Una ragazza senza ricordi – Frances Hardinge

SINTESI DEL LIBRO:
Le faceva male la testa. C’era un rumore che le raschiava la mente,
un frusciare atono come uno stropiccio di carta. Qualcuno aveva
fa o una risata, l’aveva accartocciata in una grossa palla crepitante e
gliel’aveva ficcata dentro al cranio. Se e giorni, rideva. Se e giorni.
«Sme ila» gracchiò lei. E si zi ì davvero: il suono si smorzò, e le
parole che aveva creduto di udire si dissiparono come alito sul vetro.
«Triss?» Udì un’altra voce più forte e più vicina della prima, una
voce di donna. «Oh, Triss, tesoro, tesoro, va tu o bene, sono qui.»
Stava succedendo qualcosa. Due mani si erano stre e calde intorno
alla sua, come un nido.
«Non perme ergli di ridere di me» sussurrò. Deglutì, e sentì che
aveva la gola secca e frusciante come rame i.
«Cara, nessuno ride di te» rispose la donna con voce dolce e
sommessa, quasi un sospiro.
Udiva dei borbo ii inquieti poco più in là. Due voci maschili.
«Delira ancora? Do ore, non aveva de o…?»
«Solo un sogno interro o, direi. Aspe iamo che la piccola Theresa
sia davvero sveglia per giudicare le sue condizioni.»
Theresa. Mi chiamo Theresa. Era vero, lo sapeva, ma le pareva
una parola come un’altra. Come se ne ignorasse il significato. Io sono
Triss: ecco, così pareva più naturale, come un libro che cadendo si
apre su una pagina le a molte volte. Si sforzò di sollevare un po’ le
palpebre, sussultando per la troppa luce. Si trovava in un le o, sopra
a un cumulo di cuscini. Sentiva il corpo come un’ampia distesa
tra enuta giù da sassi, e fu stupita di vedere che so o le coperte e il
coprile o si delineava il profilo di una persona di dimensioni
normali.
C’era una donna seduta lì accanto a lei e le teneva la mano
dolcemente. Aveva capelli scuri e corti, ben raccolti sulla testa in
rigide onde lucenti. Un vago sbuffo di cipria sulle guance, ad
a enuare i segni della stanchezza agli angoli degli occhi. Le perle di
vetro azzurro della collana ca uravano la luce dalla finestra,
proie andole bagliori gelidi sul pallidissimo collo e so o il mento.
Ogni centimetro della donna era dolorosamente familiare ed
estraneo al tempo stesso, come la mappa quasi dimenticata di una
casa dove si è vissuto. Una parola discese leggera dal nulla, e la
mente intontita di Triss riuscì a coglierla al volo.
«Mam…» iniziò.
«Sì, Mami è qui, Triss.»
Mami. La mamma.
«Mam… ma…» fu tu o quel che le riuscì di gracchiare. «Io… Io
non…» Ma esitò. Triss non sapeva cosa fosse quel non, ma era un non
di proporzioni enormi e la terrorizzava.
«Va tu o bene, ranocchie a.» La madre le strinse appena la mano
e sorrise tenera. «Sei stata di nuovo male, tu o qui. Hai avuto la
febbre, è normale che tu ti senta acciaccata e un po’ confusa. Riesci a
ricordare quel che ti è successo ieri?»
«No.» Il giorno prima era un grande abisso oscuro. Triss sentì il
panico pulsarle so opelle. Cosa riusciva a ricordare davvero?
«Sei tornata a casa che eri bagnata fradicia. Questo lo ricordi?» Il
le o cigolò: un uomo si era avvicinato e stava me endosi seduto
sulla sponda. Aveva un viso allungato, dai tra i forti, con profondi
solchi fra le sopracciglia, come se si sforzasse di concentrarsi su ogni
cosa, e capelli di un biondo spento. La voce era dolce però, e Triss
riconobbe lo sguardo tenero e speciale, uno sguardo che riservava
soltanto a lei. Papà. «Pensiamo che tu sia caduta nel Macaber.»
Alla parola “Macaber” Theresa fu colta da un brivido di freddo,
come se le avessero premuto sul collo la pelle viscida di una rana.
«Io… non ricordo.» Voleva solo scrollarsi via di dosso quel pensiero.
«Non me etela so o pressione.» C’era un altro uomo ri o ai piedi
del le o. Era più anziano, con una nuvola di capelli sbiaditi che si
arricciavano a un paio di centimetri dallo scalpo roseo, e sopracciglia
grigie irte e cespugliose. Le vene delle mani rigonfie e budinose
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tradivano l’età avanzata. «Ai bambini piace giocare vicino all’acqua,
sono fa i così. Lo sa Iddio quante volte sono ruzzolato in un
torrente, alla sua età. Quanto a te, signorina, ieri sera hai fa o
prendere un bello spavento ai tuoi genitori presentandoti a casa
sperduta e febbricitante, incapace persino di riconoscerli. Ma adesso
li riconosci, vero?»
Triss esitò e fece cenno di sì con la testa pesante. Riconosceva il
loro odore in quel momento. Cipria e cenere di pipa.
Il do ore annuì con aria solenne e tamburellò le dita sul bordo del
le o. «Come si chiama il re?» chiese a bruciapelo.
Triss trasalì e fu colta da un istante di panico. Poi un ricordo di
cantilene infantili imparate a scuola le affiorò docile alla memoria.
Un Lord è Re, un Re è Giorgio, un Giorgio è Quinto…
«Giorgio V» rispose.
«Bene. E dove ci troviamo adesso?»
«Nella vecchia casa di pietra, a Lower Bentling» rispose Triss,
sempre più sicura di sé. «C’è anche il laghe o del martin pescatore.»
Riconosceva l’odore di quel luogo: le mura umide, il vago olezzo di
tre generazioni di ga i vecchi e malandati. «Siamo in vacanza. Ci…
Ci veniamo ogni anno.»
«Quanti anni hai?»
«Undici.»
«E dove abiti?»
«Sulla Luther Square, a Ellchester. Il palazzo si chiama The
Beeches.»
«Brava bambina. Così sì che va meglio.» Le rivolse un ampio e
caloroso sorriso, come se fosse davvero fiero di lei. «Sei stata molto
male, immagino ti senta la testa come piena di ova a, vero? Be’, non
temere: entro un paio di giorni recupererai in pieno la lucidità, e
starai meglio anche fisicamente. Ma ti senti già meglio, vero?»
Triss annuì lentamente. Nessuno rideva più nella sua testa. C’era
ancora un fruscio flebile e irregolare, ma volgendosi alla finestra
dall’altro capo della stanza fu semplice trovarne il responsabile. Un
ramo basso premeva contro il vetro, appesantito da un grappolo di
mele verdi, e le foglie vi strusciavano ogni volta che il vento lo
agitava.
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La luce che penetrava era spezzata, mutevole, ro a in un mosaico
dal fogliame. La stanza stessa era verde come le fronde. Coprile o
verde, pareti verdi decorate da un motivo a losanghe color crema,
frivole tovaglie verdi con gli angoli ripiegati a perfezione sui tavoli
di legno scuro. Le lampade a gas alle pareti erano spente, i globi
bianchi opachi.
E soltanto in quel momento, guardandosi bene a orno, Triss si
accorse che nella stanza c’era una quinta persona, accanto alla porta.
Un’altra ragazzina, più piccola di lei, con i capelli scuri e ondulati
che la facevano sembrare una versione in miniatura della madre. La
grande differenza erano gli occhi, però, freddi e duri come quelli di
un tordo. Si afferrava alla maniglia quasi volesse staccarla dalla
porta, e la mascella stre a si muoveva, digrignando i denti.
Mamma seguì lo sguardo di Triss e si voltò.
«Oh, guarda, Penny è venuta a trovarti. Povera Pen, credo non
abbia toccato un solo boccone da quando ti sei ammalata, tanto era
preoccupata. Su, Pen, vieni qui a sedere accanto a tua sorella…»
«No!» urlò quella, così d’improvviso da far sussultare tu i. «Sta
facendo finta! Ma come fate a non capirlo? È una finta! Ma non vi
accorgete della differenza?» Puntava gli occhi fissi sul volto di Triss
con uno sguardo che avrebbe potuto spaccare la pietra.
«Pen!» l’ammonì il padre. «Vieni subito qui e…»
«NO!» Pen li fissò con uno sguardo folle e disperato, gli occhi
strabuzzati come se fosse sul punto di azzannare qualcuno. Si
precipitò fuori dalla porta, e l’eco dei suoi passi si allontanò a poco a
poco.
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