Nemo – Il gigante di pietra – Davide Morosinotto

SINTESI DEL LIBRO:
Aveva tre fratelli e tutti e tre erano morti. Il maggiore si
chiamava Ravi, e un giorno era partito a caccia della tigre. I battitori
avevano stanato la belva e l’avevano inseguita nella giungla per tre
giorni: Ravi apriva la pista in groppa al suo elefante da guerra, finché
quello aveva scartato all’improvviso e Ravi era caduto ed era stato
calpestato. Il giovane era un cacciatore esperto, lui e l’elefante erano
cresciuti insieme. Tutti dissero che la sua morte era un tragico gioco
del destino.
Il secondo fratello si chiamava Bodhan e, anche se era solo un
ragazzo, rivaleggiava in sapienza con i filosofi, e nei suoi occhi
brillava la saggezza degli yogi. Si ammalò all’improvviso di una
febbre brutale che trasformò il suo volto in cera. Il re suo padre
chiamò a palazzo medici e santoni, e tutti provarono i loro rimedi più
efficaci e i riti più potenti. Ma non ci fu niente da fare, e Bodhan morì
in pochi giorni. Il ragazzo aveva un fisico flessuoso come un ramo di
bambù, e gli esercizi lo avevano reso sano e vigoroso. Tutti dissero
che la sua malattia era volontà degli dei, che lo volevano con loro.
Il terzo fratello infine si chiamava Kumar, ed era il più amato dal
re perché era forte e bello, con il sorriso che brillava di intelligenza.
Passeggiava da solo nei cortili della reggia quando una freccia
sfregiò l’aria e gli si conficcò nel petto. Nessuno seppe mai chi
l’aveva scoccata, e il re ordinò di giustiziare tutti gli arcieri del
palazzo. Perché una fatalità può capitare a un figlio. A tre, no di
sicuro.
Ma anche questa follia non servì a nulla. Ravi, Bodhan e Kumar
erano morti. Restava soltanto l’ultimo figlio del re, il più piccolo. Il
principe Dakkar.
E Dakkar da quel giorno rimase solo.
Prigioniero nelle stanze dorate del suo palazzo.
ici che dovremmo svegliarlo?»
«Io dico di sì.»
«Ma è stato sveglio per tre giorni di seguito, e proprio ora…»
«Ashlynn, stiamo precipitando!» gridò Daniel.
«Non stiamo precipitando! Stiamo solo scendendo… un po’
troppo velocemente.»
«Ashlynn!»
La signorina Ashlynn Taylor Woodsworth tirò su col naso e si
rassegnò.
Aveva dodici anni e lunghi capelli biondi che le si annodavano
sulla testa in una specie di folta criniera, e in quel momento
indossava soltanto un paio di ampi mutandoni di cotone stretti alle
caviglie da un elastico, una camicia bianca lunga fino ai piedi, un
bustino rigido di stecche di balena e un’ampia sottoveste che
nascondeva tutto il resto.
La vecchia precettrice di Ashlynn, la signorina Walsh, sarebbe
inorridita vedendola così, mezza svestita. Ma la signorina Walsh era
molto, molto lontana, così come il collegio Paimboeuf, alle porte di
Parigi, la preside, gli insegnanti, e tutte le persone che fino a qualche
giorno prima avevano riempito la vita di Ashlynn.
Ora, invece, a riempire la sua vita c’erano solo due ragazzi più o
meno della sua età, di cui uno addormentato e uno profondamente
agitato.
«Sveglialo, ti ho detto» insisté Daniel.
«Sì, sì, basta, ho capito.»
Poi c’era Nautilus. Era un cane, per la precisione un mastino
tibetano color cenere, ma a una prima occhiata si poteva
tranquillamente scambiare per un leone albino. In effetti era proprio
grande come un leone, con zampe robuste e spalle massicce, e una
testa così grossa che Ashlynn faticava a stringerla fra le braccia.
Il grosso cane grigio stava sdraiato a pancia in giù sul pavimento
della cabina e occupava quasi tutto lo spazio a disposizione. Era lui
che, più di tutto il resto, in quel momento riempiva la vita di Ashlynn.
«Potresti spostarti, bestione!» borbottò la ragazza, e visto che
Nautilus non sembrava intenzionato a obbedirle, si risolse a
scavalcarlo.
Alle sue spalle, Daniel sbuffava per manovrare le piccole ali di
stoffa dell’aeronave. Anche se esagerava come sempre (non stavano
esattamente precipitando), era indubbio che il pavimento della cabina
era inclinato verso il basso. Il cielo striato di grigio era ormai
scomparso dal grosso oblò di prua, e si vedevano solo le cime
verdeggianti degli alberi.
Ashlynn completò con qualche difficoltà la scalata di Nautilus e
scivolò dall’altra parte, dove stava il terzo membro dell’equipaggio.
Nemo dormiva rannicchiato, con la testa appoggiata alle mani e
le ginocchia piegate fino al petto. Mugolava piano, e la pelle color
caffè era lucida come cuoio. Forse stava sognando.
«Nemo…» lo chiamò lei, e visto che non ottenne alcun effetto, gli
afferrò una spalla. «Nemo!»
Lui le strinse il polso con le dita nodose, all’improvviso, e gridò.
«Ehi! Mi fai male!» gemette la ragazza.
Gli occhi neri di Nemo parvero accorgersi di lei per la prima
volta.
«Io… scusa. Stavo facendo un incubo.»
«Se avete finito di chiacchierare» li chiamò Daniel, dall’altra
parte della cabina, «vi ricordo che qui c’è un’emergenza!»
«Quale emergenza?»
Nemo schiacciò il viso contro il vetro dell’oblò. Faceva quasi
buio, fuori, e nei dintorni non si vedeva nemmeno una casa: solo
boschi a perdita d’occhio. Ashlynn si domandò dove si trovavano in
quel momento. Di certo non in un punto adatto per atterrare.
«Stiamo perdendo quota» annunciò Nemo.
«Parecchia quota» confermò Daniel.
«E sotto ci sono solo alberi.»
«Parecchi alberi.»
Ci fu un attimo di silenzio.
«È strano» osservò Nemo. «Stavamo cavalcando una corrente
di risalita, e bella forte anche… Nautilus! Fammi passare!»
Il cagnone grigio si sollevò sulle zampe, e Nemo strisciò sotto la
sua pancia con la grazia sinuosa del serpente. Raggiunse Daniel alla
postazione di comando, nel retro della cabina, si drizzò sulla punta
dei piedi e aprì il boccaporto sul soffitto.
Da lì si poteva accedere al fornello a gas, che in realtà era
diventato un fornello a olio da quando il gas era finito e Nemo aveva
operato una conversione di emergenza in una fattoria.
«La fiamma è ancora accesa» disse, sporgendosi a guardare dal
foro. «E il serbatoio dell’olio è pieno a metà. In più, fuori fa un freddo
da brividi.»
«E questo cosa significa?» domandò Ashlynn.
«Significa che ci troviamo su una mongolfiera, e voliamo finché
l’aria contenuta nel pallone è più calda, e quindi più leggera, di quella
circostante.»
Ashlynn odiava quando Nemo le si rivolgeva con quel tono da
professorino.
«E dunque, perché stiamo precipitando?» chiese.
«Di sicuro c’è una perdita da qualche parte. Una cucitura deve
aver ceduto. È per questo che siamo usciti dalla corrente
ascensionale e, se non facciamo qualcosa, lo strappo potrebbe
compromettere l’intera struttura del pallone.»
«Che significa?» si allarmò Ashlynn.
«Significa che si rompe tutto, e noi cadiamo giù.»
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