Miti Maya e Aztechi – Mila Fois

SINTESI DEL LIBRO:
I
Maya erano un popolo dalla cultura molto raffinata, che si
frammentò in numerose civiltà indipendenti, come quella degli
Yucatechi, insediati nella penisola dello Yucatan, o quella dei K’iche’
del Guatemala, i quali ci hanno lasciato un’importante testimonianza
della loro antica tradizione: il Popol Vuh. Questo Libro della
Comunità venne trascritto da alcuni sacerdoti e funzionari maya
k’iche,’ usando l’alfabeto latino, dopo che i dominatori spagnoli
vietarono l’uso della scrittura locale. Partendo dall’alba dei tempi, il
Popol Vuh ci racconta cos’accadde durante le quattro grandi ere,
arrivando fino al momento in cui il popolo dei maya si disperse,
migrando verso luoghi lontani.
All’inizio, il cielo e la terra erano soli ed attorno a loro regnava un
profondo silenzio. Negli abissi marini viveva però Gucumatz, il
serpente piumato, avvolto nelle sue smeraldine piume di Quetzal (un
variopinto uccello mesoamericano), mentre nell’alto dei cieli stava
Cabahuil, chiamato anche Cuore di Cielo. Queste due entità
cominciarono a dialogare tra loro, e lo fecero per mezzo di possenti
fragori di tuono, fulmini che spaccavano la volta celeste ed altissime
onde tempestose. Mare e cielo erano in tumulto, facendosi
portavoce degli dèi, i quali decisero che era tempo di creare il
mondo. Chiamarono dunque a raccolta gli altri cinque luminosi e
saggi dèi dei primordi, i cui nomi erano Tzakol, Bitol, Tepeu, Alom e
Cajolom.
L’assemblea cominciò e ciascuna divinità espose le proprie idee,
decidendo in modo democratico, con il consenso unanime, che era
tempo di formare fiumi, foreste, laghi e monti, e di popolarli con delle
creature dalle quali essere venerati. Stabilito ciò, venne il tempo di
mettersi all’opera. Cuore di Cielo decise di sacrificare una parte del
proprio corpo per formare un fertile terreno dove potesse
germogliare la vita, perciò si staccò un piede e con esso creò il
suolo. Da quel giorno (che nel calendario maya è ricordato come il
sette Caban, dove Caban significa terra) Cuore di Cielo venne
conosciuto anche come Hunrakan, ovvero Colui che ha un solo
piede.
Gucumatz e Tepeu non rimasero oziosi, ma tramite le loro potenti
parole proferirono il nome di tutte le cose, ponendole in esistenza. A
quel punto gli dèi misurarono il terreno, come si fa per la creazione
di un campo, e per mezzo di corde ne stabilirono la grandezza,
formando un quadrato diviso a sua volta in quattro parti. Le
contrassegnarono per mezzo di altrettanti punti di riferimento, ovvero
degli alberi dal colore simbolico: a nord sistemarono il bianco albero
dell’abbondanza; a ovest quello nero; a sud, dove si posa l’oriolo,
l’albero giallo, infine a est quello rosso. Queste piante si chiamano
Imix Che, e rappresentano i punti dei solstizi e degli equinozi, mentre
al centro del mondo venne posto un albero di colore verde, sacro al
dio del cielo.
I quattro Chac, considerati patroni della natura, delle piogge e delle
creature selvagge, popolarono la terra così creata con una gran
varietà di animali, restando delusi di scoprire che questi non erano in
grado di parlare né di comprendere il loro linguaggio, perciò non
potevano adorarli. Decisero allora che quegli esseri sarebbero stati il
sostentamento di una creatura superiore, dotata di parola e civiltà.
Impastarono quindi il terreno, dando forma ai primi uomini, ma questi
non erano troppo dissimili dalle bestie. I loro corpi fragili e le menti
ancora primitive non li facevano spiccare tra il resto della fauna.
“Poiché siamo vostra madre e vostro padre, parlateci, invocateci,
lodateci e adorateci!” ingiunsero ai primi uomini, ma costoro, proprio
al pari degli animali creati in precedenza, non ne furono capaci. Gli
dèi, amareggiati, non si curarono di queste creature, lasciando che
vivessero in caverne ed anfratti, senza conoscere il linguaggio, l’uso
di utensili o una rudimentale forma di società, finché non decisero di
sostituirli con un prodotto maggiormente perfetto, e allora li
distrussero.
Riunitisi nuovamente in consiglio, stabilirono di creare un essere più
resistente e ragionevole, usando stavolta l’argilla. Se ne originarono
degli uomini dalla corporatura ancora piuttosto fragile, capaci di
comprendersi a vicenda e di parlare, ma privi di un vero e proprio
intelletto. Ancora una volta gli dèi furono scontenti, “Voi esisterete
solo finché non arriverà una stirpe migliore! – sancirono – Per il
momento vi moltiplicherete e cercherete di sopravvivere finché non
avremo pronti degli uomini capaci di adorarci come meritiamo”.
Gli uomini di questa seconda era dunque erano già più progrediti dei
precedenti. Sapevano parlare e avevano una semplice forma di
società e cultura, seppur non ancora sufficiente a far contente le
divinità. Non appena ebbero un’idea migliore di come produrre la
creatura perfetta, infatti, spazzarono via anche questi esseri per
mezzo di un diluvio. Si salvarono solo coloro che cercarono riparo
sulle alte cime degli alberi, restando per sempre nel medesimo
stadio primitivo di uomini appena abbozzati: si tratta delle scimmie.
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