Ballando nudi nel campo della mente – Le idee (e le avventure) del più eccentrico tra gli scienziati moderni – Kary Mullis

SINTESI DEL LIBRO:
Caldo torrido, quel giorno, a Mendocino County. Era maggio: da est
soffiava un vento secco, e nessuno si era reso conto di quanto
avesse fatto caldo fino a quando, verso il tramonto, il vento cessò.
Venivo da Berkeley ed ero diretto ad Anderson Valley, via
Cloverdale. Gli ippocastani della California si protendevano sulla
strada con i loro rami in fiore: gli steli bianchi e rosa illuminati dai
miei fari app'arivano freschi, ma erano pregni delle essenze odorose
che pervadevano l’aria. Sembrava la notte degli ippocastani, ma
nell’aria c’era anche qualcos’altro.
Le ruote anteriori della mia piccola Honda argentata si
arrampicavano su per la montagna. Mentre le mani seguivano la
strada e le curve, la mente tornava al laboratorio. Filamenti di DNA si
avvolgevano e volteggiavano nell’aria: immagini di molecole
elettrificate colorate di rosa e blu scuro riuscivano a infilarsi tra i miei
occhi e la strada.
Vedo le luci sugli alberi, ma la maggior parte di me sta
guardando nascere qualcos’altro. Sono tutto preso dal mio
passatempo preferito.
Stasera cucino: i miei ingredienti sono gli enzimi e i prodotti
chimici che ho a disposizione alla Cetus. Sono un ragazzino
cresciuto, con una macchina nuova e il serbatoio pieno, un paio di
scarpe comode e una donna che mi dorme accanto. Ma adesso c’è
anche un grosso, eccitante problema da risolvere: «Quale sofisticata
diavoleria riuscirò a inventarmi stanotte per leggere la sequenza del
re delle molecole?» Sto parlando del «big one»: del DNA. Ci sono
ottimi motivi per volerci riuscire. Spesso nascono bambini affetti da
malformazioni genetiche, che producono a volte conseguenze
tragiche come muscoli che deperiscono e muoiono. Se potessimo
leggere le «impronte digitali» del DNA, eventi simili potrebbero
essere previsti ed evitati.
Esistono tuttavia anche altre ragioni, per desiderare di conoscere
il
DNA: ragioni non tanto urgenti che si estendono però verso
orizzonti che l’umanità non ha ancora raggiunto. Comprendere il
meccanismo intricato dei nostri geni avrà un impatto che va ben oltre
la medicina. Sarà uno dei lunghi, intricati fili conduttori del nostro
futuro, come civiltà che si sta sviluppando sul pianeta terra. Capire
esattamente perché i figli somiglino ai genitori permetterà l’utilizzo
della manipolazione genetica a quanti prediligono le variazioni alla
copia pura e semplice. L’ingegneria genetica non è una novità: il
processo evolutivo è, ed è sempre stato, un manipolatore genetico.
Solo che gente dotata di occhi, cervelli e immaginazione tende a
guardare lontano con rinnovata impazienza. Vorrà prendere in mano
la situazione, da subito, e ci riuscirà. Le molecole di DNA nelle
nostre cellule sono la nostra storia, e sono la materia di cui sarà fatto
il nostro futuro. Avremo la possibilità di esplorare - e di utilizzare, e di
adeguare alle nostre necessità - tutti gli organi di tutte le piante e gli
animali che esistono sulla faccia della terra, e di altri ancora che non
si sono mai visti. La nostra volontà si compirà sulla terra, mentre
voleremo nel cielo, tra le stelle.
Sì, il DNA è davvero il «big one». Stanotte sto giocando con un
fuoco che arderà luminoso come la stella Antares che è scomparsa
diverse ore fa dietro queste montagne profumate.
La chiave del problema si nasconde nei nucleotidi che il mio
laboratorio alla Cetus produce facilmente. Analogamente al
comando «trova» sul computer, una breve stringa di nucleotidi in una
molecola sintetica può individuare una posizione in una molecola di
DNA naturale, ben più lunga di una sintetica. La cosa fondamentale
è trovare un punto da cui cominciare: il DNA naturale è una spirale
indefinita, come il nastro di una cassetta srotolato e aggrovigliato per
terra nel buio di un’automobile. Che genere di programma chimico
sarebbe necessario per «trovare» una sequenza specifica sul DNA
che contiene 3 miliardi di nucleotidi, e renderla visibile a un essere
umano che è un miliardo di miliardi più grande del DNA? Invece di
digitare e visualizzare su un computer una lista di comandi in Basic o
FORTRAN, dovevo prevedere una serie di reazioni chimiche che
avrebbero dovuto descrivere e mostrare la sequenza di un tratto di
DNA. Le probabilità erano remote: come leggere la targa di una
particolare automobile sulla Interstate 5 in piena notte, facendo
conto solo sulla luce della luna.
Conoscevo abbastanza l’informatica, e questo mi permetteva di
comprendere il potere di una procedura matematica reiterativa: di
quando cioè applichi una determinata procedura a un numero
iniziale per ottenerne un altro, e poi la ripeti sul nuovo numero, e
così via. Se per esempio moltiplichi il numero iniziale per due, il
risultato di diversi passaggi è la crescita esponenziale del valore del
numero iniziale, 2 diventa 4, poi 8, 16, 32 e così via. Se avessi
potuto far sì che un breve tratto di DNA sintetico trovasse una
particolare sequenza, e poi avviare un processo di successiva
riproduzione di questa sequenza, mi sarei avvicinato alla soluzione
del mio problema.
Il ragionamento non era del tutto peregrino, perché in effetti una
delle funzioni naturali delle molecole di DNA è quella di riprodursi;
accade ogni volta che una cellula si divide in due. Un breve tratto di
DNA sintetico avrebbe potuto essere manipolato in modo tale da
farlo congiungere in modo specifico a una porzione più lunga di DNA
naturale, se le due sequenze avessero combaciato da qualche
parte. Il processo di connessione non sarebbe stato perfetto perché
avrei potuto trovare un migliaio di punti diversi simili a quello che
stavo cercando, oltre a quello giusto. Un migliaio, sui tre miliardi di
nucleotidi che compongono il genoma umano, rappresentava già di
per sé una sfida notevole, eppure non sufficiente. Dovevo trovare un
solo nucleotide.
All’improvviso, capii come fare. Se con un breve tratto di DNA
potevo trovare un migliaio di sequenze su tre miliardi, potevo
utilizzarne un altro tratto più breve per restringere la ricerca. Questo
sarebbe poi andato a unirsi a un segmento della prima sequenza
trovata, avrebbe passato in rassegna il migliaio di possibilità emerse
dalla prima ricerca, fino a trovare proprio quello che stavo cercando.
Quindi, utilizzando la naturale propensione del DNA a duplicarsi in
precise condizioni, ricostruibili in laboratorio, avrei potuto far sì che la
parte di DNA collocata tra le sequenze collegate alle due brevi
stringhe utilizzate per la ricerca si riproducesse a tutto andare. In un
ciclo di replicazione avrei potuto avere due copie, in due cicli quattro,
e in dieci cicli... «Cazzo», sbottai, e mollai l’acceleratore. Ero in
discesa, e la macchina si infilò a ruota libera in una curva. Mi fermai.
Un gigantesco ramo di ippocastano sporgente strusciò sul finestrino
dalla parte di Jennifer, la mia collaboratrice - e compagna - che così
si svegliò. Frugai nello sportellino dei guanti, e trovai una busta e
una matita. Jennifer voleva proseguire, ma le risposi che mi era
appena successo qualcosa di incredibile. Lei sbadigliò,
appoggiandosi al finestrino per rimettersi a dormire.
All’altezza della pietra miliare 46.58, sulla Highway 128, stava
per affacciarsi l’era della PCR. Ne ero certo. Mi misi a scrivere in
fretta, e spezzai la mina. Poi trovai una penna: ebbi la certezza che
2 faceva 1024. Credo di avere sorriso. Se avessi ripetuto dieci volte
questa nuova reazione avrei ottenuto migliaia di copie di un pezzo di
DNA, di qualsiasi pezzo di DNA, della molecola che sa tutto di tutto.
Venti cicli mi avrebbero dato un milione di copie, trenta cicli un
miliardo. Sentivo ancora il profumo degli ippocastani, ma si stava
facendo sempre più lontano.
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