Agonia della Francia – Manuel Chaves Nogales

SINTESI DEL LIBRO:
Gli uomini si ammassavano un po’ alla volta nella taverna all’angolo
per andare ad arruolarsi. Arrivavano tutti con un’aria spigliata,
fagotto in spalla e mani nelle tasche. Ciascuno al suo arrivo pagava
un giro di Pernod gettando sul bancone di zinco la sua moneta, ed
esclamava in tono spregiativo:
«Alors, quoi. On y va?»
L’ordine di mobilitazione generale, con le sue bandierine tricolori
incrociate, era stato appena affisso, capillarmente, a ogni angolo di
strada. Lo Stato Maggiore aveva piantato gli artigli sul Paese. La vita
della nazione restava in sospeso come per magia e dalle campagne,
dalle fabbriche e dagli uffici continuavano a uscire a milioni gli uomini
che, abbandonando le loro occupazioni, dovevano diventare soldati.
Per la prima volta da anni gli abitanti del quartiere, del sobborgo o
del villaggio, che avevano continuato a odiarsi e a perseguitarsi con
accanimento, si ritrovavano insieme a conversare placidamente
davanti al bancone della taverna con intelligente rassegnazione, se
non con entusiastica cordialità . Il Croix de Feu del rione arrivava alla
taverna con il suo fagotto in spalla come chiunque altro, stringeva la
mano a tutti, persino ai comunisti, e come tutti faceva spallucce e
diceva sprezzante:
«Quoi, on y va?»
Il popolo francese ritrovava nella promiscuità della mobilitazione
generale la coesione e l’unità perdute nel corso di una larvata guerra
civile in cui i cittadini non si assassinavano a vicenda – come
avevano fatto gioiosamente gli spagnoli – per una pura e semplice
difficoltà materiale, dato che la gendarmeria non aveva perso la sua
efficacia e non esisteva il margine di impunità indispensabile agli eroi
delle guerre civili.
Entrare a far parte dell’esercito restituiva momentaneamente ai
cittadini francesi la libertà , l’uguaglianza e la fraternità perdute
nell’accanimento di quella guerra civile, latente fin dal 1936, che
aveva reso impossibili in Francia tutte le normali funzioni della
cittadinanza. Questa era già di per sé una vittoria tedesca, la prima.
S’imponeva il sofisma tedesco della libertà nella disciplina,
dell’uguaglianza nel servizio e della fraternità nella gerarchia
dell’esercito. Dal momento in cui si era reso necessario questo
apparecchio ortopedico del militarismo affinché la cittadinanza
francese venisse restaurata, la Francia, la Francia liberale,
democratica e antimilitarista, era stata moralmente sconfitta.
Il Croix de Feu e i comunisti entravano docilmente e persino con
un certo giubilo nell’ingranaggio militare. Gli altri, i democratici, i
liberali, dal pacifista dottrinario fino al je m’en fiche bien, ci entravano
bofonchiando, ma senza infondere alcuna energia vitale nelle loro
obiezioni di coscienza e nelle riserve mentali del pacifismo,
lasciandosi andare con un fatalismo non esente da valore personale
né da civismo.
La Francia stava andando risolutamente in guerra e il suo
apparato militare aveva funzionato con precisione matematica. Tre
milioni di uomini erano disposti a combattere la guerra senza alcun
entusiasmo, senza grida patriottiche né atteggiamenti eroici, ma con
una profonda esasperazione che li spingeva a esclamare con rabbia:
«Bisogna farla finita una buona volta!»
I francesi non sono vigliacchi. La convinzione dell’inevitabilità del
conflitto aveva messo radici in tutte le coscienze e, con una sorda
irritazione, il cittadino francese, che questa guerra non la voleva,
metteva lo zaino in spalla disposto a combattere coraggiosamente
senza che la volontà e la capacità belliche dell’avversario lo
spaventassero. Ho sentito da molti francesi in partenza per il fronte
questa dichiarazione, espressa in modi diversi ma con lo stesso
fondo di serenità , di coscienza, di grave e virile risolutezza.
«Non sono un eroe, ma nemmeno un codardo».
Ho l’intima convinzione che se Hitler avesse attaccato la Francia
subito dopo la dichiarazione di guerra, si sarebbe spaccato i denti
contro la salda volontà di lottare e resistere che allora animava il
popolo francese. Il 1° settembre del 1939, tre milioni di uomini
uscirono dalle loro case disposti a giocarsi la vita per difendere la
patria. Quel che è accaduto dopo è un’altra storia.
La Francia poteva salvarsi
Quest’uomo, che con un sobrio gesto si era appena congedato dalla
moglie, dai figli, dal focolare domestico e dal lavoro e che, per la
prima volta, si trovava a convivere in fraterno cameratismo con altri
uomini che non la pensavano come lui, uomini che lui aveva odiato e
contro i quali fino a quel momento si era battuto, era adesso pronto a
ogni sacrificio, a quello delle sue idee, delle sue passioni e persino
della propria vita. Quest’uomo avrebbe potuto costituire la materia
prima di una vittoria.
Moralmente era superiore all’avversario. Rispetto al tam-tam
guerriero della Germania, dove gli stregoni della tribù eccitavano gli
uomini per indurli al combattimento con voci roche che li
ubriacavano di odio e ambizione, in Francia si sentivano soltanto
voci chiare, discrete, ragionevoli, che parlavano con freddezza alle
menti dell’inesorabilità della lotta, delle ragioni per cui bisognava
sacrificare tutto alla patria, degli impegni presi con il Paese, delle
esigenze della civiltà … Tutto questo senza paroloni enfatici, senza
alcol, senza stupefacenti. Non credo si sia mai parlato a un popolo
che si vuole indurre alla lotta con tanta profonda sincerità , con tale
onesta lealtà , come fece Daladier con il popolo di Francia nei primi
giorni della guerra quando la sua voce calda, con accento affettuoso
e
un po’ contadino, portata dalle onde sonore, risuonava
pateticamente nelle case francesi, con un tono talmente intimo che
le umili famiglie in ascolto potevano credere fosse quella di uno di
loro, del marito, del padre o del fratello. Mai un popolo è stato tanto
vicino all’identificazione completa dei suoi sentimenti con le parole e
le azioni dei suoi governanti. Daladier era, all’inizio della guerra,
l’esponente perfetto e veritiero del popolo francese. Né più né meno.
Quel che poteva mancare a Daladier, mancava alla Francia. Ogni
virtù della Francia era incarnata da Daladier. Questo difficile
equilibrio non durò a lungo.
La guerra civile
La guerra civile, la guerra che in realtà ha sconfitto la Francia, era
stata dichiarata fin da quando, nel 1936, la nuova tattica comunista
aveva portato al potere il governo del Fronte Popolare.
La tattica dei Fronti Popolari, adottata dal Komintern nel 1935, è
stata funesta in Francia come già lo fu in Spagna. In entrambi i paesi
fece vincere le elezioni alle sinistre, ma in entrambi i paesi provocò
automaticamente la reazione filofascista che, mentre in Spagna
prese la forma del sollevamento militare, del tipico pronunciamiento
spagnolo, in Francia servì da pretesto perché le forze di destra della
nazione, terrorizzate dal comunismo, dirottassero la linea intrapresa
dalla politica internazionale francese orientandola verso l’alleanza
con l’Italia e l’accondiscendenza nei confronti della Germania. Venne
così distrutto in un colpo solo il complicato sistema di alleanze
elaborato con discreta perseveranza dalla coppia Berthelot Barthou
e dai suoi oscuri collaboratori nel corso di un ventennio, un sistema
sul quale si basava la teoria della sicurezza collettiva e la sicurezza
concreta della Francia.
Da quando le destre si erano apertamente sollevate contro questa
nuova politica estera, credendo così di ottenere il fallimento del
Fronte Popolare e il crollo del Governo, i due dittatori di Roma e
Berlino si erano ritrovati liberi di agire in Europa. La Francia si
metteva nelle loro mani. Per paura di Mosca, le destre francesi
consegnavano la Francia alla volontà della Germania e dell’Italia.
In
realtà , la defezione della destra francese agli scopi
esclusivamente nazionali della politica estera seguita fino ad allora
dalla Francia è precedente alla nascita dello stesso Fronte Popolare.
Ha inizio con il problema delle sanzioni contro l’Italia per la conquista
dell’Abissinia. Fu allora che si concretò il tradimento della destra nei
confronti della politica internazionale franco-britannica.
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