Reality – Cosa è successo – Giuseppe Genna

SINTESI DEL LIBRO:
Giriamo la no e divorati dal fuoco, consumati dalla vita e dall’ansia
di non essere più noi giriamo e giriamo, per la ci à concentrica
giriamo e facciamo questo: guardiamo.
Siamo a oniti.
Guardiamo l’uomo, vediamo dio, che è ogge ivo. Sono i giorni
della piaga, della piaga celeste e terrestre. Non sappiamo più cosa sia
la terra, il cielo è basso la no e quando giriamo per le strade
camionali deserte, spe rali so o i grandi lampioni a led che creano
una polvere di luce arancione e fredda, sembriamo alieni lungo i
Navigli che a raggiera escono dal perimetro e irrorano le campagne
chimiche. I Navigli di Leonardo da Vinci fumano nella no e gelida e
svuotata, la loro acqua è pesante e nera, a gorghi lenti in superficie, e
sugli argini corrono i grandi ra i oscuri dalla vita misteriosa. La
nebbia confonde le nostre solitudini in questo hinterland in
vetrocemento, nei prati di erba gelata tra i tronconi delle tangenziali.
Abbiamo in vista la ci à Milano, la ci à divina, è una raggiera, un
sistema circolare, adagiata su un piano infossato che contribuisce
all’insalubrità dell’aria e vive da sempre le sue celebri epidemie
dimenticandole, chiusa nelle mura a cerchio, mura medioevali in
co o annerite dallo smog di tu o il Novecento, infiniti lazzare i e
cimiteri a fosse comuni, secoli di morti per pestilenze mai debellate,
corpi infe i a migliaia murati nella calce so oterra, ossa degli
appestati ad adornare le pareti delle chiese in centro, obliati i
comitati di salute pubblica, muti nei secoli i cardinali che hanno
tuonato dal Duomo – la ca edrale al centro delle cerchie
concentriche ci acceca – e l’idea stessa dell’epidemia solo da poco
fa a fashion, fa a food, fa a design, in un tempo recente e friabile.
Una metropoli che si è gli erata nell’ultimo decennio, una pandemia
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del consumo veloce, il piombo reso oro atomicamente instabile. La
capitale immorale della nazione Italia, ma priva delle dolcezze
italiane, disa enta e a ra iva, dieci milioni di turisti l’anno. Produce.
Produce e produce. Le sfilate so o i fari numinosi sulle passerelle, le
top lunari nella luce assoluta dei défilé, gli chef master che si
affacciano dalle tv, è la capitale delle tv private, patria dei premier
più contestati e ambigui. Milano a ondate ele riche si accende e la
guardano le metropoli del pianeta.
E adesso è buia.
Lo scri ore va e vede, lo scri ore sono io. Chino sul serbatoio
della Vespa male in arnese, lungo la pista del viale a tre corsie
dall’aeroporto civile punto al centro di quest’urbe indecente che non
si illumina, io sono l’unico mezzo circolante, anche in direzione
contraria non c’è nessuno, vado a penetrare le mura della ci à dal
passaggio a sudest de o “I tre ponti”, provenendo dallo scalo
ci adino di Linate all’undicesima se imana dell’anno, al ventesimo
giorno del contagio, ora che tu o è chiuso, ora che tu o è rivelato.
Ogni giorno della pandemia illumina i precedenti, distorce le
percezioni che avevamo del contagio, ne ridevamo, erano i cinesi
all’inizio, abbiamo dimenticato ogni cosa, ogni data. Viviamo solo
adesso. Viviamo in a esa che il premier e le infinite autorità preposte
ci parlino, dai social, dai vecchi televisori al plasma, ci chiudano
ancora un poco di più, un poco di più, ci so raggano qualche
grammo ancora di libertà. È dolce e senza memoria perdere le libertà
un poco alla volta.
Sui tabelloni ele ronici delle autostrade mentre punto verso il
centro pulsano le scri e arancione freddo NON VIAGGIATE.
Sono uscito verso le tangenziali per apprezzare il profumo dei
tubi di scappamento che non c’erano, per credere nell’invisibile,
fosse dio o fossero le molecole di virus poco importa, qualunque
invisibile mi va bene, sono uscito per vedere sospesi sopra l’erba
medica e la veccia gli stracci dei sacche i in cellophane lacerati nelle
zone di mezzo tra statale e tangenziale, gonfiati dall’aria primaverile,
che gela di colpo. Voglio vedere tu o. Vedo tu i: non c’è nessuno.
Ho il muco nei polmoni, io, tossisco respirando con lo spasmo,
l’asma mi prende, a volte uso il Ventolin, fumo come non mai, inalo i
ba eri che tossisco nel casco integrale, c’è un odore ba erico
dell’alito, non sono andato a fare il tampone, potrei avercelo
addosso. Tossisco da tre mesi senza febbre e di giorno in giorno mi
vedono nei soprassalti della raucedine, ho gli accessi, nessuno mi
badava a inizio marzo, ma ora si allontanano spaventati, adesso
stanno iniziando a biasimarmi. La tosse è una colpa…
Raggiungo i massimi chilometri orari verso Milano la collassata. È
un infarto della ci à vetrina. Gli Airbnb non sono andati in crisi: non
esistono più. Le economie circolari non sono più un’esigenza. I
contagi dei prossimi giorni sono l’effe o delle incubazioni dei giorni
scorsi. La crisi ecologica pare dimenticata, la catastrofe futura è
mutata nell’apocalisse del presente. L’aria è radioa iva di virus,
l’ambiente non è più da salvare. L’ambiente non salva più.
L’ambiente è il figlio di pu ana, un capriccio della morte, un
elemento selenico e antagonista, il cardiogramma pia o di una
natura acuta perché insidiosa, subdola, del tu o inorganica.
Soltanto qualche mese fa, a fine novembre, l’adunanza più vistosa
a Milano. Decine di migliaia di ragazzi in manifestazione per le vie
di Milano la severa, che conosce il rigore ma non il pudore che esso
implica. Milano ecologica appare un paradosso, in Brianza c’è la
zona più inquinata d’Europa. I ragazzi non rumoreggiavano, erano
ordinati, comprensibili, carezzabili, seguivano le parole di Greta.
Quel suo volto lappone mi ispirava una sensazione di qualche
sindrome, era eroica e azzerava la distanza tra noi e i potenti,
diventando potente, diventando un potere. I giovani avevano scosso
il centroci à, lo avevano inondato, detestavo i loro slogan a meme,
questi figli del tempo digitale erano conterranei miei, contemporanei
miei?
Tossisco i ba eri, il catarro crocchia nelle basse vie aeree, accelero
entrando nel territorio pericoloso. Milano è pericolosa. E l’altro
giorno sono tornati, gli adulti li hanno tollerati sorridendo con pietà,
i ragazzi di Greta – colpevoli gli adulti e colpevoli i ragazzi, ma nel
rispe o delle disposizioni sul coronavirus hanno disde o la
manifestazione di massa, a cui nessuno avrebbe comunque
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partecipato, e gli organizzatori hanno percorso in bicicle a e
skateboard la dire rice della Stazione Centrale. Erano in dieci o
quindici, si sono vestiti con tute anticontaminazione verdi, con un
lenzuolo a bandiera e sopra c’era scri o SYSTEM CHANGE NOT
CLIMATE CHANGE: rivolgono la domanda al sistema, che cambi. Mai
vista un’ingenuità così portentosa. Eppure erano, quei ragazzi, i
primi a parlare, e non a mezza bocca, della pandemia come rischio
globale: avevano ragione!, e forse per questo li detesto, non tollero i
loro lineamenti più lisci che freschi, il calvinismo dei loro tra i
cara eriali, la loro acne curata con aspersione delle creme più
efficaci, le loro capigliature tu e uguali, l’inoffensività degli sguardi
automatici e le posture di chi ha perduto coscienza del proprio
corpo, la loro propensione digitale. Questi ragazzi, che
annunciavano la possibilità di un isolamento, planetario, erano per
me il virus, prima dei tempi di qualunque virus…
Ritengono di essere davvero l’ultima generazione. Vedono
l’imminenza di un pianeta deserto, irradiato da un sole bruciante, le
sterpaglie prima dell’estinzione della vita organica, oceani
vaporizzati, una sfinge a forma di sfera che rotola nello spazio
cosmico. Senza essere tragici (sono contemporanei!) temono la
catastrofe, l’ultimo umano, nessuna voce dall’aldilà, l’evoluzione del
minerale in un futuro fossile, disabitato. Per questo avevano
organizzato il flash mob a migliaia a Milano, avrei voluto scuoterli
per le spalle a uno a uno, chiedere a ogni manifestante di qualunque
dio, almeno un dio…
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