Oltre Orwell – Maria Pia Rossignaud

SINTESI DEL LIBRO:
Il gemello digitale (digital twin1) è una delle figure retoriche nate dalla
trasformazione digitale; è un avatar, è la nostra vita raccontata dai dati.
Significa l’accesso universale bidirezionale fra l’uomo e la rete. La
dimensione della reciprocità dell’informazione è parte della nostra società
e questa nuova essenza dell’essere si è manifestata con forza nell’era del
Covid-19. L’informazione, come il virus, parte dall’uomo, arriva fuori
dell’uomo, può cambiargli la vita attraverso il gemello digitale, l’“altro
me” che si fa strada nel mondo degli assistenti virtuali.
Il gemello digitale è la rappresentazione o figura dell’umano digitalizzato,
perché rappresenta tutte le grandi facoltà cognitive dell’uomo. È la
somma del ricordo, dell’intelligenza, del giudizio. La diversità sta nel fatto
che tutte le facoltà esternalizzate2, implementando le facoltà umane, si
sono trasformate in un tutt’uno: nell’altro me appunto. Quando è
successo? Come mai non ce ne siamo accorti?
Qualcuno ha detto che la cosa migliore del futuro è che arriva giorno
dopo giorno3 ed è proprio questo che è successo o sta succedendo. Il
nostro doppio digitale è nutrito dalla crescita veloce di assistenti digitali
sempre più sofisticati e, dotati di machine learning, forse anche
inquietanti. L’uomo aumentato4 solleva preoccupazioni relative alla
privacy, alle nuove sfide sociali e soprattutto etiche.
McLuhan diceva che nell’era della elettricità tutto sarebbe diventato
trasparente, ad oggi sono gli uomini che stanno diventando trasparenti.
La nuova era inizia nel 2020. La stravaganza è che non sono stati i
computer a stravolgere la vita dell’uomo. Durante il famoso Capodanno
del 2000 (cambio secolo) erano stati annunciati disastri imminenti,
dominava la paura della fine del mondo ma soprattutto l’angoscia per le
macchine che non avrebbero saputo aggiornare la data al nuovo secolo.
Avrebbero azzerato il loro sistema operativo? Sarebbero tornate indietro
di anni? Si pensava che i loro software sarebbero diventati obsoleti in
esattamente un minuto. Il tempo che passa fra la vecchia e la nuova data:
1999 ore 23.59 – 2000 ore 00.00. Tante le attese in quel minuto, ma gli
elaboratori (come chiamavano all’epoca i grandi computer) non sono
andati in tilt, hanno semplicemente cambiato secolo nella data, operazione
banale e di routine, come si dice per le azioni senza molta importanza.
Quello che ci manda in tilt è il cambio di paradigma. Il cambio di
paradigma oggi è arrivato con il Covid-19, con il lockdown che ha
imposto una riflessione.
Il cambio di paradigma è avvenuto nella vita di tutti i giorni: niente più
treni, aerei, niente scuola, lavoro a casa. Una mattina ci siamo svegliati in
un mondo diverso e non sono stati i computer, le intelligenze artificiali, a
imporre il cambiamento. È stato un virus: un essere né morto, né vivo, né
uomo né macchina, né animale né minerale apparso nel bel mezzo del
cammin della nostra trasformazione digitale.
Si tratta sempre di informazione…
Arriva il virus e la vita digitale prende il sopravvento. Il Covid-195 blocca
la vita dell’uomo da un lato e ne accelera la trasformazione digitale che
finora abbiamo data per scontata senza preoccuparci troppo di quanto
potesse diventare, o volessimo farla divenire, elemento imprescindibile del
nostro vivere quotidiano; abbiamo lasciato ai governi il compito di
negoziarla. Le App di controllo per la prima grande pandemia del terzo
millennio sono l’esempio eccellente di conflitto fra libertà personali e
privacy. E nella ricerca a soluzioni tecnologiche per prevenirla o
circoscriverla si insinua anche la contrapposizione fra Bluetooth e Gps.
Nasce la tempesta perfetta che comprende regole sociali, software, libertà
costituzionali.
La minaccia virale di Covid-19 e le reazioni normative casuali dei governi
del mondo fanno sì che il virus venga accolto da una “tempesta perfetta”6:
la ancora recente globalizzazione del pianeta; la rete di comunicazioni
ormai quasi soffocante; l’ombra ossessionante del cambiamento climatico;
la necessità di un riavvio della cultura umana. Questa convergenza di
condizioni apre la strada anche a una nuova forma di malattia interamente
basata sulla comunicazione.
Il coronavirus diviene simbolicamente un punto di incontro e di
collaborazione fra uomo e macchina. È anche un climax della civiltà, che
segna un punto di non ritorno in una transizione già iniziata, incarnata
dall’incontro fra la natura virale dell’informazione e la natura virale del
contagio. Il virus esce dal nulla e si ritrova ovunque. Un po’ come il
gemello digitale, che è anche frutto di contagio e contaminazione fra vari
tipi di informazioni.
Se però la trasmissione del virus da persona a persona fa riferimento a un
principio di causalità semplice, con il gemello digitale ci troviamo invece
ad affrontare un fenomeno complesso che deve essere controllato
dall’uomo.
Un’altra diversità sta nel fatto che il virus è dentro di noi, il gemello è il
nostro sé interno che va all’esterno. Dentro e fuori sono concetti collegati
agli spazi, elementi imprescindibili dalla transizione digitale. Infatti,
quando parliamo di gemello digitale quale altro me, non dobbiamo
pensare che si tratta solo di algoritmi. Sugli algoritmi si continua a scrivere
e parlare, perlopiù alla cieca: è il momento di capire il contesto più ampio
in cui operano e l’interazione con il nostro essere umano.
Parlare di rapporto con l’essere umano significa, appunto, parlare di un
contesto, lo spazio virtuale, che non è semplicemente realtà virtuale ma
l’intero mondo digitale occupato dal momento in cui pigiamo il cursore
sullo schermo e il nostro essere girovaga fra tre spazi. E volenti o nolenti ci
siamo dentro. Dall’invenzione degli schermi, siamo stati invitati a
occupare sempre di più un nuovo ambiente spaziale e temporale. Il terzo
spazio può essere solo virtuale e nonostante ciò è abbastanza occupato da
tutti noi. Di cosa è fatto? Dei dati disponibili in tutte le combinazioni on e
off line.
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