamentare europeo).
«Tra noi due è lei quello che non sa di cosa parla quando parla di
vita vera, di problemi e di lavoro, dato che passa gran tempo a
scaldare la sedia negli studi televisivi, travestirsi da esponente delle
forze dell’ordine e far selfie per i social network a dispetto del
delicatissimo incarico che ricopre a spese dei contribuenti. Lasci
stare il telefonino e si metta finalmente a fare il ministro, invece che
l’assaggiatore alle sagre. Io lavoro da quando avevo quattordici anni
e non mi faccio dare lezioni di realtà da un uomo che è salito su una
ruspa in vita sua solo quando ha avuto davanti una telecamera» ha
concluso la scrittrice. Anche questo scambio di opinioni, avvenuto in
aprile, ha fatto salire la bava alla bocca ai soliti ignoti. Nei commenti
ai post di Salvini, le consuete contumelie tra cui l’evergreen: è
frustrata perché non fa sesso (e giù piacevolezze sull’aspetto fisico).
Il 30 agosto, il giorno in cui Giuseppe Conte riceve l’incarico di
formare il nuovo governo, Michela Murgia elenca in un post gli
attacchi ricevuti nel periodo dei giallo-verdi al potere. «Sono sui
social da undici anni, ma quello che mi sono sentita dire negli ultimi
quattordici mesi non ha precedenti» commenta, mettendo il dito nella
piaga del «processo di promozione dell’insulto da bar a linguaggio
istituzionale». Aggiunge: «Si chiama “body shaming”, denigrazione
del corpo, ma in realtà serve ad annichilire lo spirito. Sulle donne ha
un impatto violentissimo, perché nella nostra società il corpo
femminile è demanio pubblico. […] Non so e non credo che il body
shaming sulle donne finirà. So però che è essenziale non farsene
spezzare. Per ogni “cesso” o “scrofa” che riceviamo, l’antidoto è
ricordare la forza che quelle parole vorrebbero spegnere. La
bellezza che sappiamo riconoscere in noi stesse è la fonte della
libertà che vorrebbero negarci». Seguono, per fortuna, decine di
migliaia di like.
Tre indizi (e magari fossero solo tre) fanno una prova: i populisti
hanno dichiarato guerra alle donne. Gli scontri più pompati dagli
strateghi social di quell’area sono quelli contro una «nemica» del
«maschio alfa». Carola, Luciana, Michela sono femmine che si
permettono di battersi per la diversità. Quella di genere, perché sono
donne pensanti, parlanti e operanti a viso aperto. Quella culturale,
perché si esprimono in favore dei migranti, del mondo LGBTQ+,
degli esclusi. Attaccare loro è come consegnare un biglietto da visita
all’ingresso del club più esclusivo – letteralmente – che ci sia.
L’internazionale dei bifolchi.
La guerra contro i deboli
I diversi – per sesso, colore della pelle, religione, cultura – sono da
millenni il capro espiatorio di ogni potere autoritario. A molti,
nell’ultimo anno, sono tornate sinistramente alla memoria le leggi
razziali fasciste del 1938: la crisi economica imperversava, la politica
non dava risposte, la paura dilagava e, si disse, è colpa degli ebrei.
Oggi, secondo l’identico copione, a rubarci il lavoro e a mettere in
pericolo «le nostre donne e i nostri beni» sarebbero i migranti, i
«clandestini», ed ecco fatta una legge per fermarli. È il contestato
Decreto sicurezza bis, approvato ad agosto dal primo governo Conte
con la fiducia in Senato. A metà settembre, Salvini, ormai fuori dal
Viminale, invocherà le barricate e i referendum proprio su questi
decreti, a cui il secondo governo Conte ha annunciato modifiche.
Il decreto, è bene ricordarlo, detta, fra le altre cose, regole più
severe per il soccorso in mare, e sanzioni per i comandanti «ribelli»
e per le Ong indisciplinate. Nella forma in cui è stato approvato ad
agosto 2019, è solo un pugno battuto sul tavolo e uno spreco di
tempo: è inutile, vìola la Costituzione italiana nonché convenzioni e
trattati internazionali vincolanti. Ma al di là di questo, davvero è
l’immigrazione l’emergenza nazionale? Guardiamo i numeri.
Secondo i dati dell’Unhcr sulle migrazioni verso i Paesi del Sud
Europa, da gennaio a metà settembre 2019 sono arrivati circa
67mila migranti via mare e via terra. Chi ne accoglie di più? La
Grecia: 38.600. Poi viene la Spagna con quasi 20mila e terza l’Italia,
6200. Malta, con i suoi 316 chilometri quadrati di territorio, ne ha
ricevuti circa 1600. Non c’è solo l’Italia in prima linea, anche se va
data una pronta risposta alle paure e ai disagi di tanti cittadini italiani,
vanno governati i flussi e va gestita la cruciale integrazione.
Gli sbarchi sono diminuiti, rispetto al 2018. Grazie ai blocchi
navali dell’allora ministero dell’Interno italiano? Difficile sostenerlo.
Gli stessi dati dell’Unhcr ci dicono che gli arrivi complessivi (in
Grecia, Spagna, Italia, Malta e Cipro) sono calati dal 2015 (anno del
picco con oltre un milione) già nel 2016 con oltre 373mila, poi nel
2017 con circa 185mila, al 2018 con circa 141mila. Il fenomeno si
attenua, eppure l’allarme non fa che crescere. Alimentando
pregiudizi, inquietudine, arroganza, comportamenti violenti a ogni
livello della convivenza sociale. Non a caso, gli attacchi a sfondo
razzista sono in aumento.
A settembre, con l’insediamento del nuovo governo, si
ricomincerà a lavorare perché l’Europa intera trovi una soluzione al
problema. Protagoniste di questo dialogo saranno anche due donne:
la nuova ministra dell’Interno italiana Luciana Lamorgese e la nuova
presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen. A
tendere una mano all’Italia saranno per prime Francia e Germania,
tanto odiate dal ministro precedente. Sordi a ogni richiamo i suoi
sodali del gruppo di Visegrád, il premier ungherese Viktor Orbán in
testa. All’improvviso, grazie alla diplomazia e al buonsenso, una
decisione condivisa apparirà un obiettivo possibile.
Purtroppo, il dibattito sul tema è ormai avvelenato da un clima di
odio instancabilmente alimentato per mesi. Lo denuncia da tempo,
tra gli altri, un’associazione di madri, Mamme per la pelle, nata nel
novembre 2018 per fare rete tra chi ha adottato bambini di colore.
Gabriella Nobile, la fondatrice, ha due figli di origine africana. Il
grande, dodicenne, è bersaglio di insulti razzisti per strada; la
piccola, sette anni, non dorme per il terrore di «essere rimandata in
Africa». Nobile ha scritto una prima lettera aperta a Salvini nel
febbraio 2018 ed è tornata sul tema nell’agosto 2019, provando con
indubbio ottimismo a fare appello al suo senso di responsabilità: «Le
parole hanno un peso e a ogni azione corrisponde una reazione. Gli
sforzi che proviamo a fare per educare i nostri figli al rispetto degli
altri vengono vanificati ogni qualvolta una persona li insulta e li
denigra e ogni qualvolta lui [Salvini, NdR] non condanna
pubblicamente queste azioni, ma al contrario, le esalta». Tradotto:
spintonare un ragazzino sulla spiaggia e gridargli «Negro di merda»
è grave. Così come lo è augurare la morte o lo stupro a una donna
sui social. Un Paese in cui succedono queste cose è un Paese che
non sta bene.
Non sono certo gli italiani i campioni dell’aggressione contro i
«diversi». A luglio 2019, si scopre un gruppo Facebook privato di
agenti di frontiera statunitensi, che sorvegliano il confine con il
Messico. Creato nell’agosto 2016, conta circa 9500 membri e si
descrive come un luogo in cui le guardie chiacchierano di lavoro.
Niente di male, se non fosse che tra post e commenti si sprecano le
oscenità xenofobe e sessiste, in cui il termine più gentile per
descrivere i migranti è «subumano», e quello più cavalleresco
riservato alle donne è «troia». Tra le facezie, poi, c’è un
fotomontaggio che mostra la deputata Alexandria Ocasio-Cortez
intenta a fare sesso orale con Trump: lui, con l’aria soddisfatta, le
tiene una mano sul collo, lei è chiaramente costretta. Il testo recita:
«Proprio così, puttane. Le masse si sono espresse e oggi la
democrazia ha vinto». Cos’abbia a che fare la democrazia con i
crimini sessuali, è un mistero della logica. È anche uno schifo.
Siccome la violenza non è mai solo verbale, i membri di questo
gruppo si distinguono per crudeltà nei confronti dei clandestini. E
hanno la più bassa percentuale femminile rispetto a qualunque altro
corpo di polizia federale. La misoginia è causa e conseguenza della
volgarità e della violenza, non solo da noi.
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