A Jennifer con amore – James Patterson

SINTESI DEL LIBRO:
Sam e io siamo sedute su una spiaggetta quasi deserta del Lago Michigan,
a nord dell'Hotel Drake di Chicago. L'albergo, dove poco fa abbiamo cenato
al nostro tavolo preferito, è pieno di ricordi preziosi per entrambe. Questa
sera ho bisogno di stare con Sam perché è passato un anno da quando... è
successo tutto quello che non sarebbe dovuto succedere. È passato un anno da
quando Danny se n'è andato.
«È qui che ho conosciuto Danny, Sam. A maggio, sei anni fa», dico.
Sam è un'ascoltatrice attenta, che guarda dritto negli occhi e dimostra
sempre molto interesse per quello che sto dicendo, anche quando sono
particolarmente noiosa come adesso. Siamo grandi amiche da quando avevo
due anni, o forse anche prima. Tutti, o quasi, ci chiamano 'una coppia
deliziosa' e, anche se la definizione è un po' troppo sdolcinata per i nostri
gusti, si dà il caso che sia proprio così.
«Sam, faceva un gran freddo la sera in cui ci siamo conosciuti e io avevo
un raffreddore terribile. Come se non bastasse, ero stata chiusa fuori di casa
dal mio ex fidanzato. Chris, che razza di farabutto.»
«Quel bruto, quel mostro», Sam rincarò la dose. «Non mi è mai piaciuto. Si
capisce?»
«Comunque sia, Danny mi passa accanto mentre fa jogging e mi chiede se
va tutto bene. Io nel frattempo stavo piangendo e tossendo ed ero un
completo disastro. Gli rispondo: 'Ti sembra forse che vada tutto bene? Fatti
gli affari tuoi. Non riuscirai a rimorchiarmi se è quello che hai in mente.
Sciò!'
«E allora che mi sono guadagnata il soprannome di Sciò. In ogni caso
Danny si è ripresentato poco dopo, dicendo che mi aveva sentito tossire dalla
spiaggia, a tre chilometri di distanza. Mi ha portato un caffè, Sam. Era
arrivato di corsa dalla spiaggia con una tazza di caffè bollente per una
perfetta sconosciuta.»
«Una bella sconosciuta, però. Non puoi negarlo.»
Rimasi in silenzio per un attimo e Sam mi abbracciò. «Hai passato proprio
un brutto periodo. È orribile e ingiusto quello che è successo. Vorrei avere
una bacchetta magica per far tornare tutto com'era prima.»
Estrassi una busta piegata e stropicciata dalla tasca dei jeans. «Me l'ha
lasciata Danny alle Hawaii. Esattamente un anno fa.»
«Continua, Jennifer. Sfogati pure. Voglio che mi racconti tutto questa
sera.»
Aprii la lettera e cominciai a leggere, malgrado il groppo alla gola che
avvertivo già.
'Cara, meravigliosa, bellissima Jennifer...
Sei tu la scrittrice, non io, ma voglio provare a esprimere i
sentimenti che provo dopo l'incredibile notizia che mi hai dato. Ho
sempre pensato che non avresti potuto rendermi più felice di quanto
non sia già, grazie a te, ma mi sbagliavo,
Jen, in questo momento mi sembra di volare. Non riesco a
capacitarmi delle sensazioni che provo. Senza dubbio sono l'uomo
più fortunato della terra. Ho sposato la donna migliore del mondo e
ora avrò con lei il miglior bambino che si possa desiderare. Come
potrei non essere un buon padre con tutto quello che ho? Ti
prometto che lo sarò.
Oggi sento di amarti ancora più di ieri, e non ci crederesti se ti
dicessi quanto ti amavo ieri.
Con tutto il mio amore, a te e al nostro piccolino... Danny.'
Le lacrime iniziarono a scendermi sulle guance. «Sono proprio una
bambina», singhiozzai. «Sono patetica, la regina dei perdenti.»
«Al contrario. Sei una delle donne più forti che conosca. Hai perso
moltissimo ma non ti sei ancora arresa.»
«Però sto perdendo la battaglia. Sto andando a fondo, Sam.»
Sam mi attirò a sé per abbracciarmi di nuovo e, almeno per un attimo, tutto
sembrò andare meglio... proprio come sempre.
"PARTE PRIMA
Le lettere
1
Il mio appartamento con due camere da letto dei primi del Novecento si
trovava a Wrigleyville, vicino al Loop di Chicago, e Danny e io amavamo
ogni singolo dettaglio: il panorama, la vicinanza alla vera Chicago, il modo in
cui l'avevamo arredato. Trascorrevo sempre più tempo chiusa in
quell'appartamento, 'rintanata', come dicevano i miei amici, 'sposata alla mia
professione', 'un caso disperato', 'una maniaca del lavoro senza speranza', 'la
nuova zitella', 'in serie difficoltà sentimentali'. Tutte definizioni corrette,
purtroppo, e a queste avrei potuto aggiungerne altre.
Stavo cercando di non pensare a quello che era successo, ma non era
semplice. Per diversi mesi, dopo la morte di Danny, fui ossessionata dallo
stesso pensiero: senza di te non posso respirare, Danny.
Anche quando era ormai trascorso un anno e mezzo dovevo ancora
costringermi a non pensare all'incidente e a tutto quello che era accaduto
dopo.
Avevo finalmente ripreso a uscire: con Teddy, un giornalista niente male
del Chicago Tribune; con Mike, che avevo incontrato alla partita dei Cubs ed
era un fanatico di sport; con Corey, che avevo conosciuto in occasione di un
terrificante appuntamento al buio che mi impegnai comunque a portare a
termine. Dovevo ricominciare a vivere, no? Avevo molti cari amici: coppie,
donne single, uomini ai quali ero legata da un'amicizia sincera. È così. Sul
serio. Stavo bene, non facevo che ripetere, il che naturalmente era una
stronzata. Tutti lo sapevano e lo accettavano per quello che era: una stronzata.
I miei migliori amici, Kylie e Denny Borislow, vegliavano su di me. Io lo
apprezzavo molto e sarò loro sempre riconoscente.
A ogni modo, mancavano tre ore alla consegna dell'incredibile e
sorprendente pezzo che dovevo scrivere quel giorno per il Tribune ed ero
arrivata a un punto morto. Avevo già buttato tre idee nel cestino e stavo
fissando di nuovo lo schermo bianco. Il guaio dello scrivere un editoriale
'geniale' per un quotidiano è che tra Mark Twain, Oscar Wilde e Dorothy
Parker tutto quello che valeva la pena di dire è già stato detto ed è stato detto
meglio di quando avrei mai potuto fare io.
Mi costrinsi ad alzarmi dalla poltrona, misi un CD di Ella Fitzgerald nello
stereo e accesi il condizionatore. Bevvi un sorso di caffè dalla tazza di carta
che mi avevano dato all'Uncommon Ground. Uhm, era buonissimo. C'è
sempre speranza nelle piccole cose.
Quindi mi misi a camminare su e giù per il salotto nella mia tenuta da
scrittrice: una tuta della Michigan University che apparteneva a Danny e le
mie calze rosse portafortuna. Stavo fumando con lentezza esasperante una
Newport Light, l'ultima di una serie di brutte abitudini che avevo preso nei
mesi passati. Una volta Mike Royko, in uno dei suoi articoli pungenti, ha
detto che la bravura di un giornalista si giudica dal suo ultimo pezzo e da
allora sono perseguitata da quella verità. Non importa che abbia il fiato sul
collo di una caporedattrice anoressica di ventinove anni di nome Deborah,
un'ex cronista di qualche tabloid londinese che indossa solo capi di Versace e
di Prada e porta occhiali Morgenthal Fredricks.
Il fatto è che mi importa davvero del pezzo. Lavoro sodo per rispettare le
scadenze, per essere originale, persino, in qualche occasione, per far 'cantare'
le parole.
Per questo motivo non avevo risposto al telefono che aveva continuato a
squillare per ore a intervalli regolari. Mi ero limitata a lanciargli qualche
maledizione.
Non è facile essere originali tre volte alla settimana, cinquanta settimane
all'anno, ma è per'questo che il Tribune mi paga. E, nel mio caso, il lavoro è
in pratica la mia vita.
Buffo che tanti lettori mi scrivano per dirmi che invidiano la mia vita, così
affascinante, e che vorrebbero far cambio... aspetta un attimo, è forse un'idea?
All'improvviso sentii un tonfo dietro la testa: era Sox, il mio gatto tigrato di
un anno, che aveva fatto cadere da uno scaffale The Devil in the White City.
Quel rumore aveva fatto sussultare Euphoria, la mia gatta, che stava
sonnecchiando sulla macchina da scrivere con la quale sembra che Francis
Scott Fitzgerald abbia scritto Tenera è la notte. O qualcosa del genere. O
forse l'ha usata Zelda per scrivere Save me the Waltz? Il telefono squillò di
nuovo e questa volta sollevai la cornetta.
Quando mi resi conto di chi si trattava sentii un brivido corrermi lungo la
schiena. Richiamai alla memoria una vecchia immagine del reverendo John
Farley, un amico di famiglia che viveva a Lake Geneva nel Wisconsin. Il
reverendo mi salutò con voce rotta ed ebbi la strana sensazione che stesse
piangendo.
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