Ultimo appello – Salvo Toscano

SINTESI DEL LIBRO:
I vecchi amici sono come quegli aliti gentili di brezza che salgono
dal mare nell’afa dei pomeriggi di giugno. Quando te li vedi
comparire davanti, nei percorsi misteriosi che la vita ti impone, ti
pervade un senso di ristoro che dalla bocca dello stomaco galleggia
su fino ai muscoli facciali, distendendoli in un sorriso. Solo in un
secondo momento, che segue con sorprendente rapidità alla prima
reazione, il cervello si prende la briga di far calcoli sul tempo
trascorso dall’ultimo incontro con la persona in questione e decreta
verdetti di invecchiamento con una semplice sottrazione.
Questo fu quanto mi accadde il pomeriggio di settembre che
Santo Miraglia venne a farmi visita allo studio. Ora, che Palermo viva
a maggio e settembre i suoi periodi di massimo splendore è per il
sottoscritto verità dogmatica. Le tiepide temperature settembrine, il
sole delle cinque del pomeriggio che si posa su Monte Pellegrino, il
venticello che si fa sentire nelle giornate più fortunate. Un idillio che
mi mette in pace con il mondo e fa pendere dal lato buono la mia
bilancia odio-amore per la Felicissima Città .
Dunque, il mio umore gravitava già a grandi livelli e l’apparizione
del buon Santino lo allietò ulteriormente. Almeno per i pochi secondi
nei quali il senso di ristoro di cui ho appena parlato percorreva il
tragitto
stomaco-bocca per trasformarsi in sorriso. Poi,
inevitabilmente, il cervello si intromise e si avventurò in calcoli. E
stabilì che erano almeno dieci anni abbondanti che il faccione pieno
di Santino Miraglia, detto Mitraglia, non si faceva vedere dalle mie
parti. Dieci anni, eravamo invecchiati.
Conservava più o meno la stessa fisionomia dei tempi del liceo
classico. Rotondo, bassotto e stempiato. Gli occhi grandi e furbi ora
erano marcati da qualche ruga leggera ma conservavano la stessa
contagiosa simpatia. Per un paio d’anni dopo la maturità mi era
capitato di incontrarlo in qualche locale. Poi, chissà come funzionano
queste cose, niente più, un black-out totale. Santo Mitraglia,
compagno di banco di Manlio Passalacqua detto Sifone e di Duilio
La Marca in arte Petardo. Tempi d’oro, gli anni di Maradona e del
grande Ayrton. E Santino, con il suo vespone truccato che
scoppiettava mitragliando come il suo proprietario.
«Avvocato, ma che ne hai fatto dei capelli?», fu la prima cosa che
Santino mi disse dopo dieci anni. Ma incassai il colpo senza
accusarlo, ben conscio di conservarne comunque più di lui.
«E tu, che ne hai fatto del vespone, Mitraglia?»
«Non ci crederai, ma è posteggiato qua sotto», rispose sedendosi
di fronte a me, dall’altra parte della scrivania.
Qualcosa di quegli anni d’oro, allora, era scampato all’usura del
tempo. Trovai confortante quel pensiero. Scambiammo due
chiacchiere con Mitraglione, che mi raccontò di essersi sistemato
alla
Regione grazie alla raccomandazione del suocero, un
possidente di Bagheria vicino a un pezzo grosso dell’assessorato
all’Agricoltura. Si era sposato un anno addietro e viveva una vita
tranquilla. Aveva avuto notizia di me da qualche compagno di scuola
incontrato per caso. Poi venne al sodo.
«Roberto, quante volte mi hai salvato il culo?».
Mitraglia non era un granché a scuola, e il sottoscritto più di una
volta lo aveva soccorso passandogli compiti di qualsiasi genere.
«Parecchie, direi, ma mi pare che tu mi abbia già ringraziato».
«Avvocato, mi serve che tu lo faccia un’altra volta. Siamo in guai
seri».
L’espressione del suo viso e il repentino cambio del tono della
voce non lasciavano presagire niente di buono.
Mitraglia riprese a parlare.
«Ti dice niente il nome di Francesca Raimondo?».
Feci cenno di no con il capo. Lui infilò una mano nella tasca
posteriore dei jeans ed estrasse un ritaglio di giornale che spiegò
sulla mia scrivania. L’articolo, che portava una firma a me ben nota,
era di quello stesso giorno. Dava notizia dell’omicidio di una giovane
donna, avvenuto in viale Strasburgo, a Palermo. La ragazza,
sposata e madre di una bambina, era stata uccisa con cinque
coltellate alla schiena.
Nessun segno di effrazione alla porta, lei stessa aveva aperto
all’assassino e gli aveva voltato le spalle. Non sembrava ci fossero
tracce di violenza carnale e nulla di prezioso mancava
dall’abitazione. Gli inquirenti non escludevano nessuna pista. Era
stato il marito a trovare il cadavere e ad avvisare la polizia.
Staccai lo sguardo dal giornale e lo rivolsi a Santino.
«Mia cognata», disse gelido, «la moglie di mio fratello Giuseppe».
«Mi dispiace».
«Sì, ma c’è dell’altro. Ieri hanno interrogato mio fratello. E quel
poveraccio ha l’impressione che gli sbirri sospettino di lui».
«Be’, andiamoci piano, a delitto appena scoperto si sospetta di
tutti, non lasciarti ingannare dalle apparenze».
«Roberto, hanno condotto l’interrogatorio in un certo modo…
insomma, noi abbiamo quest’impressione. Non abbiamo mai avuto
problemi nel penale, io non saprei a chi rivolgermi. Ho parlato con il
mio civilista, lui mi ha detto che poteva consigliarmi un collega
penalista, e ha fatto il tuo nome. Piccolo il mondo, no? Vorrei che
fossi tu ad assistere Giuseppe».
«Certo, di questo si può parlare. Ma ora devi raccontarmi un po’
meglio questa storia. Sai, quattro righe scritte sul giornale non è che
siano molto indicative».
«E poi i giornalisti non fanno altro che raccontare minchiate».
Incassai anche questa senza accusare più di tanto il colpo. Perché
sì, l’articolo in questione l’aveva scritto mio fratello, ma l’accusa a
suo carico era di cazzà ro, quella a carico del fratello di Santino era di
potenziale omicida.
Santino mi spiegò l’accaduto. Il giorno prima, alle sei di
pomeriggio, il marito entra in casa. Sente piangere la bambina che
ha un anno. Apre la porta e trova in cucina la moglie distesa in un
lago di sangue, prona sul pavimento. Rimane interdetto, lancia un
urlo. Un vicino sente il rumore e suona il campanello. Miraglia apre e
i
due cercano di soccorrere la donna che però è già morta. Il marito
telefona alla polizia e dà notizia dell’accaduto.
«Tuo fratello rientra a casa a quell’ora ogni giorno, giusto?»
«Di solito torna più tardi».
«A che ora è morta tua cognata?»
«Era ancora calda quando l’hanno trovata».
Pausa meditativa. Mi tolgo gli occhiali e mi premo pollice e indice
sul naso. Un rito che precede una sfaticata.
«Ok, e ora dimmi, in tutta sincerità , tu come la vedi».
Santino non esitò un attimo.
«È strano. Non hanno rubato nulla, mio fratello ci giurerebbe.
E poi è stata lei ad aprire la porta…».
«…e allora?»
«Be’, c’è qualcosa… ma vorrei che fosse Giuseppe a parlartene di
persona».
«Quando può venire a trovarmi?»
«Anche subito», rispose Santino, sfoderando un microscopico
cellulare di ultimissima generazione.
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