Tokyo decadence – Ryü Murakami

SINTESI DEL LIBRO:
L’albergo è uno dei megagrattacieli di Nishi-Shinjuku e la piscina si
trova all’ultimo piano.
Sono una pittrice.
Ho fatto un’illustrazione per il dépliant dell’albergo e loro hanno
comprato una mia acquaforte per ciascuna delle ventidue suite. Da
allora, due o tre volte la settimana nuoto in questa piscina.
La piscina è piuttosto piccola, quindici metri di lunghezza, non
viene mai molta gente a causa degli ottomila yen del biglietto. È
bello nuotare guardando il panorama del secondo quartiere di Tokyo
dal trentatreesimo piano.
Nuoto sempre nei giorni feriali poco dopo mezzogiorno, ci sono
pochissimi clienti.
Ogni tanto incontro uomini occidentali. Piloti Alitalia. Parlano
inglese piuttosto bene ma d’altronde è normale, dato il loro lavoro.
Sono andata a letto con uno di loro. Era timido per essere un latino,
mi ha insegnato a nuotare a farfalla e abbiamo mangiato insieme
spaghetti alle vongole alla caffetteria dell’albergo. Lui ha detto
«Neppure i cani mangiano spaghetti così schifosi in Italia» e poi ha
sorriso come Gian Maria Volonté. Quel sorriso mi è piaciuto, e sono
andata in camera con lui.
Nevicava. Nella sauna a bassa temperatura di fianco alla piscina
un uomo piccolo di statura mi ha rivolto la parola.
«Eppure il Giappone è diventato ricco.» Stava seduto in un
angolo della stanza abbracciandosi le gambe, e io gli ho risposto in
modo vago. Ha continuato: «Viene spesso qui?».
Nella sauna la gente si sente più vicina, si sta in costume da
bagno, il sudore esce dalla pelle nuda, la diffidenza svanisce. Mentre
mi passavo la mano tra i capelli ho risposto: «Due o tre volte la
settimana».
«Pensavo ci fosse molta gente, invece non c’è un gran
movimento.»
Ho aggiunto che andavo lì da quasi un anno e che in quella
stagione c’erano pochi clienti. Quando non si può più nuotare
all’aperto sarebbe naturale usare la piscina coperta, ma non
succede. Solo d’estate è affollata, come dappertutto… L’uomo aveva
la pelle liscia. Non sembrava un impiegato. Poteva avere tra i trenta
e i trentacinque anni, forse due o tre meno di me.
«Se qui è sempre così vuoto d’ora in poi verrò in quest’albergo.»
Gli ho chiesto se di solito nuotava in un altro albergo, e lui ha
annuito.
«Immaginavo che ci fossero molte giovani donne qui.»
«E come mai?»
«L’ho sentito dire.»
«Da chi?»
«Da una giovane donna.»
Sulle spalle dell’uomo si formavano perle di sudore, e io guardavo
alternativamente le gocce che scendevano e che restavano sul suo
corpo.
Uscito dalla sauna l’uomo ha nuotato a stile libero per
cinquecento metri senza mai fermarsi. Lo stile non era bello, ma era
energico. Forse aveva imparato in mare.
«È bravo.»
Ci siamo seduti al bar accanto alla piscina, a fianco del bancone,
e abbiamo ordinato latte di cocco.
«Nuoto in modo goffo, vero?»
L’uomo ha chiesto a una cameriera con un papillon di aggiungere
del rhum al suo latte di cocco, ma non era possibile, non servivano
alcolici.
«Senta, lei è nato vicino al mare, vero?»
Mi sono messa un asciugamano sul ventre. Rispetto alle mie
coetanee non ho messo su pancia, ma non ho più un corpo da
adolescente, e poi avevo ancora nelle orecchie le parole dell’uomo:
«Da una giovane donna».
«Sono di Shikoku.»
Il corpo dell’uomo era sodo ma panciuto, avevo l’impressione che
quel grasso non fosse dovuto all’invecchiamento ma piuttosto a una
vita dissoluta.
«Sono una pittrice e xilografa.»
«Io ho una litografia di Rouault.»
«Le piacciono i quadri?»
«Sì, mi piacciono, ma se non ne avessi non ne farei un dramma. Il
Rouault l’ha comprato mia moglie.»
«Allora piace a sua moglie?»
«Sì, penso che le piaccia Rouault.»
Nel frattempo erano entrate in piscina due mamme con due
bambini. Le grida di gioia dei piccoli facevano a pugni con il latte di
cocco e la neve al di là del vetro spesso delle finestre. Mi davano
fastidio.
«Pensavo che lei fosse single.»
«Sono separato.»
«Le ho fatto una domanda indiscreta?»
«Niente affatto.»
Uno dei bambini, sui cinque anni, stava per affogare mentre la
madre si era distratta. Noi ce ne siamo accorti solo quando un
addetto si è buttato in piscina con la tuta ancora indosso. Non avevo
mai visto un bambino affogare. Aveva sicuramente cercato di
dibattersi con tutte le sue forze sotto il livello dell’acqua, ma non si
vedeva nulla, e ovviamente non si sentiva nemmeno la voce. E poi
gli spruzzi non attiravano l’attenzione, perché in piscina sono
normali. Quando l’hanno tirato fuori il bambino vomitava acqua e
piangeva forte. L’uomo, che guardava la scena senza cambiare
espressione, mi ha invitato a cena.
«È solo un dente cariato» ha cominciato a spiegare dopo la prima
bottiglia di vino. «Non ricordo quand’è successo di preciso. Mentre
masticavo una gomma quell’otturazione che sembrava di caucciù si
è staccata. Ho pensato che forse la mia dentista non aveva fatto un
buon lavoro, non mi fa male, ma mentre mangio mi entrano dei
pezzetti di cibo, sai? Mi dà molto fastidio.»
Eravamo nel ristorante sotterraneo dell’albergo e mangiavamo
uccelli selvatici, adatti a una serata nevosa. Io avevo ordinato un
fagiano cinese, lui un merlo.
«Cerco di togliere con la lingua quello che entra, È meraviglioso.
Appena tocco quel buco nel dente mi appare in testa un’immagine.
Lei che è un’artista dovrebbe conoscere bene le immagini e cose del
genere. Secondo lei cosa significa?»
«La lingua? Le fa vedere immagini? Non capisco.»
Mi sfuggiva la strana relazione tra la lingua e il buco nel dente di
quell’uomo.
«Allora cerco di spiegarmi da un altro punto di vista. Da quella
volta ho fatto un po’ di indagini. I ricordi sono immagini, vero?»
«Sì?»
«Per esempio ci sono canzoni pop di dieci anni fa che ci
rievocano il passato, no? Be’… ad esempio Hotel California degli
Eagles, ascoltando quell’introduzione di chitarra vengono in mente
ricordi dolci, non è vero?»
«Mi sono lasciata con un uomo quando quella canzone era in
voga.»
«Appunto, i semplici suoni ci ricordano il passato, ma allo stesso
tempo ci svelano le immagini di quei momenti. Quando ascolto una
canzone di dieci anni fa mi viene in mente quel periodo. E che dire
dei profumi? Il profumo Joy mi riporta alla mente l’immagine di una
donna. A lei non capita mai?»
«Sì, mi succede.»
Era vero. Io odio il profumo Aramis perché lo usava l’uomo che ha
ferito il mio orgoglio. Soffro ancora a pensare che il mio corpo abbia
goduto per la prima volta con lui. Ormai non lo vedo più. Eppure
l’Aramis me lo ricorda e mi dice che l’uomo che in quel momento ho
di fronte è un’altra persona.
«In America hanno già fatto esperimenti, ed è in fase di sviluppo
un’attrezzatura che ti può procurare ogni genere d’esperienza. Detto
in poche parole, tutti i nostri ricordi, inclusi immagini, suoni, odori,
sapori, senso di caldo e freddo, sono oggetti reali che riposano nella
nostra mente. Durante l’esperimento il cervello delle cavie è stato
stimolato con impulsi elettrici, che hanno generato una serie di
ricordi che sono passati davanti ai loro occhi come un film. Questo
significa che sono riusciti a trovare la regione del cervello in cui
dormono i ricordi. Ma ora viene il bello: tutte le persone sottoposte
all’esperimento hanno visto immagini che non corrispondevano a
nessuno dei loro ricordi.»
«Ma oggi esistono i film, la televisione e i libri.»
«Per questo il gruppo di ricerca ha scelto indiani d’America che
vivono nelle riserve del Nordovest, eschimesi dell’Alaska e indios
degli altipiani messicani: tutti individui che vivevano in zone isolate
dalle quali non erano mai usciti, dove non c’erano né televisione né
cinema. Inoltre erano analfabeti. Eppure hanno parlato con
naturalezza di ricordi dell’Egitto o dell’Amazzonia che non potevano
essere loro, di eventi che sembravano risalire a prima dell’era
glaciale, di dinosauri giurassici o del Giappone medievale.»
«Mi fa un po’ paura.»
«È strano, no?»
«E cosa significa?»
«Nessuno ha saputo dare una spiegazione definitiva.»
«Ricordi di una vita precedente?»
«C’è anche dell’altro… ma la sto annoiando?»
«No, mi interessa molto.»
«Hanno raccolto dati relativi a quale parte del cervello produca
una certa immagine una volta stimolata, li hanno analizzati al
computer e ora sono in grado di procurare qualunque tipo di
esperienza.»
«Cioè?»
«Una persona costretta a letto da un problema alla schiena, per
esempio, non può andare da nessuna parte. Ma con la sola
stimolazione del suo cervello attraverso impulsi elettrici anch’essa
può fare qualsiasi esperienza. Ed è possibile ottenere lo stesso
effetto anche con individui allo stato vegetativo. Studiando il loro
encefalogramma sembra proprio che alcuni di questi pazienti stiano
sognando, e dunque si possono procurare anche a loro varie
esperienze. Non solo immagini, ma anche sapori e odori.»
«E la lingua? La sua, intendo.»
«La mia lingua funziona come quella macchina per fabbricare
sogni con tanto di suoni, odori, sapori e sensazioni di caldo e freddo.
Prima di sapere di questi esperimenti in America temevo seriamente
di essere lì lì per impazzire.»
«Cosa fa la lingua?»
«Quando tocco il buco con la lingua mi appare lentamente una
visione, che varia a seconda di ciò che è entrato.»
«Vede anche delle donne?»
«Le vedo quando ci entrano pezzetti di uova di pesce. Be’, sono
donne diverse a seconda che si tratti di uova di caviale o di salmone.
È strano, a volte mi capita addirittura di venire.»
Il piatto di fagiano cinese guarnito di salsa bruna emanava un
odore di sangue e fegato di uccelli selvatici.
«Senta, non ho ancora capito bene cosa fa la lingua.»
«Allora le parlerò di una mia esperienza recente. Ok?»
«Perché me lo chiede?»
«Si tratta di un racconto osceno.»
Ho risposto che non c’era problema. La seconda bottiglia di vino
era quasi finita.
A causa dei carciofi e dei granchi del cocco serviti come
antipasto, uno strano essere ha cominciato a formarsi davanti ai miei
occhi e nella mia pancia. I morbidi organi interni dei granchi, con
l’amarezza pungente delle loro vischiose gonadi gialle mescolate al
vino nella mia bocca, si riproducevano come una sostanza vivente
invece di essere schiacciati e ridotti in poltiglia. Una creatura che si
rivestiva del tessuto interno della tartaruga marina e succhiava fibre
dense come fossero latte di carciofi. Si muoveva con migliaia di
zampette sputando un liquido appiccicoso, tastando attorno a sé con
antenne coperte di sottili peli.
Ero come posseduta da questo animale.
«Mi è successo quando ho mangiato ricci di mare. Sono andato al
ristorante di sushi vicino all’ufficio con i colleghi e ho preso ricci di
mare. Erano ricci freschi pescati sulla costa occidentale di
Hokkaido.»
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