Ti voglio credere – Elisabetta Bucciarelli

SINTESI DEL LIBRO:
Camminava sul ponte di viale Forlanini. Ingresso a Milano. Un raggio di
strada urbana a tre corsie che porta dall'aeroporto di Linate a piazza
del Duomo. Il benvenuto della citta al forestiero, al turista, al pendolare.
Lambisce il parco e le piste di atterraggio degli aerei militari. Non c'e
metropolitana. Si dice che la lobby dei tassisti non l'abbia mai
permesso. Solo un autobus. Lo vedi per forza quel ponte dal colore
insolito. Viola. Il Calatrava dei poveri. Traghetta il sobborgo affollato al
picnic della domenica. Transito consentito solo a biciclette, pedoni,
passeggini.
Si è issata sul bordo scivoloso. Ha guardato avanti. E ha spiccato
il volo. Non ci ha messo molto a schiantarsi al suolo. L'hanno
vista alcuni passeggeri del Roma-Milano che era appena atterrato
a Linate. «Non c'era nessuno sul ponte insieme a lei. Era sola» ha
riferito il conducente di una macchina. Si pensa quindi a un
suicidio.
La notizia e stata data cosı.
Poi il giornalista aggiunge che si tratta di una donna, molto giovane.
Magari aveva solo perso l'orizzonte, pensa l'ispettore di Polizia Maria
Dolores Vergani, mentre spegne la radio. Ancora tutto da capire e
qualche indagine da fare, ma questa volta non sara della Vergani il
compito di seguire il magistrato che aprira il fascicolo. Dovra pensarci
qualcun altro.
02
C'e un grande mazzo di calle spalancate. Nel vaso, a terra, vicino al
divano. Rose bianche e margherite. Cinque piccoli mazzolini di
mughetto. Ellebori, orchidee, anemoni, peonie. Tulipani. Magnolie fuori
stagione. Un misto di ef luvi. Petali composti, leggeri. Steli aiutati da un
invisibile ilo di ferro. Ritti, fermi.
Peso meno di cinquanta chili. L'altezza e la stessa di sempre. Un
metro e settantacinque. Non mangio quasi niente. Dormo poco. Mi
muovo anche meno. Sfondo la poltrona senza peso. Per il fatto solo di
starci. In continuazione. Guardo i quadri al muro, che conosco da
sempre. Distinguo la sovrapposizione delle pennellate. Il velo dei colori.
La differenza tra un verde e l'altro. Tra un nero e un nero. Ripasso a
mente tutto. L'inizio, il percorso. La ine. Nello spazio di una sigaretta,
un incidente. O una volonta.
Ogni iore ha un biglietto. Tutti rigorosamente chiusi. Uno sopra
l'altro. Una pila. Sul tavolino del salotto. Credo di doverli aprire. Almeno
la cortesia di rispondere. Dalla poltrona li osservo e mi pare siano stati
comprati tutti dallo stesso iorista. Qualcuno contiene un foglio spesso,
ripiegato. Qualcuno solo un cartoncino. Carta ordinaria, bianca,
diplomatica. Sono a portata di mano. Ne prendo uno, poi gli altri. Li
tengo in grembo. Come se li cullassi. Li soppeso. Poi mi decido. Apro.
Conto una ventina di Grazie. Nomi a coppie. A volte tre per
cartoncino. Piccoli disegni. Una casetta. Una famiglia. Un albero. Un
cuore. Altri anonimi. Tutti bianchi. Un rigore abbandonato da tempo.
Una purezza impossibile. Ho tutto il tempo che voglio per rimetterli al
loro posto. Ognuno nella propria busta.
03
Era andata cosı. Stavo salendo. Piano. Con il mio passo stabile. Tenevo
la mano destra in tasca. Ho visto il bosco cambiare. Prima folto. Poi
sempre piu aperto. Meno alberi, piu radure. Rocce e vetta all'orizzonte.
Ero gia stata in quel posto. Indagavo non autorizzata su un caso di
pedoilia e a notte fonda mi ero ritrovata sul ciglio della strada. Un
bastone. Ero stata colpita alle spalle. La testa rotta, sanguinante. Contro
ogni regola, sono tornata ancora lı. Per capire. Veri icare. Una
passeggiata in un giorno festivo, fuori dall'orario di servizio.
La mano in tasca teneva stretto il manico del coltello. Non porto mai
la pistola. Mi basta un serramanico. Lungo quanto serve.
Salivo. Adagio. Guardando avanti. E lı che l'ho visto. Senza
riconoscerlo. La mia mano ha fatto scattare la lama. Che ha lacerato la
tasca dei pantaloni e si e appoggiata alla coscia. Tagliandola in
supericie. Non l'ho estratta.
Governa l'istinto, mi sono detta. Ho sentito male, ma ho permesso al
freddo dell'acciaio e alla ferita di rimanere incollati. Ancora qualche
passo. E mi sono fermata.
Lui stava di fronte. Molto piu in alto. Le gambe leggermente aperte.
Le braccia muscolose. Con calma ha messo in posizione di tiro il grande
fucile da caccia. L'ha appoggiato sulla spalla, l'ha puntato verso di me,
ha preso la mira. Fermo, immobile. Io anche. C'era silenzio. E diversi
secondi in mezzo. Poi l'uomo si e fatto tensione. Come un arco. Una
frazione e ho sentito partire un colpo.
Mi sono girata, forse per schivarlo, forse perche ho sentito qualcosa.
Mi sono girata. Forse non volevo guardare la morte in faccia. Mi sono
girata. Una volta sola. D'istinto. Ho colpito. Un gesto nuovo. L'ho fatto.
Ho estratto dalla tasca il coltello e l'ho affondato nella carne. Fino in
fondo. E la mano e il sangue si sono incontrati. Ho ammazzato. Tolto la
vita. Ucciso. Ma chi?
Non sapevo chi fosse dietro di me. La paura sembrava solo davanti.
Quell'uomo. Quel fucile. Dietro c'era un passato. I miei pensieri. Il
fruscio delle foglie. Il vento. Una sensazione di attacco. Qualcosa da cui
dovevo difendermi.
Penso questo, ma non sono certa che sia la verita. La sto cercando, da
questo posto fermo, per essere libera di scegliere. Per diminuire la
colpa che sento.
04
L'ispettore Maria Dolores Vergani non c'e. Non entra nelle sede centrale
della Questura di Milano tutte le mattine. Non saluta con il cornetto alla
crema che le spolvera i vestiti neri di zucchero a velo. Non guarda,
sfacciata e intelligente, gli occhi dei maschi. Non concede il buongiorno
all'ispettore Pietro Corsari e neanche al collaboratore di sempre, il
poliziotto Achille Maria Funi. Il suo uf icio e ancora lı. Nessuno vuole
occuparsi di sgomberarlo. Le poche opere d'arte alle pareti. I libri
impilati. Le carte sulla scrivania. Perino la foto del pastore tedesco fa la
guardia alla sedia vuota. E spesso il telefono squilla, per errore del
centralinista. Troppo abituato alla sua presenza. Come accade per certe
persone quando sono morte. O quando sono andate via. Rimangono
solide al loro posto. Mai piu viste. A distanza. Come se da un momento
all'altro si potesse ancora vederle, sentirle, toccarle. Come se
ritornassero, ancora.
La Vergani era stata sospesa dal lavoro di ispettore di Polizia. La
seconda sospensione della sua vita. La prima dall'albo degli psicologi,
al suo esordio di psicoterapeuta. Una giovane paziente instabile le
aveva confessato la volonta di uccidere il idanzato violento. Lei,
convinta di avere tutto sotto controllo, non ne aveva parlato con il
supervisore. Ma la ragazza faceva sul serio e aveva portato a
compimento il proposito. Superbia o supericialita, per la dottoressa
era scattata la sanzione. Si era rimessa in gioco con un concorso in
Polizia. Vinto, senza troppe dif icolta.
Ora, invece, era stata sollevata dal lavoro di ispettore di Polizia
perche indiziata di omicidio volontario. Cio che capita nella vita non e
mai completamente casuale. Ogni volta lei aveva operato la sua piccola
trasgressione. Piccola o grande. Comunque fuori margine. Ogni tanto,
nella globale perfezione del suo essere, accadeva una stonatura. Che le
apriva strade nuove. Ma chiudeva a scatto alcuni percorsi importanti.
Al momento dell'arresto, non era in servizio, era in pessime
condizioni di salute e si era avvalsa della facolta di non rispondere. Per
un breve periodo, aveva scrutato le pareti di un'infermeria nel carcere
di Aosta. Poi era tornata a casa. Non la sua, ma quella dei genitori. Agli
arresti domiciliare. Glieli avevano concessi perche non esisteva alcun
timore che inquinasse le prove. Perche nessuno temeva che si desse
alla macchia e nemmeno che si togliesse la vita. In piu, stava male. E nei
giorni seguenti lo stato psicoisico era peggiorato.
Ora era in blocco. Senza possibilita di seguire indagini. Di ascoltare e
fare domande. Di spartire le ore della giornata con chi, come lei, era alla
ricerca delle ragioni tangibili. Oppure di un senso.
05
«Diciannove denti. Ne abbiamo cosı tanti?». Il poliziotto Achille Maria
Funi e seduto davanti all'ispettore Pietro Corsari. Possiedono
un'estetica differente. Abitudini che hanno plasmato i corpi in direzioni
opposte. I muscoli ben disegnati di Corsari. La morbidezza nel girovita
sotto la camicia del Funi. I capelli invasi dal gel per seguire le linee del
barbiere da una parte. Il randagismo tricologico dall'altra. Profumo di
la. Odore di qua. Gli sguardi aperti, le parole necessarie di entrambi.
«Ha cavato diciannove denti senza un motivo. Neppure cariati»
aggiunge il Funi leggendo una denuncia. «Senza motivo?»
«Gia. E non solo a questo poveretto che ha fatto la denuncia. Pare che
negli ultimi anni le estrazioni siano state piu di trenta, per un totale di
svariate centinaia di premolari, molari, incisivi, canini».
«Pero» commenta Corsari, senza dare molto peso alle rivelazioni. Il
poliziotto coglie l'atteggiamento e replica: «Ispettore, certa gente se ne
approitta e fa quello che gli pare, se non stai attento ti fregano».
«Lei, Funi, capisce sempre i motivi del perche si fanno certe cose?»
filosofeggia.
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