Voi – Davide Morosinotto

SINTESI DEL LIBRO:
Questa è la storia di come Blu ha spezzato il cuore di suo padre. Di
come ha nuotato sul fondo del lago e si è alzata in volo senza ali. Di
come ha conquistato un’isola e ha perso la sua migliore amica. Di
come ha cambiato il mondo. Soprattutto, è la storia di come Blu ha
conosciuto Luka. E di quello che è successo poi.
Eppure, quando in una mattina di inizio luglio il signor Peter si
alzò alle cinque per andare a pesca, non aveva idea di tutto questo
né, ad esempio, che gli restassero meno di tre ore di vita.
Certo il signor Peter conosceva Blu. Sapeva che aveva dodici
anni ed era la figlia di Tom il meccanico e di Luisa l’infermiera.
Sapeva anche che quei due avevano divorziato e Blu dormiva una
settimana a casa di uno e una settimana dall’altra. Con un po’
d’impegno, durante l’anno scolastico avrebbe potuto dirti quali erano,
queste settimane, perché il suo negozio stava proprio all’incrocio
dello stradone della scuola, e se Blu ci passava davanti venendo da
sinistra significava che aveva dormito da Tom, da destra, Luisa.
Il signor Peter aveva imparato dettagli così un po’ per volta, senza
accorgersene, d’altra parte capita abitando in un paesino di
montagna a due ore di gallerie da qualsiasi altro posto.
Perciò, fidati: quella mattina di luglio il signor Peter non pensava a
Blu e non immaginava di stare per morire. Era concentrato soltanto
sulla barca e sulle trote che sperava di pescare e arrostire per
pranzo, in giardino, nel caminetto che aveva appena finito di
costruire dietro la rimessa per gli attrezzi.
In realtà , dato che il signor Peter era in procinto di lasciare la vita
terrena, quel caminetto non lo userà mai, anzi, quando la sua casa
ormai vuota sarà venduta a un’altra famiglia, il nuovo proprietario lo
abbatterà per ampliare la rimessa e trasformarla in un vero garage.
«Maledizione» disse il signor Peter.
Non si riferiva al triste futuro del suo caminetto, ovviamente, ma al
peso dell’attrezzatura da pesca. Tra la borsa per il pesce, la borsa
barca e lo zaino per la minuteria con ami, piombi, esche e
galleggianti, facevano almeno dieci chili. Per non parlare delle
quattro canne telescopiche.
Erano tutti modelli di punta delle marche migliori sulla piazza,
d’altronde al signor Peter piaceva essere pronto per ogni evenienza
e vendeva proprio prodotti per caccia e pesca.
In una taschina del gilet multiuso portava un coltellino svizzero a
quarantanove funzioni, compresa la lente d’ingrandimento e il
trapano. In un’altra tasca c’era una siringa succhia-veleno utile in
caso di morsi di vespe, ragni, o addirittura serpenti. E aveva con sé
pure un kit di segnalazione per le emergenze, con una pistola
lanciarazzi e cinque cartucce, due fuochi a mano, due razzi a
paracadute, e una sirena a gas. Insomma, il tipo di equipaggiamento
perfetto per uno yacht oceanico mentre lui era su una barchetta da
lago di tre metri. D’altra parte, non si può mai sapere.
Sbuffando e imprecando afferrò tutta la roba e richiuse il
bagagliaio del vecchio fuoristrada, poi si avviò in discesa verso i moli
del porticciolo turistico. Di solito parcheggiava molto più vicino, ma
quel giorno c’era una Mercedes nuova di pacca in quello che, da
sempre, era il suo posto riservato.
Non l’aveva mai vista prima perciò doveva appartenere a un
forestiero, e il signor Peter gli augurò svariate malattie fastidiose,
chiunque fosse, finché arrivò al cancelletto del molo e dovette
posare l’attrezzatura per frugarsi nelle tasche alla ricerca della
chiave. Quando la trovò, per far prima, lasciò lì le borse, raggiunse il
capanno dov’era rimessata la barca, la tirò fuori e la fece scivolare in
acqua per ormeggiarla a una delle bitte. Quindi tornò indietro e
caricò il motore. Solo a quel punto andò a riprendere il suo
equipaggiamento e lo mise a bordo.
L’intera operazione richiese un po’ più di mezz’ora.
Il signor Peter avrebbe potuto rendersi la vita molto più semplice
lasciando la barca sempre in acqua, tanto il lago era calmo con
qualunque stagione e lui, d’estate, andava a pesca tutti i giorni. Però
non si fidava, poteva sempre succedere qualcosa e non amava
correre rischi.
In compenso aveva un sacco di tempo: a cinquantaquattro anni
non si era mai sposato, non aveva figli, nipoti o parenti di qualche
rilievo, a parte una sorella che viveva giù in pianura, che era come
se fosse un altro pianeta.
Il signor Peter era un solitario, si potrebbe dire così. In pace con
se stesso, non aveva bisogno degli altri né, se è per questo, gli altri
avevano bisogno di lui. L’unica cosa che rimpiangeva, ogni tanto, era
di non avere un figlio, maschio, da portare a pesca in una mattina
come quella. Lo avrebbe chiamato Anton e gli avrebbe insegnato a
guidare la barca e a capire le leggi eterne della natura. Ad esempio
gli
avrebbe spiegato che quando quella specie di nebbiolina
avvolgeva le cime delle Due Zanne al mattino, sarebbe stata una
giornata caldissima.
Una volta non era così. Il padre del signor Peter (era lui che
aveva aperto il negozio di caccia e pesca) gli aveva raccontato del
tempo in cui la centrale elettrica non esisteva. All’epoca le Due
Zanne non erano collegate dalla colata di cemento della diga e
sembravano proprio grossi denti con in mezzo il fiume, il Rio
dell’Orso, che precipitava nel lago sottostante con una fragorosa
cascata. E nella gola del Rio, fra le due montagne, soffiava sempre
un vento teso, per questo la nebbia non si formava.
Poi era arrivata la diga e il clima era cambiato, così avrebbe
spiegato il signor Peter a suo figlio Anton. Gli avrebbe detto che a
volte l’uomo fa errori, costruisce dove non dovrebbe, poi gli tocca
sopportare le conseguenze.
Erano ormai le sette quando il signor Peter salpò dal molo. Si
tenne alla larga dalla diga virando la prua del barchino dall’altra
parte. Voleva dirigersi subito al largo per schivare la lunga passerella
di legno che collegava la terraferma all’isolotto del Gigante, dove
c’era il campeggio abbandonato.
Dopo aver descritto un’ampia curva in diagonale, puntò dritto
verso la riva di nord-est. In quella zona la montagna incontrava il
lago in uno strapiombo quasi verticale e, a una trentina di metri
d’altezza, sulla parete emergeva un’imponente cengia di pietra che
disegnava, sull’acqua verde, un’ombra affilata come una pinna di
squalo. Tutti la chiamavano Roccia del Sigillo.
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