La forza imprevedibile delle parole- Clara Sánchez 

SINTESI DEL LIBRO:

 Natalia e Constantino guardarono inquieti le loro figlie che
agitavano, per l’ultima volta, le mani adolescenti dalla scaletta
dell’aereo. Tornarono verso la macchina da soli. Constantino guidò
Natalia attraverso varie sale d’attesa tenendole un braccio sulle
spalle. Natalia si vide riflessa nelle piastrelle pulite e lucide e si sentì
turbata sotto il braccio di Constantino. Nel parcheggio lui tenne
aperto lo sportello dell’auto finché Natalia non si fu seduta per poi
abbandonarsi, silenziosa, al paesaggio formato da sbarre metalliche,
cartelloni pubblicitari e dal flusso regolare dell’autostrada. Quando si
addentrarono nella Colonia Blanca, un sole lontano si allontanava
ancora di più fino a diventare freddo. Constantino andò nel suo
ufficio dalla moquette marezzata, in un edificio a forma di tubo di
vetro sormontato da due gigantesche lettere intrecciate che
scendevano tra le nubi, mentre Natalia rimase a casa.
Sentì la porta d’ingresso che si chiudeva, il rumore metallico delle
chiavi contro la macchina, il ruggito del motore e Constantino che si
allontanava lentamente, lasciando dietro di sé il fumo ribelle della
sua sigaretta. Tutti quei suoni, insieme al crepitare del fuoco nel
camino e ai leggeri tremolii dei vetri e dei mobili, scoppiarono dentro
di lei come un pianto, e Natalia sentì le lacrime sul suo viso. Quel
contatto la fece pensare a sé stessa, alle sue mani, a ogni parte del
suo corpo, alla necessità urgente di andare dal parrucchiere e farsi
la manicure. Osservò il camino, le finestre, i mobili, le fotografie sulla
mensola. L’unica ombra umana nel salotto era la sua. Era sola. Salì
nelle stanze del piano di sopra con un pianto ritmico che l’aiutava a
superare i gradini uno dopo l’altro. Non voleva trattenere le lacrime:
lasciò che il loro fluire la accompagnasse nel suo passaggio
flemmatico tra i mobili delle stanze. Lasciò che la visione degli
oggetti amati la facesse sprofondare negli abissi del suo senso di
abbandono, aprì anche il ripostiglio per vedere le culle delle bambine
e la cassapanca dei giocattoli.
Le lacrime scorrevano ormai incontenibili e disperate. Natalia
scese le scale con difficoltà e andò a sbattere contro i mobili fino a
lasciarsi cadere sull’ottomana che si trovava accanto alla grande
vetrata. Lì, tra i cuscini, si addormentò. Distesa di fronte al fuoco da
cui provenivano scintille incandescenti, sognò delle labbra che si
posavano sulle sue. Fu un contatto caldo e travolgente che
desiderava ardentemente ritrovare. Per ritrovarlo aveva Constantino,
che sarebbe tornato quella sera, e lo aspettò impaziente. Quando fu
davanti a lei, Natalia chiuse gli occhi e cercò la sua bocca, ma non fu
un bacio, solo la pressione delle labbra di Constantino contro le sue.
I giorni passavano accanto all’ottomana e Natalia li guardava
passare.
Tutti i giorni, per arrivare alla scuola di lingue, Amando doveva
prendere la metropolitana e un autobus. Poi le sue gambe corte e
robuste si facevano largo tra la folla di plaza de España e alla fine
entrava nella zona Ovest, piena di bei parchi, negozi di firme
importanti e edifici con i rosoni sulle facciate. A quel punto era
abbastanza lontano da casa per poter iniziare a essere un altro.
Avvertiva come la sua figura, non alta ma piazzata, percorreva
strade e attraversava passaggi pedonali, come il sole si posava con
forza sui suoi capelli rossi, corti e sottili, come saliva le scale della
scuola e si sedeva su una sedia dell’aula. E sentiva accanto alla sua
scarpa la borsa di Raquel e il fumo leggero della sigaretta di lei,
appena uscito dalla sua bocca, che gli sfiorava la faccia. E provava
una voglia matta di apparire brillante davanti a tutti.
Raquel riuniva in sé tutto ciò di cui Amando aveva bisogno per
trascorrere i pomeriggi a scuola, per trascorrere le mattine pensando
ai pomeriggi e per passare le notti a pianificare un futuro per loro
due.
Raquelita, come la chiamava lui in un’intimità sognata, non aveva
mai saltato una lezione, non gli aveva mai dato buca. Arrivava
sempre con cinque minuti di ritardo, a dettato già iniziato, posava la
borsa accanto a sé e rivolgeva un’occhiata ansiosa al quaderno di
Amando che, a poco a poco, era riuscito a far sì che i progressi
scolastici di Raquelita dipendessero da lui. Amando sapeva dove
risiedeva la propria forza e riusciva a fare in modo che raggiungesse
il suo massimo splendore durante gli esami, quando Raquelita,
implorante, copiava gli esercizi da lui.
Se di questo mondo meschino si potesse scegliere soltanto ciò
che ci piace, se si potesse scegliere a prescindere dagli altri –
pensava Amando mentre, alla fine della lezione d’inglese, osservava
Raquelita che si allontanava lasciando dietro di sé una scia di bolle
dorate nell’aria rarefatta dei corridoi della scuola –, lui avrebbe scelto
Raquelita, soltanto Raquelita. E se si potesse scegliere di liberarsi di
ciò che ormai inevitabilmente si possiede, lui si sarebbe liberato di
sua madre e del ricordo di suo padre.
Durante i lunghi intervalli di tempo in cui non vedeva Raquelita la
immaginava, e immaginava anche sé stesso che traduceva
simultaneamente in varie lingue o che faceva interventi pubblici con
una camicia buona addosso, per poi ottenere l’ammirazione di
Raquelita, sempre avvolta in profumi, in foulard di seta e in un
bagliore segreto. Lei era costantemente nel suo cuore e gli dava la
forza per sopportare le occhiate furtive di sua madre durante i pranzi
e le cene insieme e i continui indizi del fatto che quest’ultima gli
stava cercando un lavoro.
Da quando Amando aveva compiuto trentacinque anni, nel
momento stesso in cui gli aveva fatto gli auguri, la mamma glielo
aveva detto chiaro e tondo: Amando doveva realizzarsi come
persona, maturare, in sostanza doveva lavorare. E si era rifugiata in
quell’ossessione terribile. Per lei non significavano nulla le lezioni, né
tantomeno coltivare lo spirito, pensava Amando con amarezza.
Ripeteva in continuazione che il lavoro era una benedizione e
strombazzava a destra e a manca che a suo figlio serviva un
impiego, qualunque tipo di impiego, a dirla tutta.
Sua madre lo stava mettendo in una situazione difficile, ma
Amando non aveva intenzione di muovere neanche un dito. Se le
offerte fossero arrivate, le avrebbe prese in considerazione.
Continuava a studiare, sorprendendo tutti e soprattutto Raquelita,
che non era in grado di svolgere gli esercizi senza le opportune
correzioni da parte sua. E la mamma, di tanto in tanto, sembrava
agitata e, mentre tirava fuori la spesa dal cestino, raccontava ad
Amando del lavoro che gli aveva trovato, ma che lui non voleva,
perché aveva bisogno di qualcosa che gli permettesse di fare pratica
con le lingue che stava studiando.

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