Nell’ombra e nella luce – Giancarlo De Cataldo

SINTESI DEL LIBRO:
Mentre la gloriosa giornata volgeva al termine, Emiliano Mercalli di
Saint Just, giovane capitano dei carabinieri reali, non poteva sapere che,
molto presto, il passato che da due anni cercava invano di rimuovere gli
avrebbe presentato il conto, e si sarebbe ritrovato faccia a faccia con il suo
peggiore incubo: il Diaul.
Accadde sul far del tramonto.
L'ufficiale austriaco che il capitano inseguiva da più di dieci leghe, un
maggiore dei cacciatori imperiali della brigata Wohlgemuth, passata una
radura, era scomparso nel folto della macchia.
Più oltre, se le carte militari non mentivano, doveva trovarsi il fiume
Adige.
Emiliano si guardò intorno e accarezzò con la mano guantata la criniera
di Morgante, il suo magnifico sauro di cinque anni. La bestia reagì con un
moto nervoso della testa slanciata. Nessuno dei suoi uomini era in grado di
mantenere il passo di quel cavallo eccezionale. Per questo aveva perso il
contatto.
E si era ritrovato al centro di quella radura nuda, le prime ombre del
vespro si andavano allungando e lui era solo.
Solo e allo scoperto, incerto se inoltrarsi.
Si passò una mano, con gesto involontario, sulla lunga cicatrice che gli
deturpava la guancia sinistra.
Non faceva niente per nasconderla, disdegnando, unico tra gli ufficiali del
suo rango, barba e baffi. In fondo doveva a quello sfregio la fama di abile
indagatore di oscuri delitti. E non solo. Le donne lo trovavano eccitante.
Alto e bruno, occhi scuri, e anche la cicatrice. Naide amava accarezzarla,
mormorando parole sconce.
Il ricordo del suo perduto grande amore era ancora vivo e bruciante.
Perfino ora. Passare da un letto all'altro, nel momentaneo e sempre
deludente appagamento dei sensi, non era servito a nulla.
Naide gli mancava in modo acuto, doloroso.
Un'inquietudine costante lo divorava.
Nell'illusione di placarla, si era lanciato con furia nella guerra. Durante la
carica era stato in prima fila, al fianco di Negri di Sanfront. Aveva assalito
da solo i cacciatori imperiali che tenevano l'ultima casa di Pastrengo,
decimando con il loro fuoco implacabile i suoi compagni d'arme. E quando,
conquistata la piazza, aveva visto l'ufficiale che comandava i cecchini darsi
alla fuga, non ci aveva pensato due volte.
Aveva agito d'istinto. Ma non sempre l'istinto è la scelta giusta.
Il campo base dell'esercito austriaco era pericolosamente vicino.
Proseguire l'inseguimento significava finire in bocca al nemico.
Frugò nelle tasche dell'uniforme, pescò un mozzicone di sigaro, gli diede
fuoco con 1' acciarino, aspirò due boccate: avevano un buon sapore di
vittoria.
La carica dei carabinieri reali era stata devastante.
Gli austriaci erano in rotta. Pastrengo era stata presa.
La sua parte di gloria l'aveva pure avuta. Rinunciare alla preda, date le
circostanze, non era disonorevole.
Era sul punto di invertire la rotta quando risuonò un urlo acuto. Proveniva
dal folto della macchia.
Emiliano sfilò dal fodero la carabina e si preparò a fare fuoco.
Silenzio.
Poi un altro grido, più tenue, quasi strozzato, seguito da un gorgoglio
sinistro.
Nella radura spuntò l'ufficiale austriaco, a piedi.
Si reggeva la gola con le mani, barcollava.
Qualcuno doveva averlo ferito. Ma allora ciò significava che c'erano i
suoi compagni piemontesi nei dintorni? Che avessero sfondato la linea
dell'Adige?
L'ufficiale avanzava verso di lui: anche a quella distanza Emiliano poteva
scorgerne i lineamenti sconvolti da un'espressione di terrore. Era come se
quell'uomo volesse dirgli qualcosa. Qualcosa di tremendo.
Emiliano smontò da cavallo e si avviò verso di lui. Era un nemico, ma
pur sempre un ufficiale, e per giunta superiore a lui per grado. Il codice
cavalleresco, prima ancora delle leggi e dei regolamenti, imponeva di
soccorrerlo.
Gli andò vicino, lo sorresse, lo adagiò contro un grosso sasso. Scostò
delicatamente le mani dell'altro per controllare la ferita, e uno zampillo di
sangue lo investì.
Gli avevano squarciato la gola. Un taglio netto, profondo, da lama
affilata, non sembrava però un colpo di sciabola.
Era evidente che quel disgraziato ne aveva per poco. Emiliano non
poteva fare niente per lui. Gli prese una mano, e cominciò a mormorare una
preghiera sommessa. L'austriaco, con uno sforzo estremo, cercò di
sollevarsi. Nei suoi occhi un panico che andava oltre la paura della morte.
Con l'indice cosparso di sangue, indicava la macchia dalla quale poco prima
era sbucato.- Che cosa c'è là dentro? Che cosa avete visto?
L'ufficiale provò ad articolare una frase, poi, con l'ultimo sbocco di
sangue, si abbatté, spento.
Emiliano gli chiuse gli occhi.
Dalla macchia si sentì risuonare una risata sconcia, oltraggiosa.
Morgante in risposta nitrì, inquieto.
Emiliano riconobbe quella risata. L'avrebbe riconosciuta in mezzo a
mille. Un brivido di paura lo percorse. Non poteva essere. Lui era al sicuro,
a chilometri e chilometri di distanza. Lui... eppure, quella ferita al collo
dell'austriaco...
La risata tornò a echeggiare. Un uccello si levò in volo da un ramo alto,
sul ciglio della macchia, lanciando un grido angosciato.
Le ombre del crepuscolo si allungavano sempre rapide. Presto l'oscurità
sarebbe stata totale.
Ancora una volta, l'istinto ebbe la meglio sulla prudenza. Emliano
mormorò una parola di scusa a Morgante, e col calcio della carabina sferzò
il cavallo, spingendolo verso la macchia. Morgante partì al galoppo.
Lui, a piedi, si precipitò verso l'estremità opposta: chiunque fosse stato
all'interno della macchia, al rumore degli zoccoli avrebbe pensato di
doversela vedere con un cavaliere al galoppo. E lui l'avrebbe colto di
sorpresa.
Entrò nel folto e si gettò per terra. Avanzava strisciando.
Un nitrito di Morgante, sulla sua sinistra.
Avanzò ancora. Una piccola luce, confusa. Strisciò verso quella fonte.
C'era uno spiazzo, di la da un aspro roveto. Era da lì che veniva la luce,
l'ultima del giorno. Un altro nitrito, più vicino. Scostò i rovi..
E lo vide.
Il Diaul.
Accanto a Morgante, apparentemente quieto.
Il Diaul, con il suo becco d'uccello, il lungo mantello nero, i capelli
sciolti sulle spalle.
Brandiva un coltellaccio.
Ai suoi piedi, due corpi. Donne, in un lago di sangue.
Il Diaul armeggiava con una lama sulle carni.
Il Diaul era tornato.
Il passato presentava il suo conto. Ma a Emiliano si offriva, nel
contempo, l'occasione per rimediare agli errori commessi.
Si accomodò su un fianco, prese la mira con cura.- Lo so che ci sei. Ti ho sentito arrivare. Sono contento di rivederti, amico
mio...
La sua voce, bassa, educata, terribile.
Emiliano fece fuoco. L'eco si disperse nella notte.
Il Diaul era svanito. Rumore di passi in direzione della radura. Il Diaul
cercava di scappare. Emiliano ricaricò, uscì allo scoperto. Si lanciò anche
lui verso la radura.
Un colpo secco. Avvertì come una stilettata alla gamba, sangue si
allargava sulla coscia, sopra la rotula.
L'arma gli sfuggì dalle mani. Intuì le divise nemiche, percepì un comando
gutturale.
Austriaci. Richiamati dallo sparo, dai rumori. La ferita bruciava.
Emiliano alzò le mani.- Sono il capitano Emiliano Mercalli di Saint-Just.
Appartengo al corpo dei carabinieri reali. In base al codice di guerra, mi
dichiaro vostro prigioniero.
Nessuna risposta dagli austriaci. Forse il suo tedesco approssimativo era
stato male inteso?- Sono il capitano...- Voi non ufficiale. Voi assassino!
Gli austriaci erano raccolti intorno al corpo dell'ufficiale sgozzato.
Emiliano comprese che lo avevano scambiato per il Diaul, e per un breve
istante lo prese un'insensata voglia di ridere. SI, davvero il passato
presentava il conto.- Ascoltate. L'uomo che ha ucciso il vostro ufficiale io lo conosco. È
fuggito. Possiamo ancora...
Partì un ordine. Poi gli mancò il respiro. Una chiazza di sangue si andava
allargando due dita sopra il cuore.
Emiliano crollò. Non ebbe il tempo di estrarre la piccola pistola «a
luminello» che piú di una volta lo aveva tratto dai guai. Ma lo pensò quasi
come un pensiero lontano e futile: che avrebbe potuto contro i fucili?
Un alto nitrito di Morgante, ancora piú angosciato, salutò, come in un
picchetto d'onore, la sua caduta.
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