Ritratti d’artista – Susan Vreeland

SINTESI DEL LIBRO:
Jérôme non aveva voglia di andare alla festa che sua sorella
avrebbe dato quel pomeriggio in giardino. Non aveva voglia di
mostrarsi cordiale con quella accolita di gente eterogenea che erano
i
suoi vicini di Montmartre, né di sedersi sul muretto di pietra che si
andava sbriciolando, in mezzo al ronzio degli insetti, in quel giardino
semiselvatico, a bere l’aspro vino rosso degli ultimi vigneti incolti di
Montmartre e a scambiare stupide chiacchiere con qualche stagnaio,
calzolaio o pittore che Claire avrebbe invitato.
«Ma questa è la seconda volta che ce lo chiede», disse Élise,
sorseggiando il caffè nella sala da pranzo inondata di sole mentre la
piccola di quattro anni faceva ballare una bambola di carta intorno
alla scodella di pappa d’avena. «Penserà che la disprezzi».
Jérôme voleva bene alla sorella, ma avrebbe preferito
rimanersene tutta la mattina in vestaglia a leggere Baudelaire e
Verlaine, il suo metodo, in verità non molto efficace, per non cadere
in depressione, e poi trascorrere il pomeriggio passeggiando con
Élise e Mimì lungo uno dei nuovi maestosi boulevard del barone
Haussmann, un’escursione che l’avrebbe fatto sicuramente sentire
più espansivo. Magari un bel pranzo da Chez Edgard l’avrebbe
aiutato a scrollarsi di dosso quel malessere misto a tristezza che ora
provava. Poi sarebbero tornati a casa passando per le Tuileries, o
avrebbero attraversato il fiume per andare ai giardini del
Lussemburgo, senza dover rivolgere la parola a nessuno.
In banca gli toccava stare tutta la settimana con la gente,
ostentando un atteggiamento cordiale con i clienti e con Monsieur le
directeur, sebbene non ci fosse alcuna traccia di cordialità in lui. Non
vedeva che pareti grigie, scrivanie grigie, registri grigi, vestiti grigi e
capelli grigi. Il giorno precedente si era trovato faccia a faccia con il
direttore e, senza nemmeno ascoltarlo, aveva notato solo il grigiore
malato della sua pelle. Avrebbe voluto urlargli in faccia, maledire
quella monotonia e poi precipitarsi fuori dalla porta e non tornare mai
più.
Ultimamente provava una sorta di delusione nei confronti della
vita, un’amarezza che derivava da tutto e da niente, un risentimento
privo di ogni ragione logica, perché in realtà possedeva tutto ciò che
un uomo poteva desiderare – eccetto un certo qualcosa che non
riusciva a identificare. Quel mattino era rimasto scioccato dalla forza
oscura di quell’ironia. Si era svegliato e, nell’istante stesso in cui
s’era reso conto che era sabato, un pensiero che avrebbe dovuto
rallegrarlo, non era riuscito ad aprire gli occhi. Erano rimasti come
incollati. Con un brivido di panico aveva compiuto uno sforzo
cosciente per sollevare le palpebre, ma la secchezza delle mucose
le aveva sigillate e tutto quello che gli era riuscito di fare era stato
sollevare le sopracciglia. Era rimasto a lungo disteso, disorientato,
prima di avere la forza di riprovare. Un occhio gli si era aperto in
parte, con un lieve schiocco, mentre aveva dovuto sollevare la
palpebra dell’altro col polpastrello dell’anulare. Un’esperienza
assurda. Sarebbe stato ridicolo attribuirle un qualunque significato.
Tuttavia voleva scacciare il timore che si potesse ripetere facendo
qualcosa che lo assorbisse totalmente, come pensare a qualcosa di
meraviglioso – come leggere poesia.
Finito il caffè, notò gli occhi azzurri di Lise, lucenti e pieni di
speranza. «Va bene, ci andremo», disse, non del tutto sicuro che si
sarebbe comportato in modo molto socievole.
Mimì saltò giù dalla sedia allargando le braccia. Poi si mise a
sollevare e abbassare prima un braccio e poi l’altro. «Possiamo
andare a vedere i mulini, papà?»
«Naturellement». Accarezzò la testa di Mimì e sentì scivolare tra
le dita i lunghi riccioli biondi della bambina, lisci come fili di seta.
Di sopra, in camera da letto, sprofondato in poltrona, ebbe il
tempo di leggere una poesia, prima che Élise si sedesse davanti allo
specchio della toilette per pettinarsi e prepararsi. Allora avrebbe
iniziato a parlare e il pensiero poetico sarebbe svanito.
C’est l’Ennui! – lesse – l’oeil chargé d’un pleur involontarie. Una
lacrima involontaria. E per che cosa? Forse perché Baudelaire non
riusciva a riconoscere la bellezza del presente? Perché la vita era
troppo bella? Perché tra un istante la seta della vestaglia di sua
moglie sarebbe potuta scivolarle giù, scoprendo i seni torniti e lisci, e
lui avrebbe sentito il suo dolce profumo di muschio? Non aveva
alcun senso.
«La vita è bella», aveva affermato suo padre l’ultima volta che lo
aveva visto, ridacchiando prima di aggiungere: «Ma è migliore se
non si deve lavorare per vivere». Questo da un uomo che aveva
passato la vita dietro a una scrivania senza mai lamentarsi, fino a un
mese prima di morire. La dichiarazione di suo padre avrebbe dovuto
renderlo consapevole di qualcosa di importante e invece gli si era
radicato dentro quel malcontento.
Era forse un romantico immaturo e viziato, sopraffatto dal pensiero
che la vita fosse più misera, più meschina e più noiosa di come
l’avrebbe fatta lui se fosse stato il Creatore? Il proprio avvilimento lo
disgustava, lo disgustava che gli si attaccasse addosso come un
odore sgradevole, che si acquattasse come un ladro in qualche
intimo recesso, così in profondità da non riuscire a scuoterselo di
dosso. Se solo suo padre fosse vissuto un altro paio di mesi, gli
avrebbe potuto chiedere se non si fosse mai sentito così.
Élise entrò, avvolta nella vestaglia svolazzante. «Non avrei potuto
sopportarlo se oggi avessi insistito a rimanere in casa». Quando si
guardava allo specchio, sulla guancia sinistra le compariva una
fossetta. «Il panorama dal giardino di Claire e Paquin sarà
meraviglioso».
Accese il fornelletto a spirito posato sulla toilette per scaldare
l’arricciacapelli. «Forse potresti lasciare a casa la tua malinconia e
tirare fuori un po’ di allegria».
L’aveva punto sul vivo con quelle parole. Suo padre era morto solo
da due mesi. Non era giusto. Di sicuro non l’avrebbe detto se avesse
saputo che i suoi occhi quel mattino non si erano aperti. Voleva
dirglielo, quel giorno stesso. Voleva che lei vedesse il suo stato
d’animo come qualcosa di estraneo alle sue azioni, come se
un’involontaria tristezza gli si fosse rovesciata addosso, opprimente,
funesta. Lei lo avrebbe confortato, ne era certo.
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