Uomini renna – Federico Pistone

SINTESI DEL LIBRO:
Dice di avere cinquantatré anni, ma il viso graffiato dal gelo e gli occhi velati
dalla congiuntivite gli consegnano un fiero aspetto da ottantenne. Quando
smonta da cavallo, Gombo è un mezzo uomo che si trascina a compasso sulle
gambe arcuate, come un soldatino staccato dal supporto equestre. Appena si
rimette in sella, torna a essere un animale mitologico, perfetto. Spalanca la
bocca in una risata a tre denti, due in basso a destra, uno in alto a sinistra. Il
cuoio rosso della faccia si tira fino quasi a spaccarsi.
«Senti qui, abbiamo più nomi che renne», dice divertito alla moglie
Tsendeli, invitandola vicino al fuoco.
«Gli antropologi non sanno più come chiamarvi», gli ripeto. «Vi hanno
battezzato duka, taiganà , taighin irked, xianbei, kuvsgoli, uriankai delle
foreste, soyot, tufalar, tuvan, touban, tuvinci, tabgach, sayan. E i mongoli vi
chiamano tsaatan».
«Dovete proprio darci un nome?», replica Gombo nascondendo l'orgoglio
in una carezza sui capelli lucidi di Tsendeli. «Allora tsaatan andrÃ
benissimo».
E se lo dice il re della taiga, il battesimo è ufficiale.
Tsaatan in mongolo significa uomo-renna. Tsaa renna, tan uomo, o, più
precisamente, comunità , appartenenza. Dovrebbe suonare come un insulto,
del tipo bestia, ignorante, selvaggio. Ma l'offesa scivola nella lusinga.
«Noi facciamo parte della foresta e del cielo, seguiamo il cammino dei
nostri antenati, sentiamo le presenze delle divinità tra gli alberi, le rocce, i
torrenti. Se questo significa essere selvaggi, allora sì, siamo dei veri
selvaggi», annuisce Gombo con ineffabile ironia.
Sono rimasti in duecentotrentacinque: gli uomini renna si nascondono
nelle foreste tra la Mongolia settentrionale e la Repubblica di Tuva,
all'estremità della Siberia, in un territorio di centomila chilometri quadrati. Si
spostano in continuazione, tra i 1800 e i 3500 metri di quota dei Monti Sayan,
51° parallelo, 99° meridiano, trascinati dai ritmi dolci e feroci della natura
lungo invisibili itinerari costellati dalla presenza degli spiriti. Solo grazie
all'intima alleanza con un migliaio di renne, la vita – la sopravvivenza – è
ancora possibile in questo brandello crudele di pianeta: nelle brevi estati, i
pesanti nubifragi trasformano il terreno in una sterminata palude popolata da
zanzare e tafani, mentre lupi e orsi affamati dopo il lungo letargo organizzano
disperate incursioni agli accampamenti. Per il resto dell'anno una corteccia di
gelo avvolge la terra e le creature, con punte di sessanta gradi sottozero e
l'aggravante del vento che tira dal Polo. Qui non sono rari i casi di quella che
viene definita isteria artica: il clima estremo, le carenze alimentari e le
difficoltà di sopravvivenza causano improvvisi attacchi di malinconia, di
panico, di epilessia e di ecolalia, l'ossessiva ripetizione delle frasi ascoltate.
«Il mio popolo», racconta Gombo, «sa come affrontare il freddo e gli
animali della foresta. Parla agli alberi e alle montagne, ma sa anche leggere e
scrivere. Conosce il mondo senza aver mai abbandonato la taiga. I miei figli e
i miei nipoti continueranno a studiare, così potranno scegliere il loro destino.
Nessuno è obbligato a restare qui, per questo nessuno se ne andrà ».
Solleva il viso e scruta con orgoglio oltre l'accampamento, verso il suo
regno di colline vergini, abeti rossi, larici e betulle su cui volteggiano
nocciolaie e crocieri. Sotto, nella tundra umida d'estate e ghiacciata d'inverno,
si rintanano orsi, lupi, linci, zibellini e marmotte. E renne selvatiche, quelle
che ancora non sono entrate nella famiglia degli tsaatan.
Le lunghe ciglia di Boroichi
Boroichi ha sei anni, pelliccia candida con una voglia marrone sul collo,
corna che pendono a destra, una vezzosa gobbetta a metà del muso e lunghe
ciglia da attrice: adora sorseggiare il tè salato e riesce ad avvertire la presenza
di un lupo a chilometri di distanza. Allora si infila nella tenda più vicina e
comincia a bramire, anticipando i guaiti dei cani messi lì a protezione dei
campi. Ulzii va per i due anni ed è la viziata del branco. Non ama essere
cavalcata, se le monti in groppa comincia a ruotare il muso a mulinello
tirando insidiosi fendenti con le corna: sei costretto a smontare e lei fa la
smorfiosa per farsi perdonare, strusciandosi addosso come un gatto ruffiano.
Darigii, un maschio di cinque anni che ho ribattezzato Radar, tiene lo sguardo
alto per controllare la situazione. Quando qualcuno si dirige verso il bosco
per trovare un angolino appartato, comincia a seguirlo con circospezione,
prima a distanza, poi sempre più da vicino. Darigii piomba nel momento più
imbarazzante e lecca con gusto il terreno fresco di urina, richiamo irresistibile
per le renne. Anche Tseren, sedici anni, è un maschio — le femmine rara
mente raggiungono i dieci anni -, il palco delle sue corna è sontuoso e intatto.
È la renna più vecchia e, secondo la tradizione, viene ricoperta da nastri
colorati perché rappresenta lo spirito guida: nessuno può cavalcarla, né
caricarla di pesi, e alla sera ha il privilegio di essere legata da sola a un tronco
piantato a sud-est rispetto alle urtz, le tende coniche degli tsaatan. Le altre
vengono raggruppate a raggiera intorno a un palo comune per evitare che gli
attacchi notturni dei lupi e degli orsi disperdano la mandria, rendendola più
vulnerabile.
Le renne assicurano la sopravvivenza al popolo della taiga: forniscono
cibo, indumenti, compagnia, protezione di- vina e anche un eccellente mezzo
di trasporto. Lo fanno volentieri, mi assicura Gombo, perché le loro divinitÃ
hanno stipulato un contratto di aiuto e rispetto reciproco con le divinità degli
uomini. Solo in autunno, nel periodo degli amori, l'armonia lascia il posto alle
feroci sfide fra maschi. Ma ad aprile, quando muschi e licheni cominciano a
forare la neve, la taiga viene rallegrata dai guaiti dei cuccioli: la mungitura
diventa l'attività principale e i campi vengono spostati con maggiore
frequenza per trovare foraggio fresco. Queste renne, spelacchiate dai malanni,
non hanno la fierezza delle cugine scandinave ma sono mansuete, comode da
cavalcare e danno un latte nutriente, prezioso per l'alimentazione. Non
vengono mai uccise, ma quando una di loro muore, di malattia o di vecchiaia,
è un giorno di lutto per la comunità . Dopo una sofferta preghiera perché la
sua anima prenda la strada del cielo, la pelle viene chirurgicamente incisa per
ricavarne indumenti e carne da seccare. Negli anni di maggiore difficoltà , gli
tsaatan segavano le corna delle renne per venderle a Tsagaan Nuur dove com
mercianti cinesi e coreani le trasformavano in polvere dalle presunte proprietÃ
afrodisiache. Ma dal 1998 questa operazione non avviene più: è molto
dolorosa per le renne, poiché le corna, attraversate dal sistema nervoso e
irrorate da vasi sanguigni, hanno la funzione di regolatori termici. Quando le
temperature risalgono sopra lo zero, gli animali che hanno subito il taglio si
accucciano sul terreno boccheggiando in un penoso stato di asma da
ipertermia. E i bambini cercano di confortarli con secchiate d'acqua gelata.
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