Tre Piccoli Fiori Di Velluto Viola – Emiliano Di Meo

SINTESI DEL LIBRO:
Da molto tempo ormai Gennaro non si interrogava più sulle
ragioni che avevano portato alla fine del suo matrimonio;
aveva semplicemente smesso di pensarci e anche il
dolore, a quel punto, era solo un ricordo lontano. Non soffriva
ripensando a quella rottura, né la viveva come un insuccesso. Si era
sposato per amore e del fatto che non avesse funzionato non voleva
incolpare nessuno, meno che mai se stesso. Amalia decise di
andarsene e non sarebbe stato giusto obbligarla a restare. Erano in
crisi da troppo tempo per ostinarsi a cercare il modo di ricucire un
rapporto ormai del tutto logoro. Lei soffriva di una sindrome
depressiva che non le permetteva di apprezzare quanto lui aveva da
offrirle e non era troppo indulgente con se stesso nel vederla in
questo modo. Gennaro era, senza ombra di dubbio, un uomo pieno
di ottime qualità , oltre al possedere un aspetto fisico estremamente
attraente. Amalia, nata in città , non si era mai abituata del tutto allo
stile di vita semplice e privo di imprevisti del piccolo paese
nell’entroterra calabro dove Gennaro conduceva brillantemente
l’azienda di famiglia. Vi si erano trasferiti subito dopo le nozze e,
negli anni, il desiderio e la necessità di risiedere in un luogo che
offrisse
maggiori
opportunità ,
maggiori
diversivi,
divenne
predominante per lei. Aveva sempre amato però, fin dal primo
momento, quell’uomo che, nonostante l’aspetto forte e virile, era
mosso da un animo buono.
Si erano sposati giovanissimi e dopo appena pochi anni il loro
matrimonio era naufragato, contro ogni previsione. Forse Amalia non
era tagliata per la vita matrimoniale e a un certo punto il rapporto di
coppia le fu improvvisamente troppo stretto. La decisione di partire e
lasciare l’unico uomo che avesse mai amato richiese un atto di
amore infinito verso la propria libertà perché, per qualche ignota
ragione, avvertiva di non voler più essere la moglie di qualcuno.
Desiderava tornare a essere unicamente Amalia. Fu così che una
mattina caricò la piccola utilitaria con le poche cose che le potevano
servire e, lasciando scritte solo un paio di righe su un foglio di carta
appiccicato allo specchio dell’ingresso, tornò a Roma. Quando
Gennaro trovò il foglietto ne immaginò subito il contenuto e non
avrebbe neppure avuto bisogno di leggerlo, eppure lesse comunque:
G
E
e, ti lascio. È vile da parte mia andarmene in questo modo,
ma non posso fare altrimenti. Ora so che attendere mi
metterebbe nella condizione di non andarmene più.
Perdonami se puoi. A modo mio ti ho sempre amato.
rano passati quasi due decenni da quel giorno. Gennaro la
lasciò andare senza cedere mai alla tentazione di cercarla,
neppure una volta. Nel profondo dell’anima era altrettanto
stanco di quell’altalena sentimentale capace di fargli toccare il cielo
con un dito, prima di privarlo, subito dopo, di qualsiasi stimolo. Si
convinse che fosse meglio così. In un modo o nell’altro avrebbero
ricominciato entrambi.
I
l
giorno in cui si conobbero erano a Roma. Lui le regalò
tre piccoli fiori di velluto viola, creazioni di una vecchia
signora che li vendeva all’angolo di una stretta traversa
intorno a Piazza Bologna, poco distante dalla Città Universitaria. I
loro gambi davano l’impressione di intrecciarsi in un morbido
abbraccio e i petali viola richiamavano leggermente la forma di un
cuore. Lei, ricevendoli, li annusò come se si fosse trattato di fiori veri;
emozionata gli promise che li avrebbe portati sempre con sé. Quello
stesso giorno iniziò la loro storia d’amore. Uno di quegli amori
ardenti e assoluti che, ci si illude, possano durare in eterno e che
invece, nel loro caso, si esaurì nel giro di pochi anni. Ventiquattrore
prima, l’uno neppure ipotizzava l’esistenza dell’altra e ventiquattrore
dopo, erano diventati inseparabili.
Amalia, reduce da un’infanzia e da un’adolescenza che l’avevano
vista spesso sola, non si era mai sentita al sicuro come in presenza
di Gennaro, e lui aveva creduto di trovare nella storia d’amore con lei
lo scopo della propria esistenza. Proteggere quella fragile e giovane
donna e offrirle tutto l’appoggio di cui potesse avere bisogno,
divenne la sua ragione di vita. Sembravano fatti per stare insieme.
Amavano la letteratura, le poesie dei primi del novecento, e il rock
degli anni settanta. Il loro matrimonio iniziò sotto il miglior auspicio. I
due non vedevano l’ora di rincasare per ritrovarsi e approfittavano di
ogni momento libero per fare l’amore. Il tempo trascorso separati
causava a entrambi un’insistente sofferenza, un dolore quasi fisico.
Portavano avanti le rispettive professioni, dialogavano con altre
persone, ma c’era sempre una fitta, tenacemente presente, che si
placava solo ricongiungendosi con l’altro. Con il trascorrere degli
anni, però, quella che a lui sembrava una vita piena di soddisfazioni
a lei apparve come l’esistenza di una donna che si era limitata ad
assecondare l’uomo scelto come compagno, evitando di dare voce
alle proprie esigenze. Per qualche astratto motivo aveva ritenuto che
fossero meno importanti di quelle del marito e, rendendosi conto che
la sua caratteristica principale era l’essere diventata la moglie del
giovane imprenditore, si sentì pervadere da un acuto senso di
insoddisfazione. Lasciare Roma, per ricominciare una nuova vita nel
piccolo paese calabrese, fece il resto. Amalia amava scrivere ed era
riuscita
a
farsi
assegnare una piccola rubrica, pubblicata
settimanalmente su un quotidiano locale. Si occupava del calendario
degli eventi pubblici ai quali poteva partecipare tutta la cittadinanza:
l’inaugurazione di un nuovo negozio, l’organizzazione di una delle
tante sagre locali, i festeggiamenti per una ricorrenza particolare, il
corteo per il Santo Patrono. Insomma, non c’era mai niente di
autenticamente eccitante. Tutto quello che aveva creduto di odiare
della città , lo smog, il traffico, l’indifferenza della gente, l’anonimato,
iniziò a mancarle terribilmente.
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