Qualcosa per cui vivere – Richard Roper

SINTESI DEL LIBRO:
Andrew fissava la bara cercando di ricordarsi chi ci fosse dentro.
Era un uomo, di questo era sicuro. Ma proprio non riusciva a farsi
tornare in mente il nome. Aveva ristretto le possibilità a John o
James, ma poi anche Jake aveva reclamato un posto fra i papabili.
Del resto, si disse, era inevitabile. Di funerali di quel genere ormai ne
aveva visti tanti, ma questo non gli impedí di sentire una amara fitta
di disprezzo per sé stesso.
Se solo fosse riuscito a ricordarsi il nome prima che fosse il prete
a pronunciarlo, sarebbe stato già qualcosa. Non c’era ordine di
servizio, ma forse poteva dare un’occhiata sul cellulare. Sarebbe
stato un imbroglio? Probabilmente. Per di piú, una sbirciatina in una
chiesa gremita di dolenti sarebbe forse passata inosservata, ma a
quella funzione c’erano solo lui e il sacerdote. Non si era presentato
nemmeno il direttore delle pompe funebri, quel giorno non stava
bene.
L’altra cosa snervante era che il prete, a pochi metri di distanza
da lui, non gli aveva praticamente staccato gli occhi di dosso
dall’inizio del funerale. Andrew lo aveva visto quel giorno per la
prima volta. Era giovane, e con un tremito nella voce che l’acustica
della chiesa metteva crudelmente in risalto. Forse era nervoso.
Andrew aveva provato a rivolgergli un sorriso rassicurante, ma non
era servito. Valutò di fargli un gesto col pollice alzato. Sarebbe stato
inappropriato? Decise di sí.
Posò di nuovo lo sguardo sulla bara. Forse si chiamava proprio
Jake, anche se era morto alla rispettabile età di settantotto anni e
Jake era un nome poco diffuso tra gli ottuagenari. Per il momento,
almeno. Certo, tra cinquant’anni sarebbe stato buffo avere le case di
riposo piene di Jake, Wayne e Tinkerbell con tatuaggi tribali scoloriti
sulla schiena che tradotti significano cose come «involtini
primavera» o «lavori in corso».
Concentrati, santo Dio, si ammoní Andrew. Era lí per rendere
l’estremo saluto a quella povera anima in partenza per l’ultimo
viaggio, sostituire per quanto possibile parenti e amici. Era lí per una
questione di dignità, ecco la parola.
E purtroppo, nella vita di John o James o Jake, di dignità se ne
era vista poca. Secondo il rapporto della coroner era morto in bagno,
sulla tazza, mentre leggeva un libro sulle poiane. Per aggiungere al
danno la beffa, non era nemmeno un buon libro sulle poiane.
Andrew lo aveva sfogliato un po’. Lui non era un esperto, certo, ma
non gli era sembrato bello da parte dell’autore dedicare un’intera
pagina a parlare male del gheppio, oltretutto in uno stile ben poco
elegante. Il deceduto aveva fatto un orecchio a quella pagina, perciò
era probabile che condividesse tali opinioni. Mentre si toglieva i
guanti di lattice, Andrew si era ripromesso di insultare anche lui un
gheppio o qualche altro esemplare della famiglia dei falchi, non
appena gli si fosse presentata la possibilità, per una sorta di
omaggio.
Oltre a qualche altro volume di ornitologia, non c’era in casa nulla
che fornisse indizi sulla personalità dell’uomo che ci aveva vissuto.
Niente dischi o film, niente quadri alle pareti o foto sui davanzali.
L’unica cosa singolare era il numero sconcertante di scatole di
Kellogg’s Extra Frutta & Fibre nella dispensa. Perciò, a parte la
passione per i volatili e un intestino a prova di bomba, non si sapeva
nulla di che tipo di persona fosse John o James o Jake.
Andrew,
come
sempre,
era
stato
molto
meticoloso
nell’ispezionare l’abitazione del morto, un bizzarro edificio a un piano
in finto stile Tudor, incongruo e quasi spavaldo in mezzo a una fila di
villette a schiera tutte uguali, ed era arrivato alla conclusione che lí
dentro non c’era nulla che riconducesse a familiari, prossimi o
lontani, con cui il morto fosse ancora in contatto. Aveva anche
bussato alla porta dei vicini, i quali si erano mostrati piuttosto
indifferenti, se non del tutto ignari dell’esistenza di quell’uomo e della
sua recente fine.
Il
prete nel frattempo era passato a raccontare qualcosa che
aveva a che fare con Gesú, il che nell’esperienza di Andrew era
segno che la funzione si avviava alla fine. Doveva ricordarsi quel
nome, ormai era una questione di principio. Si sforzava davvero,
anche quando non c’era nessuno, di tenere ai funerali lo stesso
contegno rispettoso che avrebbe mostrato se intorno a lui ci fosse
stata un’intera numerosa famiglia devastata dal lutto. Era perfino
arrivato a levarsi l’orologio prima di entrare in chiesa, perché gli
sembrava irriguardoso che l’ultimo viaggio di un uomo dovesse
essere accompagnato dallo stolido ticchettio di un mediocre oggetto
di seconda mano.
Ormai il parroco stava per concludere. Andrew doveva prendere
una decisione.
John, decise. Doveva essere John.– E anche se sappiamo che John…
Sí!– … nei suoi ultimi anni ha vissuto momenti difficili e che
sfortunatamente ha lasciato questo mondo senza il conforto della
famiglia e degli amici, possiamo tuttavia trarre sollievo dal pensiero
che Dio lo accoglierà a braccia aperte, pieno di amore e di bontà, e
che questo viaggio sarà l’ultimo che compie in solitudine.
Andrew di solito evitava di trattenersi dopo i funerali. Le poche
volte che lo aveva fatto si era ritrovato a dover sostenere goffe
conversazioni con direttori di pompe funebri e curiosi senza niente di
meglio da fare. Era incredibile quanti se ne incontravano: si
attardavano sul sagrato, a sparare banalità. Andrew ormai aveva
una certa pratica nello sfilarsi da questo genere di situazioni, ma
quel giorno aveva perso tempo per leggere un cartello sulla bacheca
della chiesa – la réclame di un’allegra quanto inquietante Festa della
Follia Estiva – quando un dito gli percosse la spalla con l’insistenza
di un picchio. Era il sacerdote. Visto da vicino sembrava ancora piú
giovane, con quegli occhi azzurri da bambino e quelle tendine
bionde divise con cura nel mezzo come se lo avesse pettinato la
mamma.
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