Sulla Transmongolica – Mauro Buffa

SINTESI DEL LIBRO:
Il volo da Verona per Mosca partirà in orario. Durante lattesa mando unultima
email a casa. Nelle prossime settimane non potrò più farlo dal mio smartphone,
per via dei costi. «Dallestero il collegamento internet è carissimo. Le prosciuga il
conto» mi ha detto la commessa, vendendomi quel gioiello della tecnologia più
avanzata disponibile sul mercato. «Nessun problema invece per gli sms, sono un
po’ più cari, ma non troppo». In qualche modo riuscirò a comunicare, almeno
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inché starò in Russia o quando arriverò in Cina. In Mongolia chissà.
Alle quindici e trenta laereo atterra puntualmente allaeroporto
internazionale di Domodedovo. Lattesa allimmigrazione dura meno del
previsto. La maggior parte dei passeggeri si mette in fila davanti allo sportello dei
cittadini delle ex repubbliche sovietiche, lasciando a noi dellUnione Europea
ampio spazio e tempi ragionevoli. Lautista mandato dallagenzia ci attende con
un cartello. Il mio nome è scritto con un pennarello rosso. Siamo pronti per
entrare in Russia. Per i miei due compagni di viaggio, Federico e Claudio, è la
prima volta. Io ci torno a due anni di distanza dal mio viaggio sulla Transiberiana,
ma non sono preparato al clima che trovo allesterno. Lo avevo letto sui giornali,
certamente, ma ora sono immerso nelleccezionale ondata di caldo che soffoca la
regione di Mosca con temperature oltre i trenta gradi e un alto tasso di umidità.
Lautista ci accoglie ironicamente: «is is not Russia, this is India!». I giornali
scrivono che un fenomeno simile era accaduto centotrenta anni prima, quindi
non a memoria duomo. Tutti pensavano che sarebbe durato poco, ma va avanti
già da più di una settimana. A causa del clima secco sono scoppiati incendi che la
protezione civile stenta a fronteggiare. Non ci sono abbastanza bacini idrici per
fornire lacqua necessaria. Le notizie parlano di alcune decine di vittime e villaggi
evacuati alle porte di Mosca. Saliamo nellautomezzo dotato di aria condizionata.
Lappuntamento con il caldo umido è rinviato. Ci vuole unora per arrivare ai
nostri alloggi nel centro di Mosca. Siamo a pochi passi dal ministero degli Esteri,
uno degli edifici più imponenti di Mosca, fatto erigere da Stalin. Lagenzia ci ha
sistemati in due appartamenti a distanza di un isolato. Io e Federico prendiamo
possesso di quello di ulitsa Panfilovsky. Il portone dingresso è dotato di
combinazione e si apre come una cassaforte. A ogni piano cè la botola per
limmondizia come nei nostri condomini degli anni Sessanta. Lappartamento è
al terzo piano. Un ampio atrio, soggiorno con televisore, stanza con letto
matrimoniale e lettino per il bebè, una cucina abitabile e arredata con mobili
moderni. Il bagno, invece, è piccolo e, incredibilmente, ha il riscaldamento acceso
giorno e notte. È come entrare in una sauna. Allinterno dellappartamento cè un
hotspot wi-fi, con una password si può navigare gratuitamente con il proprio PC e
anche le telefonate nazionali e internazionali sono gratuite. Ne approfittiamo
mandando email, sms e facendo telefonate che, a pagamento, non faremmo mai.
Due giorni dopo quel servizio gratuito ci tornerà utile.
Dopo esserci sistemati andiamo a piedi fino allArbat. La via degli artisti offre i
suoi soliti spettacoli di strada. Una suonatrice di cetra diffonde delle note mai
sentite prima. Due uomini giocano contemporaneamente una partita a scacchi e
una a dama, attorniati da un piccolo pubblico. Un sosia di Lenin sosta davanti alla
casa dove visse Puškin e chiacchiera amabilmente con unaristocratica in costume
settecentesco, probabilmente unimitazione di Caterina la Grande. Proseguiamo
a piedi e dopo unora arriviamo davanti al teatro Bolšoj. In un ristorante
allaperto consumiamo la nostra prima cena a Mosca, per poi girovagare a lungo
nei dintorni del Cremlino. Alluna di notte, davanti alla Biblioteca Lenin, un
termometro digitale segna trentacinque gradi. Anche la grande statua di
Dostoevskij, collocata di fronte, sembra sudare.
Il caldo opprimente non cessa neppure durante la notte. Non riusciamo a
riposare. Il mattino seguente siamo poco propensi a camminare per le strade
assolate di Mosca e così decidiamo di andare a visitare la Galleria di Stato
Tetriakov.
La metropolitana offre un provvisorio rifugio dalla calura della superficie. Ma
dobbiamo percorrere ugualmente un lungo tratto a piedi per arrivare a
destinazione. Le indicazioni della mappa che abbiamo trovato nellappartamento
non sono chiare o non sappiamo leggerle bene. Sono scritte in caratteri cirillici,
come tutto quanto a Mosca.
Kandinskij, Chagall e altri artisti del Novecento sono esposti in un edificio
dalle volumetrie gigantesche. Alcune installazioni hanno un carattere dissacrante,
come Lenin che pubblicizza la coca-cola. Ma ci sono anche dipinti e filmati
inneggianti alla vittoria nella grande guerra patriottica. Unampia vetrata
dellimmenso palazzo dà sulla Moscova e, sulla sua riva, mi lascia sbalordito la
vista del monumento a Pietro il Grande. Un enorme veliero fa da piedistallo alla
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gura del sovrano riformatore che impugna il timone con una mano e con laltra
una pergamena. Il monumento è alto novantaquattro metri ed è stato voluto dal
megalomane sindaco di Mosca, Luzhkov, nel 1997. Tramontati i leader
comunisti, si vanno a riesumare gli antichi zar.
Dopo due ore usciamo allaperto. La morsa del caldo non si è allentata.
Cerchiamo un po’ dombra nel parco sul retro. Non è un parco qualsiasi.
Disseminate tra gli alberi, lungo i vialetti, in mezzo alle aiuole di erba giallastra
bruciata dal sole, ci sono delle sculture in gesso e in bronzo di eminenti
personaggi di epoca sovietica. Un mezzobusto di Stalin e due o tre Brežnev, ma la
statua che più attira la mia attenzione è quella di Dzeržinskij, il fondatore della
Čeka, la polizia politica bolscevica. La statua era stata rimossa nei giorni della
caduta dell’URSS. Sorgeva davanti alla Lubianka, sede del KGB, che il popolo
chiamava “hotel con vista Siberia”. Sulla statua sono ancora ben visibili gli spruzzi
di vernice gialla con cui i manifestanti lavevano imbrattata. Ora è di nuovo in
piedi in questo magazzino a cielo aperto e, seppure non tornerà più in auge, la sua
memoria sopravvive in qualche modo attraverso ununità délite della polizia
russa che porta il suo nome.
Andiamo a pranzare in un fast food della catena Kroska Kartoshka. ualche
piatto della cucina tradizionale russa sopravvive accanto a patatine fritte e
hamburger. Allinterno del locale fa freddo, laria condizionata gela il sudore sulla
pelle, ma ugualmente risulta difficile assaggiare una zuppa calda dopo essere stati
immersi nel clima torrido di questa estate moscovita.
uando usciamo è da poco passata luna e il caldo è al culmine. A pochi passi
scorgiamo lingresso monumentale di Gorkij Park. Con pochi rubli acquistiamo i
biglietti per entrare. Il parco si estende lungo la Moscova ed è frequentato in
questo giorno di festa. I bambini sguazzano felici nei giochi acquatici. Noi
cerchiamo semplicemente un po’ di ombra. Mi siedo sotto un albero con un
bicchiere di kvass
1 freddo e lascio trascorrere il tempo pigramente. Claudio e
Federico dormicchiano sullerba. Nel tardo pomeriggio la calura si attenua, perciò
lasciamo il parco per andare al convento di Novodevičij. Il convento, patrimonio
dellumanità, è a pochi passi dalla stazione vicino alla quale sorge lo stadio in cui
2e lo Spartak, due dei quattro club calcistici della
oggi si gioca il derby tra il CSKA
capitale.
3 Sulla linea della metropolitana n. 1, in direzione Sportivnaja, sono
schierati reparti della polizia che sorvegliano i treni e lafflusso dei tifosi. Tutti
portano le sciarpe rosse blu e bianche del CSKA. Un piccolo gruppetto di ragazzi,
tenuto isolato e protetto dalla polizia, indossa le sciarpe bianche e rosse dello
Spartak. Guardano in silenzio i tifosi avversari che intonano cori e battono le
mani ritmicamente. Ogni inno o slogan termina con «CSKA, CSKA!». I treni si
susseguono a breve distanza di tempo, ma oramai trasportano solo tifosi urlanti
pressati allinterno come pesce in scatola. Sarebbe saggio girare alla larga perché le
risse nella metropolitana in queste occasioni sono frequenti e pericolose, ma ci
uniamo ugualmente a loro e scendiamo tutti insieme a Sportivnaja. Allesterno
attendono gli Omon, le unità speciali antiterrorismo del ministero dellInterno,
sempre presenti quando lordine pubblico viene minacciato. Ma latmosfera è
festante e non si avverte tensione. Restiamo un po’ a guardare i tifosi. Ci sono
anche delle ragazze che ridono e scherzano, agitano le sciarpe e bevono birra. In
direzione opposta allo stadio sorge il convento. È chiuso, ma anche dallesterno si
possono ammirare le cupole seicentesche, le torri merlate e laltissimo campanile
ottagonale. Mi riprometto di tornare il giorno dopo.
A sera camminiamo per ore, raggiungendo a piedi Kitai Gorod, lo storico
quartiere dei commercianti di Mosca. Le sue strade notturne senza traffico fanno
pensare di non essere più nella caotica metropoli, ma nelle antiche vie di altre
capitali dellest, Praga o Budapest. In un vicolo troviamo un piccolo ristorante
dalla luce soffusa che un gruppo di studenti francesi rende chiassoso e allegro. I
miei compagni assaggiano le zuppe russe.
Tornando sui nostri passi, incontriamo due ragazzi con la sciarpa dello Spartak
al collo. Chiedo il risultato del derby, mi dicono che hanno perso due a zero.
Arriviamo davanti allimponente palazzo dei magazzini GUM. Unocchiata
allinterno della galleria mi basta per constatare quanto già sapevo. Era stato il
centro commerciale che esponeva il meglio della produzione sovietica, ma ora
tutti gli spazi sono affittati alle griffe occidentali e tutto è omologato. Pochi passi
più avanti la Piazza Rossa di notte offre uno spettacolo che appaga la vista e il
cuore. È illuminata a giorno e quasi deserta. Le mura del Cremlino sembrano
dipinte ad acquerello.
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