Una lunga notte messicana – Isabelle Mayault

SINTESI DEL LIBRO:
Mia cugina chiamava il nostro Paese «il Paese dei burroni» e alla fine
è
scomparsa proprio in uno di loro. L’hanno ritrovata un
pomeriggio, con un vestito bianco e un foulard a pois, a trenta metri
dalla sua decappo abile dai riflessi cangianti, il corpo scaraventato
contro un cartello segnaletico. Lì so o c’era un bosche o di fiori
spinosi, nel cui groviglio era finita una delle scarpe e rosse di Greta.
Il corpo del suo amante, un parrucchiere milanese che rispondeva al
nome di Beppe, riposava sul sedile del passeggero, nel veicolo
precipitato più in basso. Nulla predestinava Greta a morire all’età di
trentasei anni: si faceva sempre il segno della croce quando era
costre a a passare so o una scala o incrociava un ga o nero, e
inoltre aveva la costituzione di un cavallo. Lei e Beppe avevano
bevuto, avrei le o più tardi in un rapporto ufficiale che descriveva le
circostanze della loro scomparsa con lo stesso tono laconico che
avrebbero usato per il resoconto su un’infiltrazione d’acqua in una
cantina. L’intero Paese guidava ubriaco, e mia cugina non faceva
eccezione; difa i era Greta a stare dietro il volante. Questo non
spiegava perché mai proprio quel burrone anziché un altro, non
particolarmente profondo. O perché proprio quel pomeriggio invece
di quello prima, quando il sole era stato altre anto alto e altre anto
tossico.
Sulle foto che accompagnavano il rapporto, e che un polizio o mi
ha permesso di consultare, compariva l’efebo addormentato, con la
faccia incollata alla pelle degli interni, e Greta, piegata in due come
se stesse facendo uno scherzo sofisticato, non fosse stato per il
sangue alla radice dei capelli, lungo il collo e l’orecchio. Le immagini
sono state sca ate di no e, con un flash. L’incidente, avvenuto verso
le qua ordici, era stato segnalato solo nel tardo pomeriggio da un
automobilista, e la polizia locale se n’era occupata ancora più tardi,
quando la no e era già calata. Di no e, ma anche di giorno, la strada
verso il Pacifico aveva la reputazione di essere pericolosa e, a meno
di essere armato o sprovveduto, uno non si fermava a guardare una
macchina in un burrone, per paura di essere derubato, o peggio.
Quelle foto davano alla scena la parvenza di un crimine sordido.
L’ipotesi non era inverosimile, bastava leggere le pagine di cronaca
dei giornali per convincersene, ma la versione dell’incidente si
imponeva su tu e le altre e, a fil di logica, il rapporto dell’autopsia
giungeva a quella conclusione. Erano morti, come si dice, sul colpo.
Fa a eccezione per l’incertezza di fondo, il rapporto conteneva
parecchi de agli, come quello che Greta e Beppe avevano mangiato
prima della sciagura. Per paura che la maledizione si abba esse di
nuovo, non ho mai più toccato gli huevos separados. Però non ho
smesso di bere le micheladas, perché le superstizioni, si sa, nascono
sulla carta.
Non dubito un istante che il polizio o cui toccò il compito di
annunciare la notizia a Carlos fu imbarazzato di dover dire a un
uomo come lui, a raente e ancora giovane, che sua moglie era morta
in compagnia di qualcuno che, secondo quanto emerso in seguito a
una verifica, non era né il fratello né il cugino né il padre né il figlio.
Non dubito nemmeno del fa o che i polizio i presenti sul luogo
dell’incidente lo avessero intuito subito, perché l’adulterio si vedeva,
nei pois color la e e menta del foulard di mia cugina, nella
corporatura piacevolmente muscolosa di Beppe il nuotatore. Alcuni
ci avranno le o un avvertimento da cogliere, e le loro mogli si
saranno stupite di ricevere mazzi di fiori. Poi, quando l’identità di
Beppe è stata confermata, quegli stessi polizio i si sono messi a
ridere, e quello incaricato di rivelare a Carlos che sua moglie era
deceduta in compagnia di un uomo che non era né il fratello né il
cugino né il padre né il figlio sarà stato imbarazzatissimo, perché era
tra quelli che avevano riso. Non era inconsueto che Greta fuggisse
dal marito regista. Non che Carlos avesse qualcosa di tangibile da
cui fuggire; in lui non c’era un briciolo di violenza. Nella coppia era
gg
pp
Greta ad avere il monopolio del furore. Era lei che sba eva in faccia
a colui che si ostinava a essere presente la frustrazione di una vita
giudicata troppo piccola, con lo sguardo che s’incupiva invadendo le
stanze come un campo còlto alla sprovvista da un temporale estivo.
Carlos non aveva niente di noioso, nel senso che si è soliti a ribuire a
questa parola. Aveva un’intensa vita sociale, uno spirito curioso, un
modo di prendere le cose con leggerezza, e Dio sa quanto in Messico
questa a itudine si rivelava utile, ma con lui Greta si annoiava, e lo
fuggiva. E lo tradiva, perché mia cugina, nella noia, non aveva molta
immaginazione.
Ignoro come Carlos abbia reagito all’accaduto. So soltanto che era
stato molto innamorato di mia cugina. Al primo sguardo, gli uomini
che incontravano Greta erano soliti crederlo. Solo dopo venivano a
lamentarsi perché corrodeva il loro sonno e il loro amor proprio.
Non con me, ovviamente, ma con i membri eminenti del microcosmo
cui spe ava fare e disfare i pe egolezzi nel loro ambiente. Quando
conobbe Greta, Carlos non era sposato. Entrambi non avrebbero
potuto sognare incontro più cinematografico, e con questo non
voglio so intendere che l’origine della loro unione avesse qualcosa
di superficiale, perché se c’è una cosa che Greta mi ha insegnato è
saper distinguere la forma dalla sostanza. Il loro incontro ebbe come
scenario la «sanguinosa no e del 2 o obre 1968», come da allora
viene chiamata in Messico, a meno che le persone che ne parlano
oggi in Messico non la chiamino la «no e di Tlatelolco». Carlos
f
ilmava da varie se imane le manifestazioni di studenti e operai i cui
movimenti erano confluiti, come in diversi Paesi del mondo nel 1968,
per me ere in discussione il sistema. Il partito unico che governava
da trent’anni il Messico era soprannominato «gang delle mummie»,
inutile quindi precisare che nel nostro Paese erano in molti a sperare
di sentir soffiare il vento del cambiamento sulla Casa Presidencial.
La sera del 2 o obre Carlos era presente come le altre sere, con la sua
Super 8, i baffi curatissimi e i calzini di seta, accanto, o meglio
davanti – perché non credo che Carlos si sia mai considerato un
manifestante – ai centralinisti, ai dipendenti della compagnia
ele rica e agli studenti, tu i con in bocca la parola derecho alle
g
p
diciasse e e trenta, ora prevista per il calcio d’inizio di
quell’assembramento che, al pari degli altri, cominciava in ritardo.
Mentre nella piazza si erano radunate un migliaio di persone, due
bengala, incrociandosi in alto nel cielo, erano spuntati da dietro la
chiesa come draghi dal lungo collo che tiravano fuori la testa
dall’acqua. Fu in quell’istante che Carlos vide Greta. Senza essere
una studentessa, perché non aveva studiato, mia cugina aveva
seguito due amici pi ori di Belle arti, uno dei quali non sarebbe
sopravvissuto a quella no e. Carlos la filmò senza parlarle, e senza
che lei gli parlasse, in quel momento sospeso in cui il fumo dei razzi
cominciava a coprire la folla, facendo scomparire la chiesa e i
palazzi, le chiazze di sudore sulle camicie, le cinture stre e
all’ultimo buco sui corpi magrissimi. Per qualche secondo Greta
rimase dri a, con le braccia incrociate, la bocca leggermente aperta,
lo sguardo brillante e corrucciato rivolto verso il cielo e il pe o
galleggiante su quella brumosa nube chimica di un verde che la
pellicola in bianco e nero di Carlos aveva per fortuna cancellato. Nel
1971 Carlos avrebbe fa o uscire un film documentario intitolato
Mexico 1968 la cui proiezione sarebbe stata proibita la stessa
se imana e riautorizzata trent’anni dopo, sventura che lo aveva per
sempre scoraggiato dal filmare, come si dice, la realtà .
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