Nessuna morte è perfetta – Katarzyna Bonda

SINTESI DEL LIBRO:
Il maialino giaceva sul tavolo di metallo con le zampe in alto. Aveva il
piccolo grugno storto, quasi si facesse beffe della pancia squarciata
con un sorriso post mortem. Mikołaj Nesteruk stava finendo di
sventrarlo. Buttò ciò che rimaneva delle interiora in un secchio lì
accanto, e lo spostò con un piede. Il secchio ruotò sul suo asse, ma
non cadde. Mikołaj si asciugò il sudore dalla fronte con la manica.
Non gli piaceva di certo l’idea di dover fare anche le pulizie. Già così
la moglie gli avrebbe fatto una sfuriata perché macellava i maiali in
garage e ogni volta, entrando, le toccava sentire odore di sangue.
Era diventata così delicata, da quando vivevano in città. Pensa un
po’. Tutti volevano mangiare la carne, ma se bisognava uccidere,
spellare e cucinare, be’, quello doveva farlo qualcun altro.
Un tempo ogni contadino se la sapeva cavare se si trattava di
macellare un maiale, un coniglio o un capriolo. Per uccidere una
gallina le donne non si sognavano neanche di chiamare aiuto. La
prendevano per la testa e la mettevano su un ceppo. L’ascia era
sempre affilata. Se non era affilata significava che il padrone di casa
trascurava la fattoria, era un pigro o beveva troppo. Ma quei tempi
erano passati da parecchio. In certe case la gente non aveva
nemmeno una piccola accetta, e neppure un cacciavite decente.
Chiamavano il “tuttofare” per ogni minimo lavoro. E Mikołaj si faceva
pagare a peso d’oro da tutta questa gente.
Oggigiorno nessuno sa più che, prima di spellarlo, il corpo del
maiale va appeso a un gancio per far scorrere via il sangue. E che il
sangue va raccolto fino all’ultima goccia per non sprecarlo. Se ne
riempivano un bel po’ di contenitori. In Podlachia non si usava
preparare la zuppa di sangue. La minestra nera1 indicava sempre
una dichiarazione di guerra, ma dopo la macellazione del maiale la
kaszanka 2 di sangue fresco e grano saraceno, invece, andava via
come il pane.
Non esistono più i veri uomini, borbottava tra i denti Mikołaj. Del
resto, chi si metterebbe a macellare in casa oggi un “porcellino
biologico da banchetto” proveniente dalla vicina macelleria
industriale (quattro chilogrammi il piccolo, sei e quattrocento quello
grande), confezionato sottovuoto nella plastica e con le istruzioni a
colori per l’uso, dato che aveva lo stesso prezzo di uno vivo, e che
quello vivo bisognava sventrarselo da soli? Comunque per Mikołaj
non c’erano dubbi: nulla poteva battere un maiale casalingo allevato
con le proprie mani.
Tra un quarto d’ora avrebbe cominciato ad albeggiare. Per
adesso, alla luce di una lampadina da cento watt, era difficile finire il
lavoro in maniera precisa. Era senza aiutante. Un tempo il maiale si
uccideva in due. Uno piantava una sbarra lunga e appuntita proprio
nel cuore dell’animale, l’altro gli tagliava la gola. Con tre strilli era
tutto finito. Se lo si uccideva come si deve, l’animale non soffriva. La
morte arrivava in un lampo, se il macellaio ci sapeva fare. Le donne
si
occupavano di lavare, affumicare e lavorare la carne. Se
necessario chiamavano le vicine, le amiche, le figlie adolescenti. Più
si era rapidi a lavorare la carne, più gustosi erano gli insaccati. Lui
personalmente aveva un debole per le salsicce fatte a mano.
Stavano tutto l’inverno in cantina, fino a Pasqua. Non diventavano
mai verdi, come facevano oggi i prosciutti che compravi nei negozi.
E in ogni caso non avevano il tempo di andare a male. Qualunque
occasione era buona per tirarle fuori, prepararle e offrirne agli ospiti.
Ogni donna di casa aveva la sua ricetta e la trasmetteva alle figlie,
insieme a tanti altri segreti. Quando mai sua figlia avrebbe fatto un
lavoro come quello? Alla sola vista del sangue, Mariola si irrigidiva
sulle gambe e si metteva a tremare come una foglia.
Per fortuna quel maialetto non era grosso. Mikołaj se l’era cavata
da solo. Però non era sicuro di fare in tempo con l’ordinazione.
Prima di farcire il maiale con la kaszanka di grano saraceno, il lardo
e le interiora, di mettere la carne nella buca e di cuocerla, sarebbe
passata qualche ora buona. Come sempre doveva fare tutto da solo.
Gli ospiti del matrimonio stavano già aspettando con le loro camicie
inamidate. Tra poco sarebbe arrivato un pullman speciale per portarli
al “restaurant”. E lui era a metà del lavoro.
Si sentì un’esplosione.
Mikołaj rimase immobile, in ascolto nell’atmosfera che si era fatta
adesso silenziosa. La strada era vicina. Sicuramente a qualcuno era
scoppiata una gomma, pensò, e si rimise a lavorare. Dopo un
momento, però, sentì altri tre scoppi ravvicinati, e fu sicuro che si
trattasse di colpi di pistola. Il bosco era troppo lontano. Non era un
bracconiere.
Si avvicinò al secchio con l’acqua pulita. Vi immerse le mani, le
sciacquò con cura. Uscì dal garage. Il grigiore che precedeva l’alba
limitava la visibilità. Prese una scorciatoia attraverso il campo e si
diresse sulla strada. Si guardò intorno. Nessuno. Ma non era l’unico
ad aver sentito quel rumore. In alcune case si erano accese le luci.
Quando, rassegnato e arrabbiato per la perdita di tempo, si accinse
a tornare indietro, si accorse di una sagoma. Qualcuno correva
piegato in due.
«Aiuto! Aiutatemi!» gridava con le ultime forze. Si accasciò sulle
ginocchia e non si alzò più.
Mikołaj si diresse rapidamente verso la figura nera. Non era in
grado di correre più in fretta. Ormai aveva una certa età.
«Chi è che grida!?» fece rauco, cercando di riprendere fiato.
«Cosa le è successo?»
«Mi hanno ammazzato» riuscì ad articolare l’uomo a fatica. Alzò
la testa.
«Piotr?» sussurrò sconvolto Mikołaj. Si accucciò, aprì la giacca di
quell’uomo ormai non più giovane. I vestiti del ferito erano inzuppati
di un denso liquido scarlatto.
«Chi è stato?»
«Non l’ho visto» si sentì rispondere.
Doveva essere stato colpito alla pancia. Sanguinava come un
animale macellato. Il calibro era grosso. Un fucile da caccia? Per
cervi o bufali. Un’arma fatta in casa? Una pallottola aveva trapassato
la clavicola. C’era un buco spesso due dita. Sicuramente gli altri
proiettili erano ancora nel corpo. Mikołaj sapeva cosa bisognava
fare. Durante la guerra si era trovato spesso davanti a colpi d’arma
da fuoco. Si tolse la camicia, la strappò a strisce e tentò di fermare il
sangue che spillava, ma non era facile. Lavorò per qualche tempo,
accaldandosi. Il sudore gli inondava gli occhi. Quando iniziò a
fasciare la ferita, i primi raggi di sole tingevano già il cielo di rosa.
Sarebbe stata un’altra giornata serena.
Mikołaj si alzò, voleva andare subito verso gli edifici. Sapeva che
al vecchio mulino c’era un telefono. Perché l’uomo sopravvivesse, gli
aiuti dovevano arrivare subito. Fu allora che il ferito gli tese la mano.
Lo afferrò disperatamente, strinse il pugno.
«Salvala, Mikołaj» sussurrò in bielorusso. «Là c’è la macchina.
C’è rimasta dentro Łarysa. Potrebbe essere morta.»
Mikołaj alzò la testa. Si guardò intorno. Sulla strada non c’era
nessuna auto.
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